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Il rapporto tra diritti e bisogni nel dibattito sui diritti sessuali e riproduttivi
di Rosalind P. Petchesky
Nel marzo 1999, in occasione della riunione della Commissione preparatoria della Sessione speciale dell'Assemblea delle Nazioni Unite Cairo +5 che doveva fare il punto sui cinque anni trascorsi dalla Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo svoltasi al Cairo nel 1994, il giornale per la difesa della famiglia Vivant! pubblicò un articolo, zeppo di dati statistici e di grafici, che condannava «l'errore di un approccio illegittimo alle questioni della salute pubblica fondato sui diritti umani».1 L'attacco sferrato da quell'articolo si fondava sulla considerazione che la questione dei bisogni basilari rappresenta un quadro di riferimento eticamente e socialmente superiore a quello dei diritti umani. Nell'articolo si associavano condizioni infrastrutturali, quali la necessità di acqua potabile e di nutrizione, all'approccio fondato sui bisogni, mentre la questione della salute sessuale e riproduttiva veniva associata ai diritti. L'articolo affermava quindi che «il finanziamento indiscriminato degli standard idealisticamente alti fissati dalla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo in materia di diritti legati alla salute sessuale e riproduttiva», ha fatto si che «venissero trascurati e scarsamente finanziati bisogni sanitari molto più essenziali, praticabili e accessibili in termini di costi». L'articolo insinuava poi che tali illegittime priorità riflettevano un distorto programma occidentale (intendendo del femminismo occidentale), ed erano totalmente noncuranti dei bisogni e delle priorità delle donne dei paesi del Sud del mondo.2
Non occorre certo difendere il deplorabile record del governo americano, e delle Corporation che hanno base negli Usa, nei riguardi dei bisogni sanitari delle donne del Sud del mondo per capire che questa retorica ha uno scopo strategico primario: allineare - nel contesto della politica dell'Onu - il Vaticano con il Sud del mondo contro il Nord; e, nel far questo, gettare discredito sul movimento transnazionale delle donne. Ho analizzato altrove questi blocchi di potere e allineamenti strategici.3 Qui voglio invece analizzare ciò che è fondamentalmente sbagliato nella posizione pro famiglia, o in ogni quadro etico di riferimento che asserisca una dicotomia, una subordinazione gerarchica, di alcuni bisogni fisici e sanitari, in particolare quelli relativi alla riproduzione e alla sessualità, ad altri. Già a prima vista tale dicotomia contiene un implicito pregiudizio antifemminista, che la Women's Coalition for ICPD +54 (Coalizione delle donne per Cairo +5) ha messo in evidenza nella sua risposta a questo attacco (vedi il box). Ma aggiungerò anche che a un livello filosofico più profondo, una posizione che oppone i bisogni ai diritti si basa su un errore, e le sue premesse sono errate e addirittura illogiche.
Estratto dalla dichiarazione della Women's Coalition for ICPD +55
I diritti non possono essere separati dai bisogni. La salute sessuale e riproduttiva e altri bisogni umani basilari l'istruzione, l'acqua potabile, il cibo sono ugualmente importanti e interdipendenti; sono tutti diritti umani. Specialmente per le donne, una buona assistenza prenatale e ostetrica, una contraccezione sicura e altri aspetti sanitari sono inseparabili da servizi di base quali trasporti affidabili, condizioni igieniche accettabili e disponibilità di acqua potabile. Allo stesso tempo, il diritto delle donne alla libertà, alla sicurezza personale e allo sviluppo non possono essere ottenuti senza servizi integrati, a basso costo e accessibili per la salute sessuale e riproduttiva, e senza la libertà di prendere decisioni sulla propria fertilità e sessualità. Questi diritti formano una rete inscindibile, e si fondano tutti su diritti umani basilari. Dar loro una gerarchia significa negare le realtà della vita delle donne, specialmente delle donne povere.
Vale la pena di rintracciare le origini di tale pensiero dicotomico, con le sue implicazioni di genere ed etiche. Nella storia, è naturale, la gerarchia della chiesa cattolica rappresentata in Vaticano ha preso una forte posizione anti marxista e anti comunista, mentre il cattolicesimo in sé ha generato invece una delle più onorabili tradizioni sui diritti naturali nell'etica occidentale.
Risulta pertanto assai curioso notare che, per ironia della sorte, il concetto di approccio basato sui bisogni come distinto da quello basato sui diritti, invocato qui da una Ong cattolica alleata del Vaticano, deriva in realtà dal marxismo classico. Esso risale, in modo specifico, alla distinzione di Marx ed Engels tra «la soddisfazione dei bisogni umani» e «i diritti borghesi». Secondo l'interpretazione ortodossa della divisione delle relazioni sociali in due aree, l'area della base materiale e una sovrastruttura ideologica, la prima non solo determina la seconda, ma è deposito delle necessità più basilari per la produzione della vita umana (vale a dire i bisogni materiali). I diritti, invece, definiscono la lista di libertà civili e politiche rivendicate dai gruppi sociali nei confronti di chi detiene il potere per affermare un proprio accesso egualitario sul piano della cittadinanza. Si tratta di mezzi per l'emancipazione, ma non di fini: di condizioni per l'idealismo, per una vita della mente (è da notare, nell'articolo di Vivant! la descrizione dei diritti sessuali e riproduttivi come «standard idealisticamente alti»), ma non di condizioni per una vera vita sociale e materiale. In altre parole, c'è una differenza tra votare o aver diritto alla libertà di parola in materia di aborto (diritti) e il diritto al cibo quotidiano (bisogni).6
Naturalmente esiste in tutto ciò un nocciolo di verità che fa sembrare, a prima vista, le posizioni del Vaticano, così come quella marxista, molto interessanti. I paesi industrializzati, e gli Stati Uniti in particolare, sono in effetti i campioni dei diritti sessuali e riproduttivi, mentre si disinteressano dei bisogni di infrastrutture sanitarie, come le fogne o l'acqua potabile. Consideriamo la dichiarazione di una delegata americana alla terza commissione preparatoria della conferenza di Pechino, nel 1995, che affermava che la delegazione statunitense doveva opporsi a un punto della bozza di Piattaforma sulla sanità, che chiedeva ai governi di «assicurare l'accesso all'acqua potabile e a un sistema di fognature, realizzando efficaci sistemi di distribuzione idrica entro l'anno 2000». Si trattava, affermava la delegata, di un «problema infrastrutturale», e che gli obiettivi «a tempo» di questo genere erano «irrealistici».7 D'altro canto, come hanno notato Mukhopadhyay e Sivaramayya, i governi dei paesi poveri associano lo «sviluppo» alle grandi opere pubbliche «visibili», ai progetti strutturali, «come strade, pozzi» a detrimento dello sviluppo meno visibile, meno «materiale», come l'occuparsi dei bisogni sanitari di donne e bambini8.
Ma la subordinazione dello sviluppo ai diritti politici e civili considerati primari che viene fatta dai paesi del Nord del mondo, e la subordinazione di questi allo sviluppo economico e alla lotta alla povertà (associati ai bisogni umani primari), portata avanti dal Vaticano e da alcuni governi dei paesi del Sud, non sono altro che le due facce della stessa medaglia. Entrambi implicano che i bisogni individuali e sociali, o più semplicemente bisogni e diritti, appartengano a campi diversi. Questa dicotomia, come molti critici hanno notato, si è prodotta nell'ambiente politico della Guerra Fredda, riflettendosi poi nei dibattiti sugli stessi diritti umani. Le femministe, così come gli/le attivisti/e delle organizzazioni per i diritti umani, hanno obiettato che lo stesso concetto di generazioni diverse di diritti implica la priorità dei diritti civili e politici su quelli sociali ed economici. Tale priorità ha un lato evidentemente meschino, come osserva Florence Butegwa:
« I diritti civili e politici si caratterizzano come diritti in negativo e che non costano niente: i governi devono solo astenersi da attività che li violerebbero. Ciò in contrasto con i diritti economici, sociali e culturali: qui i governi devono fare qualcosa, impiegare risorse considerevoli, per assicurare agli individui l'esercizio di questi diritti».9
Sebbene la Conferenza internazionale di Vienna sui diritti umani abbia dichiarato il proprio sostegno unanime al principio di indivisibilità tra i diversi tipi di diritti e tra le rispettive convenzioni internazionali, sebbene la stessa Conferenza abbia anche sostenuto il diritto allo sviluppo come fondamentale e inalienabile, l'impegno internazionale sui diritti economici, sociali e culturali è ancora molto ridotto.10 Il diritto alla «migliore condizione di salute possibile» è sancito dalla Costituzione dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sin dagli anni quaranta e dalla Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR) così come da altri trattati simili sin dagli anni sessanta: eppure si è cominciato a tener conto delle violazioni dei diritti relativi alla salute sessuale e riproduttiva solo intorno al 1994-95, guarda caso, a seguito delle conferenze del Cairo e di Pechino.11 D'altronde, i principali organismi internazionali responsabili di salute e sviluppo la Banca mondiale e l'OMS - hanno raramente impostato (se non addirittura mai) le loro politiche in termini di diritti umani, privilegiando i consueti termini economicisti di costi-benefici. Diritti e bisogni restano divisi perfino all'interno della struttura istituzionale delle Nazioni Unite.
Perpetuare la dicotomia tra diritti e bisogni è un grave errore. I diritti e questo la dicotomia lo nasconde non sono che la codificazione dei bisogni, riformulati in termini etici e in forma legale, e implicano perciò un dovere, da parte di chi è al potere, di soddisfarli. È un dovere sia in positivo e che in negativo, nel senso che «gli Stati hanno l'obbligo non soltanto di rispettare questi diritti (di non causare danno), ma anche di intraprendere azioni positive perché sia [assicurato il godimento dei diritti]».12 I termini umano e universale significano semplicemente che non dovrebbero esistere distinzioni di classe, genere, razza, etnia, età, regione e così via; i diritti appartengono a tutti, e il dovere di realizzarli a tutte le autorità. In altre parole, i diritti non significano nulla, senza i bisogni. Ma i bisogni non possono sostenersi da soli come principi etici, perché a loro manca ogni metodo intrinseco per: (a) determinare quali tra i bisogni devono avere la precedenza, (b) assegnare l'obbligo del loro adempimento ad alcune parti specifiche e, (c) dare il potere, a coloro che più soffrono per quei bisogni, di parlare per se stessi. Senza un qualche riconoscimento di principio dell'essere persona o agente morale disponibile solo attraverso il contesto dei diritti non c'è nulla che possa impedire agli stati, agli esperti della sanità, alle autorità religiose, di decidere ciò che è bene per le donne o i giovani sulla base della loro convenienza politica o di dati globali non rappresentativi della realtà, o sulla base della loro interpretazione fondamentalista delle Sacre scritture.13 I portatori dei diritti, invece che possono essere gruppi o singoli individui sono, per definizione autorizzati ad avanzare delle rivendicazioni ufficiali ai corpi giudicanti stabiliti in difesa dei loro propri bisogni, codificati e formalizzati ora come diritti. Così come afferma una recente pubblicazione della Banca mondiale, «le istituzioni [pubbliche] contano».14
Impostare così la cosa sembra un modo per sfuggire all'interrogativo se alcuni bisogni, e i diritti a essi corripondenti, siano più basilari o fondamentali di altri. Ciò che sto affermando invece, è che tra diritti e bisogni c'è un'interconnessione logica, e che le diverse forme dei diritti sono indivisibili; stabilire quindi una priorità non ha senso. Questo è particolarmente chiaro quando guardiamo concretamente ai diritti sessuali e riproduttivi, e vediamo come essi si integrano con altri diritti nella vita quotidiana delle donne. Perfino decidere se classificare questi diritti come sociali, economici o culturali è molto difficile. Il diritto di tutte le coppie e degli individui «di decidere liberamente e responsabilmente sul numero, il momento e l'intervallo fra le nascite dei propri figli, di avere i mezzi e le informazioni necessarie per esercitare tale diritto», che è il più generico e anche - in molto modi - il più controverso dei diritti, attraversa almeno i seguenti ordini di problemi, che coinvolgono altri diritti umani:15
un servizio sanitario materno-infantile affidabile e sicuro, collegato a servizi di assistenza sanitaria primaria ben funzionanti;
un'alimentazione adeguata e generali condizioni di benessere fisico, per evitare una vasta gamma di rischi e complicazioni, dall'anemia all'infezione da HIV;
l'accesso a metodi sicuri di contraccezione, una buona informazione e un servizio di consultorio che sia anche post natale;
scolarizzazione e alfabetizzazione, capacità di leggere le istruzioni di un medicinale, o i testi contenuti nei poster pubblicitari dei servizi;
accesso al lavoro, all'assicurazione sanitaria o ad altre risorse economiche per poter affrontare le spese sanitarie, specialmente con il crollo dell'assistenza sociale e l'aumento delle tariffe dei servizi;
trasporti adeguati per poter raggiungere i servizi;
libertà da codici religiosi e tradizionali oppressivi che restringono le opportunità di scelta;
libertà dalla minaccia di violenza domestica o dalla costrizione alla procreazione attraverso lo stupro di guerra e la violenza etnica;
partecipazione delle singole donne all'associazionismo di base e alle organizzazioni delle donne, nonché partecipazione delle Ong delle donne, e delle donne stesse, a tutti i livelli in cui si producono decisioni sulle politiche governative in materia di salute sessuale e riproduttiva.16
Possiamo visualizzare questi diversi aspetti dei diritti legati alla salute riproduttiva come una serie di cerchi concentrici, che hanno al centro le questioni i cui rapporti con la riproduzione sono più stretti, e che poi si allargano via via verso le questioni più sociali, fino a quelle globali (vedi il box). Ad esempio, le donne che hanno una propria autonomia in termini di posto di lavoro e di reddito possono comunque essere dipendenti dal marito (se ne hanno uno) per quanto riguarda l'assicurazione sanitaria che copre le spese della maternità, dal momento che tante donne sono impiegate in settori marginali o nel sommerso, e dunque non sono coperte da assicurazione sanitaria.17
La storia di Futhi Il profilo di questa donna è immaginario, ma basato su fatti reali Futhi è una dei 18,5 milioni di donne del mondo che hanno contratto il virus dell'HIV, incinta come il 10,5 per cento di loro; è utente di una delle cliniche urbane che offrono servizi prenatali in Sud Africa. Le origini dell'infezione di Futhi sono nel matrimonio suo marito lavora nelle miniere, sta parecchio tempo lontano da casa e fa sesso non protetto con le prostitute. Ma Futhi non si è mai posta la questione se lasciarlo o no, dal momento che non è in grado di guadagnare abbastanza per mantenere i suoi due bambini. Grazie alle politiche progressiste del suo paese in materia di riproduzione, Futhi ha accesso a una clinica nei dintorni di dove vive. Ma sebbene lì le infermiere le abbiano spiegato l'uso e l'utilità del preservativo, Futhi ha avuto paura di suggerire al marito di usarlo durante i loro rapporti, paura che lui la picchiasse e la accusasse di promiscuità con altri uomini. Inoltre la sua cultura vuole che le donne accontentino i desideri dei mariti. Poi Futhi ha scoperto di essere incinta e sieropositiva all'HIV, e ha affrontato il dilemma di cosa fare. In Sud Africa, entro i primi tre mesi di gravidanza, l'aborto è un diritto delle donne in qualsiasi circostanza. Le infermiere le hanno spiegato che non potrà allattare suo figlio, pena l'enorme rischio di trasmettergli l'infezione, e che l'acqua della zona non è ancora buona abbastanza per poter decidere l'allattamento artificiale. Lei ha sentito dire che ci sono farmaci in grado di prevenire la trasmissione del virus, ma sono prodotti dalle case farmaceutiche americane, e costano troppo perché il governo sudafricano possa permettersi di offrirli ai suoi cittadini attraverso il servizio sanitario. Il governo sta progettando di produrne una sua propria versione a basso costo, nonostante le minacce degli Stati Uniti di imporre al paese sanzioni commerciali. Ma anche se ciò avverrà, ci vuole tempo e Futhi non ha tempo abbastanza. La sua unica scelta è l'aborto. Fortunatamente almeno in Sud Africa abortire è una scelta possibile.18 |
Allo stesso modo, la possibilità di accesso a informazioni adeguate, o a servizi clinici sulla contraccezione, non garantisce alle donne la libertà dalle minacce provenienti dall'ambiente domestico, in base alle quali, se osano utilizzare tali servizi, mettono in pericolo il proprio matrimonio o la propria incolumità. Come ha raccontato una lavoratrice agricola del Nordest del Brasile ai ricercatori di uno studio effettuato in sette paesi dal International Reproductive Right Research Action Group (IRRRAG):
« Aveva l'abitudine di frugare tra le mie cose, [finché non ha trovato una confezione di pillole anticoncezionali nascosta in una valigia]. Sapeva a che servivano. C'era l'etichetta sopra. Mi ha chiesto, Perché hai questa roba? Non vuoi più vivere con me?
Poi ha preso le pillole, le ha messe nell'acqua e le ha fatte sciogliere, e buttando via tutto mi ha detto: Se le vedo ancora in giro dovrai ripagarmi. Per ripagarmi intendeva dire che mi avrebbe picchiato».19
C'è una sostanziosa letteratura che documenta i numerosi legami tra gli episodi di violenza contro le donne, sia domestica che da parte delle istituzioni sanitarie, e i danni potenziali o reali alla salute riproduttiva.20 Ma le barriere all'esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi, o quelle innalzate contro il «diritto al maggior livello di salute possibile», possono essere meno grossolane e meno coercitive. Ci sono studi che rivelano che a volte sono le attiviste stesse, come quelle che lavorano con i governi locali in India, conosciute come panchayats, a essere compiacenti nello stabilire alcune priorità che privilegiano la costruzione di strade a danno delle campagne per la prevenzione di infezioni dell'apparato riproduttivo. Molte donne tendono a vivere i loro problemi di salute come qualcosa di poco importante, quando i soldi scarseggiano, o perfino a viverli come qualcosa di ineluttabile, di naturale, cosicché «si rivolgono tardi ai medici, o non vi si rivolgono affatto».21
Ma le radici più autentiche di questa complicità, di questa rimozione di sé, non sono forse intrecciate a questioni che intaccano direttamente il diritto delle donne allo sviluppo? In altre parole, possiamo separare il diritto allo sviluppo generalmente classificato nella categoria dei diritti economici e sociali dal diritto alla salute riproduttiva e all'istruzione? O da quello, per le donne, di fare parte di Ong, di partecipare ai cambiamenti culturali necessari per acquistare potere e fiducia nel proprio valore? Cosa possiamo dire delle donne iraniane, che soffrono di sterilità, complicazioni alla nascita e bambini nati morti per aver lavorato, sin da quando erano bambine, nell'industria della tessitura dei tappeti, un lavoro che provoca la deformazione delle pelvi?22 Se potessero sottoporre il loro caso a qualsiasi organismo dell'ONU per i diritti umani, quali violazioni dovrebbero denunciare? Dei diritti riproduttivi? Del diritto alla salute? O la violazione del diritto all'istruzione? O quella del diritto di non essere sfruttate con il lavoro minorile e con la servitù coatta? Naturalmente tutti questi diritti sono ugualmente importanti, sono tutti connessi tra loro e tutti esprimono bisogni essenziali per la salute. Mi piacerebbe pensare anche che tutti questi diritti dovrebbero essere intesi come inerenti non solo al discorso sui diritti umani fondamentali, ma anche a quello sullo sviluppo umano sostenibile.
Le femministe dei movimenti transnazionali hanno sottoposto alle conferenze dell'ONU, e agli organismi che vigilano sul rispetto dei trattati, questa impostazione unitaria che rifiuta di separare i diritti dai bisogni, o di cancellare gli aspetti individuali, relativi al sesso e alla salute, dello sviluppo sostenibile. Così facendo hanno trasformato sia il discorso sui bisogni umani che quello sui diritti, e hanno cominciato a produrre strategie efficaci per poter tradurre questi diritti/bisogni in politiche e programmi applicabili. Ma la strada è molto lunga ancora, è una strada bloccata da enormi strutture di potere, perfino quando c'è una volontà politica favorevole a livello dello stato. Il Women's Health Project in Sudafrica il paese forse, in questo momento, più consapevole sul piano dei diritti riporta che «secondo il censimento del 1998, il 20 per cento delle famiglie sudafricane vive in una stanza, e il 46 per cento vive in tre stanze e anche meno» mentre la metà di questi alloggi è privo di acqua corrente e acqua potabile, nonché di servizi igienici di tipo chimico o ad acqua corrente. Il rapporto conclude: «Attualmente sono acqua e fogne, qualità della vita e assenza di malattie, gli indicatori delle condizioni della salute generale, più che la possibilità per la gente di accedere a servizi sanitari istituzionali».23
Condizioni igieniche basilari, come l'acqua potabile e un'abitazione decente e non sovraffollata, sono certamente essenziali per la salute sessuale e riproduttiva e per il benessere generale - sono la condizione per l'uso di anticoncezionali come il diaframma e gli spermicidi, o per partorire e crescere figli sani, o per evitare l'abuso sessuale. Se mancano queste cose le donne sono di fronte a dilemma irrisolvibili, come quello della donna infettata dall'HIV che deve decidere se allattare il suo bambino, esponendolo al rischio di infezione, o nutrirlo con il biberon e il latte in polvere, che va sciolto con l'acqua non potabile, esponendolo al rischio di infezioni batteriche.24 Inoltre la carenza di queste condizioni igieniche è totalmente connessa all'esistenza di potenze economiche globali, e all'egemonia delle multinazionali farmaceutiche Usa, aiutate dal governo americano (spesso con successo) a impedire che i paesi in via di sviluppo diventino capaci di produrre le loro medicine a basso costo per la cura dell'infezione da HIV e dell'AIDS25 (vedi box).
Ora mettete di fronte a queste realtà l'affermazione della delegata americana alla conferenza preparatoria della Conferenza di Pechino che ho citato prima. Smascherare il tono falsamente pragmatico delle posizione Usa, convalidando invece il contesto sanitario complessivo su cui si fonda il rapporto del Women's Health Project, corrisponde a una verità profondamente etica: se certe condizioni infrastrutturali e alcune politiche macro economiche sono indispensabili alla creazione di un ambiente in cui i diritti alla salute sessuale e riproduttiva diventino una possibilità reale, allora queste condizioni e politiche devono venire incorporate nella nostra cornice etica, devono essere capite non solo come bisogni primari, ma come diritti umani fondamentali. Perciò i diritti sociali ed economici non sono più o meno importanti di quelli direttamente legati alla riproduzione, alla sessualità e alla salute; piuttosto, essi formano insieme una sorta di trama di diritti, interdipendenti e indivisibili, ciascuno di essi radicato nei bisogni umani primari.
NOTE
1 Durante la commissione preparatoria della Sessione speciale dellAssemblea generale dellOnu Cairo +5, Vivant! veniva pubblicato quotidianamente da un gruppo che si autodefiniva assemblea Organizzazione non governativa per la stabilità delle famiglie. La sua posizione era molto vicina a quella della delegazione vaticana alle Nazioni Unite (Santa sede) e ci sono molti motivi per credere che lo staff del giornale sia alleato con il Vaticano. Per questo interpreto le sue dichiarazioni come la posizione non ufficiale dalla gerarchia della Chiesa cattolica.
2 Larticolo aveva in bella mostra una foto di una donna nera che sorrideva felice nel raccogliere grano, con una didascalia che recitava: «Le donne nei paesi in via di sviluppo hanno molto più bisogno di nutrimento, acqua potabile e altri servizi sanitari che non di quei prodotti e quei servizi che sono una priorità nei paesi occidentali». Vedi R. Joseph, Lapproccio della salute pubblica basato sui diritti umani, in Vivant! Pro-family news from the United Nations, 23 marzo 1999,3.
3 Vedi R.P. Petchesky, Reproductive and Sexual Right, Social Develpment and Globalization:Charting the Course of Transnational Womens ONGs (Ginevra: United Nations Reasearch Insitute for Social Development) da cui questo articolo è stato adattato; e R.P. Petchesky, From Population Control to Repruductive Rights. Feminist Fault Lines, in Reproductive Health Matters, 1995, 6:152-61.
4 N.d.t. ICPD è lacronimo inglese con cui è indicata generalmente la Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo (in inglese International Conference on Population and Development) che si è svolta al Cairo nel 1994. In italiano si usa lespressione Conferenza del Cairo, per cui la Sessione speciale dellAssemblea generale dellOnu che si è svolta a 5 anni di distanza per valutarne limpatto si indica con lespressione Cairo +5, mentre in inglese si usa ICPD +5.
5 Volantino datato Marzo 1999. Il testo completo può essere richiesto a: HERA, Health, Empowerment, Rights and Accountability, c/o International Womens Health Coalition, 24 East 21st Street, New York, NY 10010, Usa; e-mail: hera@iwhc.org.
6 Questa è una super semplificazione delle idee contenute nella prefazione a La critica delleconomia politica, ne Lideologia tedesca, prima parte, e ne Il Manifesto Comunista. Con ciò non voglio suggerire che lautore dellarticolo si sia deliberatamente ispirato al marxismo. La polemica contenuta nellarticolo contro i diritti e in favore dei bisogni senza dubbio ha una genealogia più tortuosa. Negli anni sessanta e settanta il concetto di bisogni umani basilari fu ripreso dalle posizioni di sinistra, sviluppiste, e dai paesi del Terzo mondo come formula sintetica per indicare le priorità della lotta alla povertà rispetto ai profitti. Vedi G. Sen, Development, Population and Environment: a Search for Balance, in G. Sen, A. Germain, e L. C. Chen, Population Policies Reconsidered: Health, Empowerment and Rights (Cambridge, Harvard University Press, 1994) pp 65-67. Nel loro zelo di identificare il Vaticano con il Sud del mondo, i suoi paladini forse non hanno pensato ai concetti sullo sviluppo di derivazione marxista, prevalenti in molti paesi del Sud.
7 Nella Piattaforma dazione finale, come concessione alle obiezioni avanzate dagli Stati Uniti, la data del 2000 fu omessa e rimpiazzata dalla vaga formulazione «al più presto possibile» vedi la quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, Piattaforma dazione e Dichiarazione di Pechino, Pechino, Cina, 4-15 settembre 1995. La citazione della delegata statunitense lho avuta di prima mano, partecipando, come osservatrice di una Ong, alla terza commissione preparatoria per la Conferenza di Pechino.
8 S. Mukhopadhyay e J. Sivaramayya, Forgino New Parterships:Forward Empowerment in Saroy Pachauri, Implementing a Reproductive Health Agenda in India: The Beginning (New Delhi: Population Council, 1999) p. 349
9 F. Butegwa, International Human Rights Law and Practice: Implication for Women in M.A. Schuler, From Basic Needs to Basic Rights (Washington, DC: Women, Law and Develpment International, 1995), p. 34. Vedi anche, tra gli altri, C. Bunch, Transforming Human Rights from a Feminist Perspective, in J. Peters e A. Wolper (a cura di), Womens Rights/Human Rights: International Feminist Perspectives, Routledge, New York, 1995, pp. 11-17; S.T. Fried, The Indivisibility of Womens Human Rights: A Continuing Dialogue, Center for Womens Global Leadership, New Brunswick, NJ, 1994; R. Copelon e R. Petchesky, Towards an Interdependent Approach to Reproductive and Sexual Rights as Human Rights: Reflections on the ICPD and beyond, in M.A. Schuler (vedi sopra), pp. 343-67; D. Otto, Linking Health and Human Rights: A Critical Legal Perspective, in Health and Human Rights, 1995, 1(3): 272-81; L.P. Freedman, Reflections on Emerging Frameworks of Health and Human Rights, in Health and Human Rights, 1995, 1(4): 314-48; e R.J. Cook, Gender, Health and Human Rights, in Health and Human Rights, 1995, 1(4): 350-66.
10 Dichiarazione e Programma dazione di Vienna, giugno 1993, documento ONU A.Conf.157/24 (1993).
11 La Costituzione dellOMS, adottata alla Conferenza internazionale sulla salute, New York, 19 giugno 22 luglio 1946, firmata il 22 luglio del 46 dai rappresentanti di 61 nazioni; International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights (ICESCR), 1966. Vedi anche lampio compendio di casi in J. Stanchieri, I. Merali a R.J. Cook, The Application of Human Rights to Reproductive and Sexual Rights: A Compilation of the Work of UN Treaty Bodies, Facoltà di legge, Università di Toronto, Toronto (Canada), 1999.
12 R. Copelon e R. Petchesky (vedi nota 9), p.358
13 Sul concetto di essere persona (personhood) vedi S. Correa e R. Petchesky, Reproductive and Sexual Rights: A Feminist Perspective, in G. Sen, A. Germani e L. C. Chen (nota 5), pp 107-26; R. Petchesky 1999 (nota 3); e L. P. Freedman (nota 9).
14 S.J. Burki e G. E. Perry, Beyond the Washington Consensus: Istitutions Matter, (Washington DC, World Bank, 1998); vedi anche, sulla stessa linea, World Development Report 1997: The State in a Changing World, World Bank, Washington DC, 1998.
15 Programma dazione adottato dalla Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo, Cairo, 5-13 settembre 1994, UNFPA, Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, New York, 1996, par. 7.3.
16 Vedi R. Petchesky e K. Judd (a cura di), Negotiating Reproductive Rights: Womens Perspectives across Countries and Cultures (Londra e New York, Zed Books e St. Martin Press, 1998) soprattutto al capitolo 9, che esamina i risultati della ricerca dellIRRRAG sulla presa di potere delle donne in materia di decisioni sessuali e riproduttive.
17 Womens Environment and Development Organization (WEDO), Rights, Risks, and Reforms: a 50-Country Survey Assessing Government Actions Five Years After the International Conference on Population and Development (WEDO, New York, 1999) p.125.
18 Fonti: M. Berer (vedi nota 24); UNAIDS, Aids, Five Years Since ICPD: Emergine Issues and challenges for Women, Young People and Infants (Ginevra, UNAIDS, 1999); Weiss e Rao Gupta (vedi nota 19) p.10; South Africa in WEDO (vedi nota 17), pp. 53-58; e K. Silverstein (vedi nota 25), p.16.
19 Citazione da S.G. Diniz, C. de Mello e Souza, e A.P. Portella, Not Like Our Mothers: Reproductive Choice and the Emergence of Citizenship among Brazilian Rural Workers, Domestic Workers and Housewives, in R. Petchesky e K. Judd (vedi nota 16), pp. 59-60.
20 Vedi S. T. Fried (nota 9); L.L. Heise, Violence, Sexuality and Womens Lives, in R.G. Parker e J.H. Gagnon (a cura di), Conceiving Sexuality (Routledge, New York, 1995), pp. 109-34; L.L. Heise , K. Moore e N. Toubia, Sexual Coercion and Reproductive Health: A Focus on Research (Population Council, New York, 1995); E. Weiss e G. Rao Gupta, Bridiging the Gap: Addressing Gender and Sexuality in HIV Prevention, International Center for Research on Women, Washington D.C., 1998; R. Petchesky a K. Judd (vedi nota 16); e CLADEM (Comitato latinoamericano e caraibico per la difesa dei diritti delle donne) e Center for Reproductive Law and Policy (CRLP), Silence and Complicity: Violence Against Women in Peruvian Public Health Facilities, CRLP, New York, 1999.
21 Il virgolettato è tratto da WEDO (vedi nota 17), pag. 11; vedi anche S. Mukhopadhyay e J. Sivaramayya (nota 8), pag. 347.
22 WEDO (vedi nota 17), pag. 101.
23 WEDO (vedi nota 17) pag. 56, e B. Klugman, From Words to Action: Sexual and Reproductive Rights, Health Policies and Programming in South Africa, 1994-98 (Womens Health Project, Johannesburg, 1998).
24 M. Berer, Reducing Perinatal HIV Transmission in Developing Countries: Ethical and Practical Dilemmas and the Need for a Comprehensive Approach, manoscritto non pubblicato; e HIV/AIDS, Pregnancy and Maternal Mortality and Morbidity: Implications for Care, in M. Berer a T.K.S. Ravindran (a cura di), Safe Motherhood Initiatives: Critical Issues, Blackwell Science, Londra, 1999, pp. 200-201 e seguenti; vedere inoltre H. Kanaaneh, F. McKay ed E. Sims, A Human Rights Approach for Access to Clean Drinking Water: A Case Study, in Health and Human Rights, 1995, 1(2): 190-204.
25 K. Silverstein, Millions for Viagra, Pennies for Diseases of the Poor, The Nation, 19 luglio 1999, pp. 13-19.