Eguaglianza fra i sessi e famiglia nel dibattito più recente delle Nazioni Unite*



Il Comitato diritti umani ha affermato il principio di eguaglianza all'interno della famiglia nella sua Osservazione generale n.28. Il Comitato sottolinea che il diritto di sposarsi comporta l'eguaglianza fra uomini e donne nel contrarre matrimonio solo in base al proprio libero e pieno consenso. "Molti fattori possono impedire alle donne di prendere la decisione di sposarsi in piena libertà. Uno dei fattori riguarda l'età minima al di sotto della quale non è consentito il matrimonio. Tale limite di età deve essere fissato dallo stato sulla base di criteri eguali per i due sessi; criteri che devono garantire alla donna la possibilità di prendere una decisione informata e libera da coercizioni."

A questo proposito il Comitato fa presente l'esistenza di un secondo fattore limitante, rappresentato dal fatto che in alcuni stati esistono norme statutarie o consuetudinarie in base alle quali invece della donna è un suo tutore, in genere di sesso maschile, a dare il consenso al matrimonio. L'esistenza di atteggiamenti sociali che tendono a emarginare le donne vittime di stupro, e a far pressione su di loro perché acconsentano a sposarsi, è incompatibile con i diritti delle donne sanciti dall'articolo 23 del Patto. "Il libero e pieno consenso di una donna al matrimonio può essere minato anche da leggi che consentano allo stupratore una estinzione o riduzione delle proprie responsabilità penali nel caso in cui sposi la vittima dello stupro." La poligamia, sottolinea ancora il Comitato, viola la dignità delle donne, e laddove essa esiste deve decisamente essere abolita.

Secondo il Comitato, l'eguaglianza all'interno del matrimonio significa che moglie e marito devono condividere in modo egualitario responsabilità ed autorità all'interno della famiglia; inoltre, è dovere degli stati anche garantire l'eguaglianza in materia di scioglimento del matrimonio, il che esclude la possibilità del ripudio.

Nel 1991, il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali ha adottato una Osservazione generale sul diritto ad un alloggio adeguato, nel quale, fra le altre cose, si afferma che tale diritto riguarda ogni essere umano. Il riferimento dell'articolo 11 del Patto, ad un livello di vita adeguato per "se stesso e la propria famiglia" rifletteva una concezione della divisione dei ruoli fra i sessi e dei modelli di attività economica che era prevalente e condivisa nel 1966, quando è stato approvato il Patto; ma, afferma il Comitato, tale espressione non può essere interpretata oggi nel senso di limitare l'applicabilità dei diritti sanciti dall'articolo 11, che spettano ad ogni individuo, così come alle donne capofamiglia, o a qualsiasi altro gruppo di persone. Insomma, il concetto di "famiglia" va inteso in senso ampio, e anche gli individui, non solo le famiglie, hanno diritto ad un alloggio adeguato, indipendentemente dalla loro età, dalle condizioni economiche, dal gruppo cui appartengono, o da altra appartenenza o condizione, o da altro fattore analogo. In particolare, così come afferma il comma 2 dell'articolo 2, l'esercizio di tale diritto non deve essere soggetto ad alcuna forma di discriminazione.

Un importante contributo alla definizione di famiglia ed eguaglianza fra i sessi è venuto dalla Relatrice speciale sulla violenza contro le donne. Già nel suo primo rapporto sulla violenza domestica, la relatrice ha sollecitato una lettura ampia del concetto di famiglia, comprensiva della molteplicità di forme che possono assumere i nuclei familiari, e capace di offrire protezione a tutti/e, in qualsiasi tipo di nucleo familiare si trovino a vivere.

Nel suo rapporto del 1999 alla Commissione diritti umani, la relatrice speciale ha affermato che lo stato, attraverso le norme giuridiche e morali da esso emanate, svolge un ruolo importante nella vita familiare, ed anche nel determinare la condizione, i diritti e le vie di ricorso in caso di violazione, per tutti/e i/le singole componenti del nucleo familiare. I ruoli familiari tradizionali delle donne sono radicati in norme sia religiose che di altro genere, relative, fra le altre cose, ai temi della sessualità, della violenza (compreso lo stupro coniugale o la mancanza di riconoscimento di questo problema), la privacy, il divorzio, l'adulterio, la proprietà, la successione, il lavoro, e la custodia dei figli. Tali norme validano e consolidano ulteriormente l'ideologia dominante sulla famiglia tradizionale e sulla posizione delle donne al suo interno. "L'ideologia familiare è spesso un Giano bifronte. Da una lato, offre uno spazio privato di nutrimento ed intimità; dall'altro è spesso sede di violenza contro le donne e di costruzione di norme sociali sul ruolo delle donne nella società che le rendono prive di potere."

In tutto il mondo esistono divisioni fra l'ideale dominante, normativo, della famiglia e la realtà empirica delle diverse forme familiari. Che l'ideale sia rappresentato dalla famiglia nucleare oppure dalla famiglia allargata, tali ideali in molti casi non sono pienamente coerenti con le realtà delle moderne forme assunte dai nuclei familiari. Sono comprese fra tali forme, in misura sempre crescente, i nuclei familiari che hanno come capofamiglia una donna: nuclei in cui una donna vive da sola, o con i propri figli, o per scelta (che può essere una scelta sessuale, lavorativa, o di altro genere), oppure perché vedova, abbandonata, sfollata, o colpita dagli effetti della militarizzazione. Nonostante tali differenze, però, la forma familiare ideologicamente dominante in ogni specifica cultura determina sia la norma che il carattere di ciò che viene definito come estraneo alla norma, e dunque classificato come deviante. Pertanto, la struttura familiare dominante - sia essa dominante nei fatti o solamente nella teoria - rappresenta il metro di paragone in base al quale vengono giudicati tutti i rapporti fra le persone; un metro che serve anche come standard per giudicare, e in molti casi demonizzare, le singole donne che non si attengono ai dettami morali e giuridici in materia di famiglia e sessualità. La misura in cui tali concezioni riguardano e hanno un impatto sulla vita delle donne è mediata da fattori di classe, casta, razza, etnia, accesso alle risorse ed altri modi in cui le donne vengono emarginate.

Il dominio dell'ideologia familiare sia all'interno che all'esterno delle mura domestiche inchioda le donne al ruolo di mogli e madri, e ne ostacola l'accesso a ruoli non tradizionali. Tale ideologia espone le donne alla violenza, sia all'interno che all'esterno della famiglia, perpetuandone la condizione di dipendenza dagli altri, in particolare nel caso delle donne povere e di ambiente proletario, ed espone le donne che non si attengono o non si adeguano ai ruoli sessuali tradizionali a subire crimini fondati contemporaneamente sulla cultura dell'odio e sui pregiudizi di genere. Questo tipo di demonizzazione alimenta e legittima la violenza contro le donne, nella forma di molestie sessuali, stupro, violenza domestica, mutilazioni dei genitali femminili, matrimoni forzati, delitti d'onore ed altre forme di femicidio. I commentatori sostengono che per garantire che i diritti umani delle donne vengano tutelati sia nella sfera pubblica che nella vita privata, è necessaria un'accettazione delle forme familiari non tradizionali. E' essenziale riconoscere dove può potenzialmente svilupparsi la violenza contro le donne e l'oppressione delle donne, all'interno di ogni tipo di nucleo familiare, e lavorare per prevenirla.

La Relatrice speciale sottolinea che uno dei modi principali in cui l'ideologia familiare dominante ha un impatto sulle donne, nonché sugli uomini, è attraverso i dettami in materia di sessualità, e fa presente inoltre che in alcuni paesi la legge sull'asilo riconosce l'esigenza di comprendere anche l'orientamento sessuale nell'ambito dei diritti umani internazionalmente tutelati.

La Relatrice speciale ricorda che il Programma d'Azione adottato dalla Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo afferma la pluralità delle forme familiari, e riconosce che non esiste un modello familiare universale. Alla definizione della famiglia come nucleo fondamentale della società si giustappone il riconoscimento del fatto che la famiglia è frutto di una costruzione sociale, che viene pertanto influenzata e trasformata dai mutamenti demografici e socioeconomici. Gli standard internazionali in materia di diritti umani possono influenzare positivamente questi mutamenti, imponendo che i principi del consenso e dell'eguaglianza rimangano i princìpi base attorno ai quali si ristrutturano questo tipo di relazioni.

Inoltre, mentre già i testi tradizionali in materia di diritti umani hanno fondato la tutela delle famiglie sul pieno e libero consenso dei partner, al giorno d'oggi le norme internazionali hanno anche cominciato ad affrontare la questione dell'autonomia sessuale e del diritto alla privacy di ogni singolo essere umano. La Piattaforma d'Azione di Pechino, ad esempio, afferma che: "i diritti umani delle donne comprendono il diritto ad avere il controllo e decidere liberamente e responsabilmente sulle questioni relative alla propria sessualità, compresa la salute sessuale e riproduttiva, libere da coercizione, discriminazione e violenza."

Alla Relatrice speciale sono pervenute informazioni su molte forme di violenza contro le donne all'interno della famiglia, comprese, ma non solo, forme tradizionali come i maltrattamenti, le percosse, le aggressioni dei mariti nei confronti delle mogli. La Relatrice speciale ha incluso nel suo rapporto del 1996 un modello di legislazione quadro sulla violenza domestica, ed ha sollecitato gli stati ad adottare definizioni più ampie possibili degli atti di violenza domestica e dei rapporti all'interno dei quali essa si verifica, tenendo presente che tali violazioni non presentano caratteristiche specifiche così diversificate in base alle singole culture come appariva inizialmente, in quanto l'aumento dei flussi migratori sta facendo sfumare la distinzione fra pratiche legate alle singole culture, sia formalmente che informalmente. Inoltre, vanno adottate definizioni più ampie possibili, per ottenere una compatibilità con gli standard internazionali in materia. Agli stati si chiede con forza di adottare leggi di vasta portata in materia di violenza domestica, che comprendano vie di ricorso sia penale che civile, piuttosto che limitarsi ad introdurre emendamenti marginali alle norme civili e penali esistenti.

 

*Tratto da: "Consolidare le conquiste, e andare avanti: i diritti umani delle donne a cinque anni da Pechino", paragrafi 36-46 (Ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, maggio 2000)