Migrazioni, diversità culturale, uguaglianza fra i sessi
Rapporto del gruppo di specialiste del Consiglio d'Europa, 1994*



II. Princìpi in materia di diritti umani



I diritti delle immigrate sono tutelati da una serie di norme contenute nelle convenzioni internazionali e nella legislazione nazionale. La Convenzione Europea sui diritti umani e le convenzioni delle Nazioni Unite in materia di diritti umani sono finalizzate a garantire e tutelare tutti i diritti umani e le libertà, senza distinzioni di sesso, razza, colore della pelle, lingua, religione, opinioni politiche o di altra natura, origine nazionale o sociale, ecc. La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), firmata e ratificata dalla maggior parte degli stati, sia europei che extra-europei, afferma, tra le altre cose, il principio secondo il quale è dovere degli stati parte garantire la parità di diritti fra donne e uomini nell’esercizio di tutti i diritti umani. Anche le costituzioni della maggior parte dei paesi europei contengono norme che dichiarano illegale ogni forma di discriminazione razziale o etnica e la discriminazione in base al sesso. In molti paesi esistono anche leggi ad hoc contro la discriminazione razziale o etnica e contro la discriminazione in base al sesso, in particolare nel mondo del lavoro.

Nonostante tutto ciò, i mutamenti radicali che si sono verificati negli ultimi anni sul terreno politico e sociale hanno portato a una ripresa e riaffermazione di identità e politiche nazionalistiche ed etniche. Nella maggior parte delle società europee, si è verificato un incremento di xenofobia e di aggressioni razziste. In alcuni casi, sono stati aggrediti con violenza non solo immigrati extra-europei giunti in Europa di recente, ma anche gruppi di immigrati il cui insediamento era ormai consolidato. Quando le popolazioni immigrate si sentono escluse dalla società di accoglienza, perché vengono loro negati i diritti umani fondamentali, l’alienazione dai valori della società che appare averli rifiutati può prendere la forma di un rifugiarsi nella cultura d’origine. Laddove ciò comporta un ritorno a concezioni patriarcali per ciò che riguarda la condizione delle donne, questo processo può portare ad una messa in discussione del principio di universalità dei diritti umani. Oltre a ciò, si è verificato anche un incremento di tutte le forme di estremismo, e anche questo può incidere sugli atteggiamenti nei confronti dell’uguaglianza fra i sessi.

Subordinare l’accettazione ed applicazione degli standard internazionali in materia di diritti umani al rispetto di norme o pratiche religiose, o pratiche tradizionali e consuetudinarie, rappresenta un grave attacco all’universalità dei diritti umani. Inoltre, l’uguaglianza fra donne e uomini rappresenta ormai uno dei princìpi fondanti su cui si basa la comunanza di leggi e culture che unisce fra loro i diversi paesi europei, e la stessa comunità internazionale. Pertanto, quando si tratta di garantire il rispetto dei diritti umani ed il loro effettivo esercizio da parte degli immigrati — e soprattutto delle immigrate — ci si deve impegnare in modo particolare per garantire che venga affrontato ogni tipo di violazione dei diritti umani, qualunque ne sia l’origine.

E’ chiaro che molte delle preoccupazioni espresse rispetto a determinati aspetti delle culture delle popolazioni immigrate riguardano principalmente questioni relative alla condizione e ai diritti delle donne. Si tratta di questioni che attengono alla sfera del matrimonio (in particolare i matrimoni forzati, l’età del matrimonio ed il divorzio), il diritto di famiglia, le mutilazioni dei genitali femminili, l’istruzione e la partecipazione alla vita sociale, la posizione delle giovani immigrate che si trovano strette fra due culture (ad esempio nel caso di conflitti inter-generazionali relativi alla libertà personale), ed altre questioni analoghe. Molte immigrate possono essere all’oscuro del fatto che le leggi del paese europeo di accoglienza tutelano i loro diritti in alcuni ambiti, ad esempio quello della violenza in famiglia, oppure che consentono loro, in altri campi, una libertà maggiore di quanto sarebbe stato nel paese d’origine. Inoltre le comunità immigrate non sempre si rendono conto che i costumi stanno mutando anche nel loro paese d’origine, in cui è cambiata la posizione delle donne, e con essa le norme di condotta e i comportamenti. Le immigrate, giovani e meno giovani, possono non essere informate su questi mutamenti in corso, e dunque rimanere intrappolate in una dimensione temporale distorta.

Le norme più rilevanti in materia di diritti umani in Europa sono contenute in due strumenti internazionali: la Convenzione Europea sui Diritti Umani del 1950, con i suoi protocolli aggiuntivi, e la Carta Sociale Europea del 1961. Ad essi vanno aggiunte alcune dichiarazioni adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa su alcuni temi specifici, quali ad esempio: la Dichiarazione sull’intolleranza (1981), la Dichiarazione sulla libertà d’espressione e di informazione (1982), e la Dichiarazione sull’uguaglianza fra donne e uomini (1988). Inoltre, un documento che integra la Convenzione del 1950 è la Convenzione europea sullo status giuridico dei lavoratori migranti, che fissa il principio della parità di trattamento e propone misure speciali in materia di riqualificazione, formazione professionale ed insegnamento della lingua madre delle popolazioni immigrate. In questa convenzione, in realtà, si nota come il presupposto sottostante a tutte le norme è che l’immigrato sia di sesso maschile. La Convenzione quadro per la tutela delle minoranze nazionali, del 1994, può essere un riferimento utile in alcuni casi, in particolare all’articolo 5, che promuove la tutela e lo sviluppo del patrimonio culturale delle minoranze. Poiché tale convenzione non contiene una definizione di cosa siano le minoranze nazionali, alcuni stati hanno deciso, o possono decidere, che l’applicazione delle sue norme debba essere diretta anche agli immigrati/e, e alle loro famiglie.

Gli stati contraenti della Convenzione europea sui diritti umani (ECHR) hanno il dovere di garantire che la loro legislazione interna ne applichi con efficacia le disposizioni, in particolare per quanto riguarda i diritti civili e politici. La Carta Sociale Europea, che è stata recentemente oggetto di revisione, contiene ulteriori obblighi, che gli stati contraenti si sono impegnati a rispettare, e che riguardano la realizzazione di condizioni che promuovano il progresso sociale ed economico. Gli strumenti di verifica sull’applicazione della Carta, fondati sulla presentazione di rapporti da parte dei governi, non sono giustiziabili, non prevedono cioé il ricorso alla magistratura per il rispetto dei propri diritti. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha però recentemente adottato un protocollo aggiuntivo alla Carta Sociale, che viene considerato integrativo all’esame dei rapporti dei governi, e che potrebbe aumentare notevolmente il grado di tutela dei diritti previsti dalla Carta Sociale.

Gli articoli della Convenzione europea sui diritti umani più rilevanti rispetto alle materie trattate dal Gruppo sono:

Articolo 3: diritto a non essere sottoposti a trattamenti o punizioni disumani o degradanti.Articolo 8: diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Articolo 9: libertà di coscienza e di religione, e di cambiare la propria religione, nonché libertà di manifestare la propria religione o credo attraverso il culto, l’insegnamento, la pratica e l’osservanza.

Articolo 10: libertà di espressione. Gli articoli 8, 9 e 10 hanno come limite l’esigenza di tutelare i diritti e le libertà altrui in una società democratica.

Articolo 12: libertà di contrarre matrimonio per uomini e donne in età nella quale è consentito il matrimonio.

Articolo 14: i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione devono essere garantiti a ciascuno, senza discriminazioni in base a sesso, razza, colore della pelle, lingua, religione o origine nazionale.

Protocollo n.1

Articolo 2: diritto all’istruzione, ed obbligo per lo stato di rispettare il diritto dei genitori di garantire tale istruzione conformemente alle proprie convinzioni religiose.

Protocollo n.4

Articolo 2: libertà di movimento, salvo limitazioni per motivi di ordine pubblico e sicurezza nazionale.

Protocollo n.7

Articolo 1: gli stranieri legalmente residenti non possono essere espulsi senza una decisione dell’autorità giudiziaria.

Articolo 5: parità di diritti fra i coniugi, ed in rapporto alla prole, durante il matrimonio ed in caso di suo scioglimento.

Gli articoli della Carta sociale europea del 1961 più pertinenti rispetto alle materie qui trattate sono:

Parte I:

Protocollo aggiuntivo

Articolo 1: diritto alle pari opportunità ed alla parità di trattamento in materia di occupazione e lavoro, senza discriminazioni in base al sesso.

Le tre Dichiarazioni sopracitate contengono anch’esse affermazioni rilevanti, che però non hanno carattere giuridicamente vincolante. In particolare:

Dichiarazione sull’intolleranza: Parte IV

Gli stati concordano di prendere in esame il rafforzamento di misure di legge contro l’intolleranza, e di promuovere una sensibilizzazione in materia di diritti umani, incoraggiando nelle scuole la comprensione ed il rispetto per le qualità e le culture degli altri.

Dichiarazione sulla libertà d’espressione e di informazione: Parte III

Gli stati decidono di promuovere il libero flusso delle informazioni (...), promuovendo inoltre (...) l’arricchimento reciproco fra le culture.

Dichiarazione sull’uguaglianza fra donne e uomini

Tutti i capitoli di questa Dichiarazione sono pertinenti rispetto al nostro lavoro, ed in particolare quelli in cui gli stati si impegnano a portare avanti politiche mirate ad un’uguaglianza di fatto, a promuovere la sensibilizzazione, ad applicare strategie per accelerare il raggiungimento dell’uguaglianza in materia di tutela dei diritti individuali, partecipazione alla vita pubblica, occupazione nel pubblico impiego, e libertà di scelta nell’accesso all’istruzione e alla formazione professionale. Fra gli impegni assunti, anche quello a prevedere misure per eliminare la violenza in famiglia, e promuovere l’indipendenza economica delle donne.

Va notato, peraltro, che esiste un divario molto significativo fra la tutela giuridica del principio di eguaglianza fra donne e uomini garantita a livello nazionale e le garanzie a livello europeo. L’articolo 14 della Convenzione Europea sui diritti umani (ECHR) non sembra in grado di fornire una tutela adeguata contro le discriminazioni in base al sesso - è una norma non autonoma - e il principio di uguaglianza è comunque riconosciuto dalle norme costituzionali o da altre norme di legge. L'articolo 14, peraltro, è raramente utilizzato dalle donne. Il Consiglio d’Europa sta pertanto discutendo se una garanzia esplicita del diritto sostanziale di donne e uomini all’uguaglianza debba essere inclusa nel Protocollo aggiuntivo alla ECHR. L’esistenza di standard giuridici espliciti e vincolanti, e di procedure efficaci per la loro applicazione a livello nazionale, regionale ed internazionale, risulterebbe utile per promuovere la realizzazione dei diritti umani delle donne.

Gli obblighi paralleli per ciò che riguarda da un lato l’uguaglianza fra donne e uomini e dall'altro l’uguaglianza fra immigrati che hanno nazionalità straniera ed i cittadini di uno stato, sono obblighi sanciti separatamente l’uno dall’altro, e senza riferimenti incrociati. Numerosi testi e studi sottolineano l’idea di società multiculturali, in cui ciascuna cultura deve essere rispettata, indipendentemente dal fatto se essa ha avuto origine in Europa o su un altro continente. La domanda da porre è però se esistano conflitti fra il diritto all’uguaglianza fra donne e uomini sancito dagli strumenti giuridici esistenti a livello internazionale, da un lato, e dall’altro i diritti e le politiche che promuovono il diritto all’uguaglianza da parte delle minoranze etniche o della popolazione immigrata. E se tali conflitti esistono, quali princìpi si possono invocare, quali orientamenti si possono adottare nella pratica, per contribuire a dirimerli?

Il Gruppo ritiene che, coerentemente con i principi del diritto internazionale in materia di diritti umani, in tutti i paesi si debba ricercare un equilibrio fra diritti che appaiono di natura conflittuale, e altri princìpi fondamentali delle società democratiche. La misura nella quale una persona può agire in base agli standard stabiliti dalla propria appartenenza culturale o dalle proprie convinzioni religiose, trova dunque il suo limite nella misura in cui tali azioni interferiscono con i diritti altrui o li limitano, oppure contraddicono i princìpi prevalenti su cui si fonda lo stato. In alcuni casi estremi (ad esempio le mutilazioni dei genitali femminili) è chiaro che si tratta di pratiche contrarie ad ogni interpretazione accettabile dei diritti umani. In altri casi, invece (ad esempio l’uso del fazzoletto islamico) la questione è molto più controversa. Alcuni/e ritengono che tale pratica entri in conflitto con il principio di uguaglianza fra donne e uomini, mentre altri/e sostengono che essa rientri nei limiti accettabili dell’espressione di una diversità culturale.

Quando questo tipo di conflitti si verifica, o appare verificarsi, il primo passo essenziale da compiere è esaminare la base fattuale del caso, per determinare di quale entità e di quali dimensioni siano le divergenze. I dibattiti che si soffermano sulle basi teoriche o filosofiche a sostegno di diritti o convinzioni che sono fra loro in conflitto, si scontrano presto con forti difficoltà, a causa delle numerose ambiguità di significato, dei diversi assunti di partenza, delle diverse interpretazioni concettuali, e dell’emotività che questo tipo di dibattiti spesso provoca. È pertanto essenziale, quando tali conflitti emergono, specificare con chiarezza i problemi e la posta in gioco, a partire dalle seguenti domande:

  1. Su quale base si fonda il conflitto in questione? ad es: convinzioni religiose, consuetudini familiari o della comunità di appartenenza, convinzioni personali;
  2. Qual è l’oggetto del contendere? ad es.: programma scolastico, o strutture e organizzazione degli studi, requisiti di abbigliamento posti dalla scuola, norme alimentari, contatti sociali, matrimonio e diritto di famiglia, accesso alla formazione e al lavoro, tipo di lavoro, orari e condizioni di lavoro, status giuridico, ecc.;
  3. Quale forma assume il conflitto? ad es.: omissione, negazione, rifiuto, coercizione, pressione indebita, uso della forza, violenza. Altre forme di pressione coercitiva possono comprendere l’espressione di ostilità da parte della comunità di appartenenza, l’isolamento o l’esclusione. All’interno della famiglia, la pressione ad adeguarsi alle tradizioni può anch’essa assumere diverse forme, che vanno dall’opposizione, all’ostilità, alla violenza;
  4. Le azioni controverse riguardano uomini e donne allo stesso modo?
  5. Che spazio c’è di mediazione e di conciliazione?

Una considerazione essenziale da tener presente riguarda la libertà di scelta della persona/delle persone interessate. Ciascuna persona, infatti, dovrebbe essere libera di scegliere se praticare una religione, seguire le consuetudini e le tradizioni familiari oppure no. In campo economico, le persone dovrebbero poter scegliere quale tipo di formazione e quale lavoro intraprendere, e il luogo dove vivere. A livello personale, dovrebbe essere garantito a ciascuno/a la libertà in materia di relazioni e consuetudini sociali, scelta del partner, matrimonio, scelta se formare o meno una famiglia. Questa libertà di scelta deve riguardare in modo egualitario sia donne che uomini, senza discriminazioni su base etnica, razziale, sociale o culturale.

La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani non offre grande guida sui potenziali conflitti fra diversità culturale ed uguaglianza fra donne e uomini. La Convenzione Europea sui diritti umani tratta dei diritti culturali in misura molto limitata, e non è in grado di fornire una tutela adeguata contro le discriminazioni in base al sesso. Nella lista dei casi sottoposti alla Corte europea sui diritti umani, si nota un solo caso significativo rispetto al tema del rapporto fra diritti culturali e diritto all’uguaglianza: si tratta di un caso relativo all’educazione sessuale obbligatoria nelle scuole. In altri casi, relativi a questioni di immigrazione e di ricongiungimento familiare, la Corte ha stabilito che le norme in materia non devono contenere discriminazioni in base al sesso, ma nella pratica la realtà economica porta comunque ad una maggiore ammissione di uomini per motivi di lavoro, e di donne nella veste di familiari a carico. Per lo stesso motivo, le immigrate riescono con maggiore difficoltà ad esercitare il proprio diritto al matrimonio, laddove decidano di chiedere il ricongiungimento con un coniuge di nazionalità straniera; è infatti più facile per gli uomini che per le donne soddisfare i criteri di reddito previsti dalla legge per i casi di ricongiungimento con il coniuge.

 

*Tratto da "Donne, migrazioni, diversità: l’Italia di oggi e di domani", atti del seminario 1 marzo 2001, in corso di pubblicazione a cura della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità.

1. Il seguente testo è tratto dal Rapporto finale del Gruppo di specialiste/i nominato nel 1994 dal Consiglio d’Europa per affrontare queste tematiche, e che nel corso di questo testo verrà definito come "il Gruppo". Gli stati membri del Consiglio d’Europa sono: Albania, Andorra, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Estonia, Federazione Russa, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Moldavia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica ex-jugoslava di Macedonia, Repubblica Slovacca, Romania, San Marino, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria. Il Gruppo è stato istituito congiuntamente dal Comitato Direttivo per l’uguaglianza fra donne e uomini (CDEG), e dal Comitato europeo sulle migrazioni (CDMG), i due organismi del Consiglio d’Europa che si occupano di questi temi, e ha concluso i suoi lavori nel 1995. Sono stati pertanto omessi in questa traduzione i capitoli che contengono dati e statistiche, in quanto ormai superati, e anche altri capitoli, relazioni e approfondimenti, di mole troppo vasta per essere inserita nella presente pubblicazione. Un testo completo del Rapporto, in inglese o francese (Final Report of Activities, Joint Specialist Group on Migration, Cultural Diversity and Equality of Women and Men, EG/MG (96) 2 rev.), può essere richiesto direttamente al Consiglio d’Europa.

2. Capitolo III, paragrafi 23-37.

3. N.d.T. Vengono definiti "stati parte" gli stati che hanno ratificato una convenzione o trattato internazionale.

4. Vedi Espeth Guild, Rapporto al Seminario "Women and migration:establishing the fundamental right to equality in a setting of cultural diversity", Council of Europe, Strasburgo, 4-5 luglio 1995. Il testo è contenuto nella pubblicazione in inglese e francese del presente Rapporto.