Migrazioni, diversità culturale, uguaglianza fra i sessi
Rapporto del gruppo di specialiste del Consiglio d'Europa, 1994*



III. Le donne nel contesto delle migrazioni 2



Le donne coinvolte dal processo di migrazione, che si trattasse di immigrate temporanee o insediate da lungo tempo, di profughe, di rappresentanti di minoranze etniche o connotate sul piano razziale, sono rimaste invisibili nelle ricerche e nell’elaborazione di politiche su questi temi. La loro invisibilità storica non deve però impedire una presa di coscienza delle differenze significative esistenti fra loro, in termini di classe, status giuridico in quanto migranti, provenienza etnica e categorizzazione sul piano razziale, e realtà economica e sociale, sia all’interno dei diversi paesi che fra un paese e l’altro.

È difficile raccogliere dati su quante sono le immigrate nelle società europee3, ed esaminarli dettagliatamente in base a criteri quali l’origine, lo status giuridico, ecc. Anche se le donne sono ormai una percentuale sempre più significativa della popolazione immigrata, sono state trattate come soggetti secondari nel processo migratorio. Inoltre, le differenze metodologiche rendono difficile un raffronto fra i paesi, in parte anche a causa delle differenze terminologiche indicate nei paragrafi precedenti.

Oltre a ciò, non esiste una definizione consensuale su come indicare le diverse categorie di donne di origine migrante o esse stesse immigrate, né fra i diversi paesi europei né al loro interno. Le donne, ad esempio, arrivano in Europa anche come richiedenti asilo, e come rifugiate per motivi politici o umanitari. Infine, la chiusura dei confini dell’Europa ha portato di recente alla formazione di un gruppo crescente di immigrate irregolari, spesso definite "clandestine", che giungono in Europa in cerca di lavoro e di sussistenza. Sul loro numero le stime sono solo molto approssimative. Esiste tuttavia un fenomeno crescente, caratterizzato dalla presenza di immigrate irregolari provenienti da Capo Verde, la Filippine, Sri Lanka, Thailandia, e da alcuni paesi africani, e che si insediano in paesi quali l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia, alla ricerca di occupazione come lavoratrici domestiche per le case private. Studi condotti in Italia hanno dimostrato come l’immigrazione di queste donne è il risultato diretto della domanda di lavoro domestico da parte delle famiglie italiane. Questo tipo di immigrazione era nata come temporanea, ma ha ormai assunto carattere permanente.

Infine, un’altra linea di demarcazione all’interno della popolazione immigrata è quella che si è creata con la nascita dell’Unione Europea. Oggi esistono differenze profonde fra cittadini degli stati membri dell’Unione Europea (che non vengono più considerati immigrati) e cittadini di paesi terzi (cioé immigrati provenienti da paesi extra-comunitari), per ciò che riguarda molte categorie di diritti, compreso il diritto alla libertà di movimento, al lavoro e alla scelta della residenza. (…)

Nel ragionare sugli sviluppi futuri, è particolarmente importante esaminare la situazione delle giovani di origine migrante, ma nate e formate in Europa, e che parlano una lingua europea. Le seconde generazioni, e oltre, di donne e di ragazze hanno visto le loro madri emarginate in lavori umili e monotoni, molti dei quali sono stati ormai cancellati dai mutamenti nella struttura del mercato del lavoro, e che comunque non hanno alcuna attrattiva per le donne della seconda generazione, a meno che non siano accompaganti da prospettive di sviluppo professionale. I problemi delle generazioni seguenti a quella di prima immigrazione sono molto diversi da quelli di quest’ultima. Queste donne spesso continuano ad essere escluse dall’esercizio di pari opportunità, a causa di discriminazioni etniche e razziali, che possono essere intenzionali o meno, dirette o indirette. Dai dati risulta che, in alcuni paesi, le giovani donne provenienti da alcuni gruppi di famiglie immigrate ottengono titoli di studio agli stessi livelli delle loro coetanee "autoctone", e migliori dei coetanei maschi provenienti dagli stessi gruppi4. Nonostante ciò, pur avendo ottenuto una formazione ed istruzione nei paesi europei in cui sono nate, con le stesse aspirazioni di carriera delle loro coetanee autoctone, a queste ragazze viene negata la parità di opportunità sul mercato del lavoro.

Dai dati empirici di numerosi paesi europei risulta che le giovani immigrate di seconda generazione sono sovra-rappresentate fra i disoccupati, ed in generale meno integrate in posti di lavoro regolari di quanto avvenga per le loro coetanee autoctone. In alcuni casi l’esistenza di trattamenti preferenziali per i/le giovani che hanno la cittadinanza del paese, o di un altro paese UE, creano discriminazioni contro le giovani "straniere" in cerca di lavoro. Come notato in precedenza, l’esistenza di livelli più alti di disoccupazione non sempre è motivata dalla mancanza di titoli di studio, ma invece dall’esistenza di discriminazioni dirette e indirette. Oltre a ciò, la scarsità di prospettive, la disparità delle opportunità e l’iniquità del mercato del lavoro possono demotivare le giovani immigrate, e minare la loro fiducia nei vantaggi di ottenere livelli più alti di formazione. Le/i giovani che appartengono a gruppi sociali più vulnerabili si scoraggiano, e semplicemente rinunciano alla ricerca di un lavoro. Sentendosi discriminati e rifiutati dal grosso della società, alcuni protestano, e mostrano segni di disperazione sempre crescente. I giovani maschi, ad esempio, possono unirsi ad una qualche banda, e la loro rabbia diventa sempre più acuta. Sia i giovani che le giovani, di fronte al fatto che il paese in cui vivono li tratta come estranei, possono reagire chiudendosi nella propria comunità, sia per esprimere un’identificazione con le proprie tradizioni e le proprie origini, sia anche in cerca della sicurezza emotiva e della affermazione di sé che possono nascere dal riferimento al proprio ambiente e alla propria religione.

Le società europee sono sempre più sensibili nei confronti delle diversità culturali, etniche e religiose, ma ovviamente le questioni da affrontare e risolvere sono numerose, e riguardano:

  1. Lo status: lo status giuridico delle immigrate, i loro diritti umani, il diritto alla pari dignità e valore sia nel paese di residenza che nella comunità di appartenenza.
  2. La segregazione professionale: permangono ancora modelli antichi di segregazione. I lavoratori e le lavoratrici immigrate hanno a lungo occupato un ruolo ben preciso nelle strutture industriali dell’Europa occidentale. Le donne, in particolare, rappresentavano in un certo senso un segmento ideale della forza lavoro, in quanto c’era bisogno di loro, e della loro disponbilità ad accettare i lavori industriali più monotoni, precari, dequalificati e malpagati, che non riuscivano ad attrarre uomini e donne autoctoni. Queste donne erano anche occupate in mansioni umili nel settore dei servizi, come ausiliarie nei servizi sanitari, negli alberghi e nella ristorazione, come donne delle pulizie e aiutanti in cucina. Si tratta di sbocchi occupazionali tuttora rilevanti per loro, ma di posti di lavoro spesso part time, senza alcuna sicurezza né prospettive di miglioramento.
  3. Futuro sul mercato del lavoro: quali sono le prospettive occupazionali future per le immigrate e le loro figlie, nell’attuale clima economico di trasformazione tecnologica e strutturale? Quale sarà la nicchia che viene loro riservata nel mercato del lavoro, quali saranno le loro funzioni nell’economia europea? Appare un segnale preoccupante il fatto che il lavoro domestico sta divenendo sempre più importante per le immigrate, sia regolari che irregolari. (...) I datori di lavoro spesso preferiscono assumere immigrate irregolari, in quanto ciò consente loro di non pagare i contributi sociali.
  4. La mancanza di strutture sociali di sostegno: si può notare un legame fra incremento dell’attività economica delle donne autoctone e partecipazione al mercato del lavoro delle immigrate. Negli ultimi dieci-quindici anni sempre più europee sono entrate nel mercato del lavoro, ma le strutture di sostegno per le madri lavoratrici, quali ad esempio le strutture per l’infanzia, i congedi parentali retribuiti e le strutture per l’assistenza dei malati e degli anziani, sono ancora molto carenti, tranne che nei paesi nordici caratterizzati da un forte welfare state.

La riconciliazione tra vita familiare e professionale, sia per gli uomini che per le donne, è uno degli obiettivi principali delle politiche di parità. Esistono vari modi di sostenere questo obiettivo, quali ad esempio la flessibilità dell’organizzazione del lavoro e la creazione di strutture per l’infanzia. Per molte famiglie, una soluzione è fornita anche dalle lavoratrici domestiche. E’ molto importante evitare che questo divenga una forma di lavoro vincolato, o di occupazione priva di protezione sociale, nella quale sono le donne immigrate a subire le conseguenze del desiderio delle famiglie autoctone di riconciliare vita familiare e vita lavorativa. Se le lavoratrici domestiche vengono segregate nel lavoro nero e privo di protezione sociale, c’è il rischio dell’emergere di un sottoproletariato femminile, etnicamente connotato, al cui sfruttamento contribuiscono le donne della popolazione maggioritaria dominante. Una solidarietà fra donne immigrate ed autoctone può aiutare entrambi i gruppi nella loro lotta per ottenere lavoro retribuito, sicurezza sociale, status giuridico autonomo ed indipendenza economica dal maschio "capofamiglia" produttore di reddito.

*Tratto da "Donne, migrazioni, diversità: l’Italia di oggi e di domani", atti del seminario 1 marzo 2001, in corso di pubblicazione a cura della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità.

 1. Il seguente testo è tratto dal Rapporto finale del Gruppo di specialiste/i nominato nel 1994 dal Consiglio d’Europa per affrontare queste tematiche, e che nel corso di questo testo verrà definito come "il Gruppo". Gli stati membri del Consiglio d’Europa sono: Albania, Andorra, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Cipro, Estonia, Federazione Russa, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lettonia, Liechtenstein, Lituania, Lussemburgo, Malta, Moldavia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica ex-jugoslava di Macedonia, Repubblica Slovacca, Romania, San Marino, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ucraina, Ungheria. Il Gruppo è stato istituito congiuntamente dal Comitato Direttivo per l’uguaglianza fra donne e uomini (CDEG), e dal Comitato europeo sulle migrazioni (CDMG), i due organismi del Consiglio d’Europa che si occupano di questi temi, e ha concluso i suoi lavori nel 1995. Sono stati pertanto omessi in questa traduzione i capitoli che contengono dati e statistiche, in quanto ormai superati, e anche altri capitoli, relazioni e approfondimenti, di mole troppo vasta per essere inserita nella presente pubblicazione. Un testo completo del Rapporto, in inglese o francese (Final Report of Activities, Joint Specialist Group on Migration, Cultural Diversity and Equality of Women and Men, EG/MG (96) 2 rev.), può essere richiesto direttamente al Consiglio d’Europa.

2. Questo capitolo contiene una parte consistente (i paragrafi 38-41, parte del paragrafo 44, e i paragrafi 45-48) del Capitolo IV del Rapporto; sono stati omessi i paragrafi che contenevano dati e statistiche, in quanto per la maggior parte erano riferiti al 1991, o all’inizio degli anni ’90, e risultavano quindi ormai obsoleti.

3. Il paragrafo 42 del Rapporto, omesso in quanto obsoleto, riporta una stima, per l'inizio degli anni '90, di 10-15 milioni di immigrati/e, con una percentuale di donne di circa il 43-45%.


4. Vedi Mona Granato: Rapporto al Seminario "Women and migration:establishing the fundamental right to equality in a setting of cultural diversity", Council of Europe, Strasburgo, 4-5 luglio 1995. Il testo è contenuto nella pubblicazione integrale del presente Rapporto, in francese e inglese.