Migrazioni, diversità culturale, uguaglianza fra i sessi
Rapporto del gruppo di specialiste del Consiglio d'Europa, 1994*

V. Barriere e ostacoli nella sfera privata



Il semplice fatto che una donna dipenda dallo status giuridico del marito per ottenere il permesso di soggiorno e di lavoro può significare che il marito è in grado di esercitare su di lei un potere patriarcale. E’ tuttavia probabile che questo abuso di potere, cioé il controllo sociale di mogli e figlie che può impedire una libera scelta del proprio stile di vita, si registri più frequentemente nelle culture e nei gruppi religiosi nei quali l’autorità unilaterale del maschio è parte integrante della tradizione e del diritto di famiglia. Senza cadere nell’eurocentrismo, o nella "demonizzazione" di interi gruppi etnici o religioni, è necessario esaminare attentamente gli aspetti che nelle diverse culture, religioni e tradizioni rendono possibile il controllo degli uomini sulle donne, e la subordinazione di queste ultime.

La Raccomandazione sulle relazioni comunitarie del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa agli stati membri sottolinea che le politiche di questi ultimi devono essere basate sul principio di "un atteggiamento di apertura verso le culture e i costumi di cui sono portatori gli immigrati, nella misura in cui essi siano compatibili con la legislazione nazionale". Con l’immigrazione di gruppi etnici e religiosi da paesi e culture nelle quali il diritto o la tradizione stabiliscono una disuguaglianza nella divisione dei ruoli fra i due sessi, e gli uomini esercitano un dominio nei confronti delle donne, possono sorgere conflitti, non solo rispetto al diritto nazionale, ma anche rispetto a quello di altri paesi. Il punto di partenza esplicito adottato dal Gruppo è stato che non è consentito, in nome della cultura o della religione, negare alle donne i diritti e le libertà fondamentali, o imporre loro coercizioni, o costringerle a sottostare alle decisioni unilaterali di sistemi patriarcali di attribuzione dell’autorità.

In passato, quando l’immigrazione proveniva principalmente da paesi i cui sistemi familiari erano relativamente simili, i terreni di possibile conflitto giuridico fra diritto nazionale e quello di un paese estero, su temi relativi al matrimonio e alla vita familiare, non costituivano motivo di grave preoccupazione nella maggior parte dei paesi europei. Più recentemente, assistiamo all’immigrazione da paesi e culture diversi sul piano delle pratiche, delle consuetudini, e del diritto in materia di matrimonio e di famiglia. Le tendenze fondamentaliste, ad esempio i settori politicizzati dell’islamismo, possono senza dubbio attaccare pesantemente i diritti umani delle donne. Vanno però tenute presente due cose: in primo luogo il fondamentalismo è la stessa cosa dell’Islam, ed in secondo luogo non è un fenomeno esclusivamente musulmano. Esistono tendenze fondamentaliste anche in altre fedi, ad esempio in alcuni settori del cristianesimo, che anch’esse rappresentano un attacco ai diritti umani fondamentali delle donne, quali i diritti riproduttivi ed il diritto al controllo sul proprio corpo.

Anche quando la donna non viene considerata soggetta all’autorità patriarcale, possono esistere ostacoli all’uguaglianza fra i sessi, fondati sulle idee diverse relativamente al ruolo e alla posizione che spettano a donne e uomini. Esistono società e culture nelle quali uomini e donne hanno ruoli complementari, con la donna responsabile principalmente della vita domestica, e l’uomo che esercita la funzione di capofamiglia, cui spetta l’autorità di prendere le decisioni che riguardano l’insieme della società. Questa divisione dei ruoli porta ad una percezione diversa della misura in cui le donne debbano o meno partecipare alla vita economica e sociale al di fuori della casa e della famiglia, e di quanta indipendenza debbano avere. I sistemi familiari patriarcali non esistono esclusivamente nelle comunità immigrate. Esistono comunità autoctone in Europa in cui la divisione dei ruoli fra donne e uomini è rigida: le responsabilità delle donne sono limitate alla cura della casa e della famiglia, e si presuppone che vada loro impedito di esprimere le proprie capacità nella sfera pubblica.

Nella vita familiare e nel privato, la maggior parte delle barriere incontrate dalle donne migranti nascono da atteggiamenti, valori e convinzioni personali, che possono essere modificati dall’esperienza, dal dialogo e dal confronto con argomentazioni diverse, dalla formazione e dall’informazione sulla possibilità di altre scelte e altri sistemi. Non avviene facilmente, però, che le persone abbandonino punti di vista e valori profondamente radicati. Gli aspetti positivi della cultura, della religione e della tradizione offrono sicurezza e sostegno nella vita quotidiana, danno un senso di appartenenza e di identità. Le persone che appartengono alla popolazione immigrata o alle minoranze hanno bisogno più di altre di mantenere vivo il senso della propria identità, soprattutto quando si sentono escluse dalla società di accoglienza. Ciò può portare a scegliere un’intepretazione conservatrice della propria cultura; inoltre ciò consente alla leadership delle comunità immigrate di esercitare la propria influenza, e secondo alcuni, mantenere il controllo, in particolare in materia di religione. Al di fuori della comunità possono mancare del tutto altre fonti di informazioni e di autorità, e questo tipo di leader rappresentano una fonte di rassicurazione e consigli. Se però le uniche basi su cui si fonda la loro leadership sono quelle di fungere da guardiani o intepreti della tradizione, allora tenderanno a rimanere aggrappati al passato.

Trattandosi di ostacoli che attengono alla sfera privata e familiare, è difficile definire e misurare le dimensioni delle barriere sociali all’eguaglianza. E’ anche difficile valutare in che misura le barriere sociali e familiari siano più rilevanti in alcune comunità rispetto ad altre. Ciò che si può dire è che alcuni gruppi di immigrati/e provengono da culture più tradizionalmente paternaliste di altre. Tuttavia, come è stato più volte sottolineato, esistono molteplici comunità immigrate, molto diverse fra loro e ciascuna moltro diversificata al proprio interno, in base a fattori quali la durata della permanenza nel paese di accoglienza e la realtà di quest'ultimo, il grado di conoscenza della lingua, il livello di istruzione e così via. Alcuni casi singoli vengono molto pubblicizzati, come quello di una ragazza tolta dalla scuola contro la propria volontà ed inviata al paese d’origine per un matrimonio forzato, ma è difficile valutare su quale scala e con quale frequenza tali episodi si verifichino nella comunità interessata.

I potenziali conflitti fra diritti umani ed uguaglianza fra i sessi, da un lato, e dall’altro alcuni atteggiamenti e costumi presenti in alcune comunità immigrate, possono essere definiti come segue:

  1. Libertà di matrimonio: possono essere presenti pressioni paterne o familiari perché una donna si sposi contro la sua volontà, ed i matrimoni forzati (o non del tutto liberi) sono senza dubbio contrari, oltre ad altre norme, ai diritti umani e alle libertà fondamentali. Purtuttavia, nella maggior parte delle società in cui esistono i matrimoni "combinati", nella pratica essi ormai sembrano funzionare più che altro come sistema di "presentazione", cioé sono un sistema in cui la donna è libera di rifiutare il proprio consenso.
  2. Proibizioni: alcune religioni vietano il matrimonio al di fuori della propria fede. Tale divieto risulterebbe contrario all’articolo 12 della ECHR sulla libertà di matrimonio.
  3. Poligamia: tale pratica è certamente contraria ai princìpi di uguaglianza. In Europa contrarre matrimoni poligamici è vietato, ma alcuni paesi riconoscono l’applicabilità di uno status matrimoniale poligamico contratto all’estero. Il matrimonio poligamico è vietato in alcuni paesi musulmani, ed è oggetto di controversie in altre parti del mondo islamico. Secondo alcune interpretazioni dell’Islam, il marito può sposare una seconda moglie solo se prende l’impegno di trattare ognuna di loro con equità, il che sembra eliminare comunque la possibilità concreta della poligamia nella realtà di fatto, se non nella teoria.
  4. Divorzio e disgregazione della famiglia: anche la pratica del ripudio unilaterale della moglie da parte dell’uomo appare contraria ai princìpi di uguaglianza, e potrebbe essere validata in Europa solo dopo un procedimento giudiziario imparziale che applichi la legislazione nazionale in materia. Nella pratica, tuttavia, molti rapporti finiscono perché almeno una delle parti ne vuole la fine, e la verifica concreta della parità di diritti si ha nel tipo di accordi relativi allo scioglimento del matrimonio. I problemi possono crearsi quando un cittadino straniero torna nel suo paese d’origine per ottenere dal tribunale una decisione che non potrebbe ottenere nel paese di accoglienza, ma che intende poi far rispettare da quest’ultimo.
  5. Capofamiglia: i sistemi secondo i quali l’uomo è capofamiglia, dotato di ruolo dominante nelle decisioni e di autorità indiscussa sui figli, risultano contrari ai princìpi di uguaglianza, e possono violare anche il campo dei diritti dell’infanzia, che sta ormai assumendo una rilevanza sempre maggiore.
  6. Istruzione e formazione: violano i princìpi di uguaglianza anche i genitori che limitano o esercitano un controllo sul contenuto della formazione ricevuta dalle figlie, ad esempio impedendo loro di partecipare alle lezioni di educazione fisica o alle gite scolastiche, o togliendole a forza dalla scuola dell'obbligo.
  7. Consuetudini sociali: va fissata la linea di demarcazione fra coercizione e libertà di scelta. Molte comunità esercitano una pressione sulle donne e le ragazze per convincerle a rispettare alcune consuetudini sociali che implicano una situazione di segregazione o reclusione. Laddove esse sono riferite a norme religiose, ad esempio nel caso del velo islamico, la pressione perché ci si conformi ad esse può essere più forte, a causa del valore simbolico dell’abito.
  8. Mutilazioni e violenza: il rispetto per l’identità culturale non può giustificare le mutilazioni dei genitali femminili, né qualsiasi altra forma di violenza contro le donne.
  9. Diritti riproduttivi: a causa della loro formazione culturale e religiosa, e delle difficioltà di ottenere informazioni, le immigrate possono incontrare difficoltà particolari per ciò che riguarda un pieno esercizio dei diritti riproduttivi, libere da condizionamenti familiari o sociali. Ciò può incidere in modo particolare sull’accesso ai servizi di pianificazione familiare.

 

*Tratto da "Donne, migrazioni, diversità: l’Italia di oggi e di domani", atti del seminario 1 marzo 2001, in corso di pubblicazione a cura della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità.