Donne e migrazioni: affermare il diritto all'eguaglianza nel contesto della diversità culturale*

di Yasmin Alibhai Brown


I temi di cui abbiamo discusso in questa sede a mio parere sono centrali per il futuro dell’Europa. La mia vita personale, come quella di molte altre immigrate, è una sorta di compendio dei problemi che abbiamo affrontato in questi due giorni: i dibattiti accademici, politici e sociali che si sono sviluppati negli ultimi anni attorno a queste questioni trovano un’illustrazione concreta e plastica proprio in questo tipo di vissuto individuale.
Quando sono arrivata nel Regno Unito venivo considerata una profuga, anche se in realtà, avendo un passaporto inglese, tecnicamente non rientravo nella categoria di rifugiata così come viene definita dalle convenzioni internazionali. Nel 1972, assieme ad altri ugandesi di origine asiatica, sono stata costretta a lasciare il mio paese natale, l’Uganda, a causa di un’ordinanza di espulsione emessa dall’allora presidente del paese. Da quel momento in poi ho tentato di ricostruirmi una vita in Occidente, e in larga misura ci sono riuscita.
Di nascita sono musulmana, e anche se non ho mai praticato attivamente la mia religione, una parte di me è musulmana, e anche mia figlia - che ha un padre inglese - è stata accolta nella mia fede. La scelta in questo senso è stata di mio marito, che riteneva questo fosse un diritto di nostra figlia; sarà poi lei, una volta cresciuta, a scegliere autonomamente la propria identità. Ho anche un altro figlio, un maschio che ho avuto da un uomo del mio stessa ambiente; insomma, siamo una famiglia complessa e multirazziale. Personalmente faccio la giornalista e la programmatrice radio-televisiva sui temi delle diversità razziali e delle culture, e sono un’accesa sostenitrice dei diritti umani e dell’eguaglianza; ma non mi considero occidentalizzata, né desidero esserlo, nel significato che comunemente si dà a questa parola.
Nel mio mondo - in ciò che significa essere asiatica, musulmana e in una certa misura anche africana - ci sono troppe cose di grande valore per me, per decidere di rinunciarvi, per abbandonarle come se niente fosse. Più a lungo vivo in Occidente, e più questa sensazione si fa forte. Penso che questo faccia parte della natura umana. Ha detto una volta Nehru: «Sono internazionale perché ho radici nella mia identità». Ma non è solo questo. C’è anche un altro motivo. Ci sono troppe cose in Occidente che non stanno funzionando - i rapporti familiari, ad esempio - e ciò significa che quelle/i di noi che possono scegliere stanno riflettendo più attentamente a quanto ciò che ha da offrirci l’Occidente sia realmente progressista e illuminato, e quali aspetti invece siano in realtà distruttivi e pertanto vadano visti con un certo scetticismo. E c’è un’altra cosa ancora. Persone come me l’eguaglianza fra i sessi non l’hanno scoperta in Occidente. Le donne della generazione di mia madre hanno una forza grande, esemplare, e ci hanno indicato come affrontare e reagire alle forze del potere maschile, in un modo però che non distrugge gli uomini nella nostra vita. Si tratta di lezioni di valore inestimabile.
Naturalmente è altrettanto vero che una parte di me è ormai occidentale. Ho vissuto nel Regno Unito ormai metà della mia vita e questo ha modificato il mio modo di pensare su molti argomenti - ad esempio l’autonomia, o il modo di allevare i figli maschi in modo che abbiano un atteggiamento più egualitario. Insomma, è impossibile dire qual è la mia “vera” identità. Sono un ibrido, ed è certamente questa la via del futuro. Questo meticciato è e sarà la realtà per tutte e tutti noi, bianchi, neri e di colore: è questa la visione dell’integrazione più ragionevole e che ha più possibilità di funzionare nella realtà. Le migranti che ho incontrato in questa sede mi hanno fatto rendere conto di quanto sia importante questo tipo di visione. Sono questi i temi che abbiamo affrontato insieme, e credo che sia questa, almeno in parte, l’ipotesi su cui ha lavorato il gruppo di esperte.
Vorrei citare, a questo punto, una delle relatrici del seminario, Espeth Guild, che ha descritto questo processo sinteticamente e con grande chiarezza: «Quando le migranti si trasferiscono nello stato di accoglienza, entrano in contatto con un nuovo sistema di aspettative della società nei loro confronti. Questo processo può essere contemporaneamente sia liberatorio che frenante. Non necessariamente queste donne sono delle vittime. L’Europa è piena di migranti visibili e invisibili - sia donne che uomini - la cui esperienza di migrazione ha portato un arricchimento, sia per loro che per la società che li/le ha accolti. La dinamica è continua: le migranti e i migranti cambiano la società in cui vivono e ne vengono cambiati».
A questo punto vorrei sottoporvi alcune delle mie riflessioni sul dibattito di questi giorni. Alcune sono espresse sotto forma di domande, perché queste domande sono state poste, e non è stato possibile trovare risposte nette e definitive.
Una riguarda la questione profondamente importante dell’eguaglianza. Si tratta in realtà di una domanda semplice, che fa da cornice al tema di questo seminario. È possibile promuovere l’eguaglianza fra uomini e donne nelle comunità di minoranza, senza garantire - prima - l’eguaglianza di queste comunità rispetto all’insieme della società?
Fare l’una cosa senza l’altra, è possibile, è desiderabile, è praticabile?
Per riuscire a fare davvero dei passi avanti reali e duraturi è necessario comprendere il complesso rapporto fra eguaglianza razziale/culturale e uguaglianza fra i sessi, e anche le trasformazioni che avvengono nei diversi gruppi culturali, nonché nella comunità di accoglienza.
Nell’audizione che ha preceduto questo seminario abbiamo ascoltato alcune testimonianze commoventi di donne migranti, alcune delle quali hanno subito più di altre gli stereotipi negativi nei loro confronti. Nelle riflessioni che seguono ho sintetizzato quelle che mi sono apparse le principali preoccupazioni espresse dalle donne che hanno parlato, tenendo presente che le loro esperienze e i loro punti di vista erano molto diversi fra loro e a volte contrastanti. Vorrei perciò ricordare un commento utile che è stato espresso, sull’importanza di non fare «sciocche generalizzazioni». Dobbiamo ricordare che le migranti sono diversificate fra loro come qualsiasi altro gruppo di donne, e che la varietà e le diversità esistono anche all’interno di ogni singolo gruppo. Contemporaneamente, è importante individuare terreni di interesse comune.
Le principali preoccupazioni espresse nell’audizione riguardavano:

Norme di legge e discriminazioni
Le migranti si scontrano con barriere enormi imposte dalle norme di legge su immigrazione, cittadinanza e asilo che impediscono loro di trovare la propria giusta collocazione nella società europea. In Europa finora sono stati fatti pochi tentativi di affrontare questi ostacoli, e di esaminare in che modo essi incidono sui diritti e sulla vita delle donne migranti. La maggior parte delle direttive dell’Unione Europea affronta esclusivamente il tema dell’eguaglianza tra i sessi, senza affrontare quello dei diritti delle minoranze; anche i singoli stati non hanno affrontato questo tema specifico.

Tradizioni e disuguaglianza
Le donne incontrano barriere anche all’interno delle proprie comunità; alcuni di questi ostacoli sono divenuti più difficili da superare a causa dei timori di perdere la propria cultura a seguito della migrazione.
Va detto che nel corso dell’audizione le donne si sono soffermate di più sul primo gruppo di ostacoli che sul secondo.
Le situazioni più difficili, comunque, sono quelle che nascono da una combinazione di entrambi i fattori: ad esempio, nel caso in cui una donna non ha un permesso di soggiorno autonomo da quello del marito e quest’ultimo - spesso convinto che le donne siano inferiori agli uomini, e che sia dunque facile liberarsene - ha utilizzato la legge per far cacciare la moglie dal paese di accoglienza, prima divorziando da lei e poi denunciando il fatto alle autorità.

Barriere che si frappongono all’eguaglianza e a un pieno esercizio dei diritti umani
- Una delle intervenute ha descritto con parole commoventi il modo in cui «la legge del paese in cui vivo, che ha scelto di difendersi contro di me, mi costringe a vivere nella marginalità». La stessa donna ha poi descritto in che modo le donne come lei sono costrette da questa situazione a ridimensionare le proprie aspirazioni, oppure rischiano di perdere la propria stabilità mentale ed emotiva.
- Una parola ricorrente è stata “discriminazione”. Le donne che abbiamo ascoltato sentono che lo stato, i datori di lavoro e altri soggetti spesso trattano le loro comunità in modi profondamente ingiusti.
- Alcune donne hanno affrontato il tema degli effetti psicologici di un rapporto di tipo coloniale fra donne migranti e autoctone, da loro definito come «imperialismo culturale». È stato anche affrontato il tema di chi e cosa può considerarsi civile, e chi e cosa va considerato barbarico.
- Alcune donne hanno affermato che tornare alle proprie radici è in parte una reazione contro il razzismo, il rifiuto e l’esclusione delle società dominanti europee nei confronti di chi viene vissuta come l’Altra, l’indesiderabile.
- È stato sottolineato che i/le migranti per l’Europa sono un’opportunità, non un peso.
- È stata descritta la pesante condizione delle lavoratrici domestiche - molte delle quali vivono in condizioni di semi-schiavitù, senza alcuno strumento di difesa e continuamente sottoposte alla minaccia di essere espulse.
- È stato chiesto come sia possibile per l’Europa avere un’immagine di sé come luogo di giustizia, equità ed eguaglianza, quando in tante leggi degli stati europei non si trova traccia né di giustizia, né di equità, né di eguaglianza.
- Molte migranti sentono che viene loro tuttora negato l’accesso alla formazione, e a posizioni di potere e di influenza, e che è questo, almeno in parte, il motivo per cui vengono considerate solo come vittime.
- Uno dei messaggi più forti espresso dalle intervenute è stato che le donne delle minoranze non ritenevano di rappresentare un problema, né di avere di fronte difficoltà insormontabili, fino a che la società intorno a loro non le ha convinte di rappresentare un problema e di avere delle difficoltà.
- Sono state poste domande sulla libertà di scelta e sulla disponibilità della società ad accettare le scelte compiute dalle migranti, anche se esse non rispondono a quelle considerate corrette. E se una donna decide, in modo attivo e intelligente, di coprirsi il capo con un fazzoletto? Viene considerata accettabile, questa scelta? Oppure la libertà e l’autodeterminazione riguardano solo la libertà di scelta di essere uguali alle donne occidentali? E se è questa l’idea di libertà, la si può considerare una vera libertà, una vera autodeterminazione?
- Alcune donne hanno scelto di parlare dei valori portati avanti da chi promuove l’eguaglianza fra i sessi. È sempre giusto dare valore solo al lavoro retribuito e sottovalutare le altre attività svolte dalle donne? La libertà e l’eguaglianza significano solo il diritto di comportarsi nel modo sbagliato in cui si sono sempre comportati gli uomini, oppure creare nuove società, più umane e “femminilizzate”?
- I mutamenti che devono essere avviati all’interno delle comunità di minoranza in materia di eguaglianza fra i sessi non possono essere imposti dall’esterno, tranne nei casi in cui ci si trova di fronte a palesi violazioni dei diritti umani, come nel caso delle mutilazioni dei genitali femminili. Il resto dei cambiamenti deve venire dall’interno stesso di queste comunità, su spinta delle donne, che devono convincere gli uomini e conquistarne il sostegno.
- Molte donne hanno sostenuto che tutte le religioni umiliano le donne, e che è ingiusto prendere di mira una determinata religione, in particolare l’Islam, considerandola la peggiore di tutte. Un’intervenuta, ad esempio, ha parlato dell’influenza della Chiesa cattolica sulle immigrate filippine in materia di contraccezione e aborto.
- Alcune donne hanno affermato di sentirsi molto più al sicuro e protette all’interno della propria comunità che non se dovessero cavarsela da sole, come individui isolati nel mondo esterno.
- Le migranti e i migranti stanno costruendosi un’identità nuova, a volte al di là della propria volontà.
- Nelle famiglie, le donne più giovani usano l’istruzione come strumento di empowerment personale e di trasformazione. Ciò avviene in particolare per quanto riguarda l’istruzione delle ragazze in alcune comunità islamiche.
A questo punto vorrei proporre una mia riflessione. Avendo ascoltato gli interventi all’audizione e al seminario, due cose emergono con chiarezza. Le oratrici e gli oratori del seminario, che non sono di origine migrante, hanno avuto la tendenza - salvo una o due eccezioni - a sottolineare troppo poco i livelli di discriminazione razziale e culturale incontrati dalle donne migranti. Nell’audizione, invece, le migranti hanno mostrato una tendenza a sottovalutare i problemi che incontravano all’interno delle loro stesse comunità. Potrebbe essere che è più facile prendersela con qualcosa che è fuori di noi, piuttosto che affrontare direttamente le proprie responsabilità?
Le relazioni presentate sono state distribuite, dunque su questo non mi soffermerò. Sento però che nel corso di queste due giornate sono state proposte e discusse alcune posizioni interessanti, e forse controverse.
Molte di esse riguardavano i preconcetti che ciascuna delle parti dà per scontati, e cioè:
- la visione idealizzata dei diritti delle donne in Occidente;
- la convinzione che le società non occidentali siano organicamente arretrate, e che abbiano molto da imparare e niente da insegnare all’Occidente;
- la convinzione che le culture siano entità pure, ignorando quanto le società stiano mutando, attraverso i matrimoni misti e altri fenomeni;
- la convinzione che esista una polarizzazione fra società occidentali e società non occidentali;
- la visione dell’Islam come il nuovo nemico dell’Occidente;
- la convinzione erronea che le mutilazioni dei genitali femminili siano una pratica islamica.
Sono poi emerse alcune contraddizioni molto interessanti:
- Che dire dell’oppressione delle donne da parte di altre donne, all’interno delle diverse comunità? Le mutilazioni dei genitali femminili sono una pratica difesa e perpetuata da molte donne, mentre molti giovani uomini oggi vi si oppongono, in quanto hanno imparato l’importanza del piacere sessuale femminile nell’atto sessuale.
- Perché le femministe sono più intolleranti nei confronti della diversità culturale di quanto ci si aspetterebbe?
- In che misura le comunità vengono costrette a difendere l’indifendibile perché viene loro negato un giusto grado di rispetto e di sicurezza? Le forze del conservatorismo spesso crescono quando ci si sente minacciati.
- A volte le persone hanno motivazioni positive per riscoprire la propria identità etnica. Come si distingue questo tipo di scelta da quella precedente?
- Fino a che punto gli europei autoctoni sono disposti a riesaminare e valutare i loro stessi valori, per vedere se esistono problemi? E inoltre, cosa ancor più importante, c’è qualcosa da imparare dalla vita familiare delle/dei migranti? Troppo individualismo, ad esempio, produce egoismo, comportamenti anti-sociali, avidità e disgregazione della famiglia. Il senso delle responsabilità nei confronti della famiglia e della comunità è certamente uno dei temi più appassionatamente discussi nel Regno Unito.
- Come si crea un ambiente in cui le persone si sentano abbastanza sicure da voler cambiare la propria comunità dall’interno? Si diventa particolarmente protettivi verso la propria cultura solo quando ci si sente incompresi e rifiutati.
- Il protezionismo culturale viene alimentato anche dai paesi europei che considerano i profondi mutamenti prodotti dal multiculturalismo come una minaccia al proprio senso della storia, della memoria e delle origini. Eppure, nel villaggio globale, nessun paese sarà mai più interamente monoculturale, e ciò comporterà sia difficoltà che un arricchimento.
- Perché le europee e gli europei autoctoni tollerano le terribili ingiustizie imposte dalle loro leggi alle donne migranti? Esempi di trattamenti discriminatori e ingiusti nei confronti delle immigrate si riscontrano in tutte le società europee.
- Se la libertà di scelta è di importanza centrale rispetto a tutti i temi che abbiamo discusso in questi giorni, anche la scelta di portare l’hijab o di non essere completamente occidentalizzate è una scelta che va rispettata.
- I valori fondanti che si stanno costruendo attualmente in Europa funzioneranno come elementi di coesione delle diverse società solo se a essi avranno dato un contributo tutte le comunità, con un impegno al cambiamento dall’interno.
- In alcune comunità immigrate esistono ovviamente dei problemi per ciò che riguarda la posizione delle donne. La “cultura” viene troppo spesso utilizzata per negare alle donne una maggiore istruzione, una carriera, un’autonomia economica. A un certo punto ci si è resi conto che ciò danneggia non solo le singole donne, ma il progresso della loro stessa comunità, che deve sopravvivere in un mondo sempre più competitivo. Il modo per superare questi problemi, però, deve comprendere campagne di formazione e sensibilizzazione per le comunità immigrate organizzate dalle immigrate stesse, in modo che i diritti delle donne vengano visti come parte essenziale della crescita della comunità e non come qualcosa di imposto dall’esterno, da persone considerate ostili e non informate sui costumi della comunità.
- Alcune partecipanti hanno affermato che la scelta di questa impostazione renderebbe più facile accettare che nella propria comunità esistono dei problemi da affrontare, senza sentire che ciò rappresenta un tradimento della propria gente.
- Alcune hanno espresso l’opinione che le politiche di genere sono più complesse, e stanno anche cambiando secondo modalità di cui si deve tener conto, quando si parla dei diritti delle donne migranti. Alcuni dati, ad esempio, indicano che nella popolazione afro-caraibica accedono all’istruzione superiore più donne che uomini e che a Londra, nella fascia d’età 16-24 anni, i neri incontrano gravi discriminazioni nel lavoro e si trovano in condizioni economiche e di istruzione notevolmente peggiori sia degli uomini e delle donne bianche, che delle donne nere. In questa situazione, parlare di “doppia discriminazione” subita dalle donne nere sarebbe una rappresentazione inesatta della realtà.
- È stato discusso anche il ruolo degli stereotipi e in che modo essi influenzano le aspettative sulle donne immigrate da parte della società dei bianchi, da un lato, e da parte delle comunità immigrate dall’altro. I media hanno la responsabilità di molte delle immagini che vengono perpetuate, ed è stato sottolineato con chiarezza che gli stereotipi diffusi dai media hanno un impatto molto reale sulla società e sulle persone.
- Le donne presenti all’incontro - e soprattutto le migranti - hanno sottolineato quanto sia necessario comprendere l’importanza che hanno per ogni essere umano i legami con la propria storia, la propria cultura, il proprio passato ancestrale. È chiaro che chi vive in Occidente sente questi legami con molta forza, e ciò causa agli europei una grande angoscia rispetto al rischio di perderli a seguito dell’unità sempre crescente fra stati europei e dell’influenza culturale degli Stati Uniti esportata in tutto il mondo. La negazione di queste identità, hanno sostenuto alcuni interventi, è uno dei fattori che hanno creato il caos nella ex Iugoslavia. Se così è, perché gli europei autoctoni sono così riluttanti ad accettare che questo tipo di esigenza esiste anche nelle comunità migranti?
- Numerosi interventi hanno ripetutamente messo in discussione i “progressi” che l’Occidente dà per scontato di aver compiuto in materia di diritti delle donne. La violenza contro le donne, ad esempio, aumenta sempre di più, e il fenomeno è trasversale alle differenze di razza, di religione e di classe. In alcune società europee il diritto di voto è stato concesso alle donne solo di recente, mentre in altre i diritti di successione sono ancora regolati in modo sfavorevole alle figlie femmine.
- Un’altra questione più volte sollevata è il fatto che esistono forme di collusione degli europei autoctoni nell’oppressione delle immigrate, non solo attraverso norme di legge ingiuste, ma anche in altri modi. Dietro l’industria della prostituzione che sfrutta le immigrate, ad esempio, ci sono spesso uomini bianchi, europei. Le mutilazioni dei genitali femminili, i test sul sesso del nascituro e gli aborti selettivi se il feto è femmina sono pratiche che si verificano non solo nel mondo in via di sviluppo, ma anche in Europa occidentale.
- La maggior parte delle migranti ha sottolineato la propria individualità, ma anche il desiderio di sentirsi parte di una comunità. Le intervenute hanno sottolineato che nessun essere umano può essere considerato un atomo isolato, e hanno chiesto perché in Europa è più facile per la gente accettare le/i migranti che vedono se stessi esclusivamente come individui, separati dalle proprie comunità e critici nei loro confronti, piuttosto che le persone che hanno legami culturali e religiosi più profondi con la propria comunità. La vita è più facile per una musulmana che si dichiara laica e liberal, piuttosto che per una musulmana che porta l’hijab ed è un’appassionata sostenitrice dei diritti delle donne. È chiaro inoltre che le priorità delle migranti non sono le stesse di quelle delle europee bianche e più privilegiate. Non molte migranti, ad esempio, desiderano ottenere la libertà sessuale per le proprie figlie.
- Le migranti hanno anche sottolineato che, anche se in Europa esiste più solidarietà verso le immigrate che verso gli immigrati - il che per molte è peraltro fonte di problemi - accettare una migrante che sa farsi valere risulta comunque altrettanto difficile per la società dominante quanto per le comunità di appartenenza.
Nel Gruppo di lavoro II, “Tradizione e uguaglianza: due termini in conflitto?”, sono stati discussi i seguenti temi:
- Se esiste necessariamente un conflitto fra eguaglianza, da un lato, e diversità culturale dall’altro, e in caso esso esista, se esistono valori giuridici, sociali e culturali radicati all’interno delle comunità, ma contrari ai principi fondamentali in materia di diritti umani. Sono stati citati, in proposito, i seguenti esempi:
- le mutilazioni dei genitali femminili
- la poligamia
- il ripudio
- i matrimoni forzati/combinati.
- In che misura queste pratiche sono veramente religiose, e in che misura invece sono il frutto di una cultura e di un momento storico determinato? Nel Corano, ad esempio, non ci sono riferimenti alle mutilazioni dei genitali femminili. Si tratta di pratiche nate in alcune parti dell’Africa, e poi assorbite nella versione che questi paesi hanno dato dell’Islam.
- Anche se non si tratta di pratiche generalizzate, ma anzi di esempi estremi di oppressione delle donne, esse forse possono essere utilizzate per sollevare la questione della libertà di scelta delle donne e per affermare il loro valore, la loro dignità, i loro diritti umani fondamentali.
- Il punto di equilibrio che va trovato è fra il rispetto dei diritti individuali e di quelli altrui e l’integrità delle comunità migranti.
- Sono state poste delle domande anche sui conflitti fra diritti e doveri, e su chi definisce i diritti e chi ne stabilisce l’ordine di priorità.
- Un altro terreno di riflessione rilevante e molto dibattuto è stato l’importanza di costruire un dialogo fra le culture e all’interno di ogni cultura, e la creazione di meccanismi di mediazione nei casi di conflitto.
- Si è concordemente ricordato che le migranti non vanno viste come un blocco unico, e che esistono gruppi diversi con tradizioni molto diverse, anche all’interno della stessa religione.
- Si è infine sottolineato che le persone, sia quelle che migrano che chi vive nei paesi di accoglienza, subiscono un mutamento culturale a seguito dei processi migratori, e che questo fenomeno probabilmente si farà sempre più rapido, in un mondo sempre più interdipendente.


La via da seguire
- È essenziale che il concetto di eguaglianza venga costruito in Europa su fondamenti comuni per tutte le donne: rispetto dei diritti umani, giustizia sociale e democrazia. In questo senso si tratta di una questione che riguarda non solo le donne, ma anche gli uomini: è un problema che riguarda tutta la società.
- Il tema fondamentale va formulato non in termini di una scelta fra tradizione e uguaglianza, ma di come promuovere la possibilità di scelte personali reali, libere dalla coercizione e dall’oppressione, e fondate su un pieno rispetto dei diritti umani, che non sono negoziabili o relativi, ma fondamentali e universali, e coprono tutti gli aspetti della vita, civile, politica, economica, sociale e culturale.
- Deve esistere un quadro chiaro, che affermi l’eguaglianza come diritto umano fondamentale, senza fare concessioni alle tradizioni. Nessuna cultura o tradizione può giustificare o legittimare la violazione di questi diritti umani fondamentali.
- Le comunità immigrate devono essere sensibilizzate sul tema dell’istruzione e della formazione delle donne e delle bambine, come modo per promuovere l’empowerment sia delle interessate che delle loro famiglie e comunità.
- Le migranti dovrebbero essere aiutate a divenire mediatrici professionali fra le comunità migranti e le società di accoglienza, e a svolgere questo ruolo anche all’interno delle proprie comunità. Esiste l’esigenza di una formazione delle mediatrici, e per facilitare questo processo va dato un sostegno all’associazionismo, incoraggiando la formazione di reti.
- Devono essere fornite risorse alle organizzazioni delle immigrate e degli immigrati, e sistemi di sostegno per le immigrate che hanno bisogno di assistenza nel gestire i conflitti e le contraddizioni derivate dal vivere in due o anche tre mondi diversi.
- Le immigrate che subiscono violenza domestica e abusi in famiglia non devono dipendere dal partner per il permesso di soggiorno.
- Le donne ammesse in un paese per motivi di ricongiungimento familiare o matrimonio dovrebbero ricevere immediatamente il permesso di soggiorno definitivo e il permesso di lavoro. Già hanno dovuto affrontare lunghe procedure per entrare, perché dovrebbero affrontarne altre prima di ottenere la pienezza dei diritti?
- Donne, uomini e bambini che hanno la cittadinanza di un paese dell’UE, o che vi risiedono legalmente, non dovrebbero essere espulsi forzatamente e separati dai propri figli.
- Nei paesi dell’UE il diritto al ricongiungimento familiare con i figli dovrebbe essere garantito automaticamente a genitori e nonni non autosufficienti, se questi ultimi lo desiderano, ed essi dovrebbero essere considerati come componenti della famiglia a tutti gli effetti.
- Deve essere compiuto uno sforzo concertato, da parte di tutti i paesi europei, per sviluppare un’ideologia positiva sull’immigrazione, e promuovere un atteggiamento positivo dell’opinione pubblica nei confronti dei/delle migranti, in modo che non vengano sempre considerati come un problema o come persone che hanno problemi.
- Vanno promosse le pari opportunità per le popolazioni migranti, secondo le stesse linee delle pari opportunità fra i sessi.
- Le leggi in materia di immigrazione e asilo vanno costruite a partire dal rispetto per i diritti umani.
- In questo quadro vanno elaborate leggi anti-discriminazione adeguate e di ampio respiro; è su questa base che l’eguaglianza fra i sessi può essere sostenuta e attuata. In mancanza di ciò, invece, molte/i migranti notano che ci si entusiasma solo per alcune cause selezionate, mentre altri tipi di violazione dei diritti umani, in particolare in materia di immigrazione e asilo, vengono semplicemente ignorati.


*Tratto da: Donne, migrazioni, diversità, pubblicazione a cura della Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità (Roma 2002)