Le donne e la guerra*

Nel corso della Prima Guerra Mondiale soltanto il 5% delle perdite era composto da civili; nella Seconda Guerra Mondiale le perdite civili erano arrivate a superare il 50%; negli anni '90 le vittime civili delle guerre ammontano a circa l'80% di tutte le perdite. Queste cifre sono dovute alla tendenza verso la guerra totale, tipica dell'ultimo secolo. La guerra totale non è più indirizzata contro un esercito, ma contro un gruppo sociale, etnico, politico... La divisione tra civili e militari non è netta e la posta in gioco non sono territori e risorse, ma la sopravvivenza fisica dell'intero gruppo. Negli ultimi decenni la maggior parte di queste guerre ha avuto matrice etnica.
Proprio perché il fine ultimo dei conflitti è lo sterminio totale del nemico, le donne e i bambini diventano veri e propri obiettivi di guerra. Non deve sorprendere pertanto che essi costituiscano la maggior parte delle vittime civili.
Soprattutto nel caso di guerre etniche le donne si trovano a essere coinvolte direttamente nel conflitto, anche se non combattenti, per il solo fatto di appartenere a una certa etnia, identificata come "nemica" . La donna non viene uccisa perché pericolosa, ma solo perché è la donna del nemico, generatrice di futuri avversari. In questi contesti, il fenomeno degli stupri nel corso dei conflitti assume significati e proporzioni drammatici.
Mezzo secolo fa, le Convenzioni di Ginevra mettevano fuori legge lo stupro in guerra. In tali documenti si legge: Le donne saranno protette in maniera particolare [...] dallo stupro, dalla costrizione a prostituirsi o da qualunque forma di assalto indecente. Nonostante le norme internazionali vietino lo stupro ad opera dei combattenti, in ogni conflitto dei nostri tempi le donne continuano a subire questa forma di violenza. Vengono stuprate perché i loro corpi sono considerati "legittimo bottino" di guerra.
Nel contesto delle guerre etniche, tuttavia, la violenza sessuale assume un nuovo, spaventoso significato. Se in passato stupro e prostituzione forzata servivano essenzialmente ai soldati al fronte per soddisfare i loro bisogni sessuali, oggi essi costituiscono una delle armi di cui i combattenti dispongono per annientare l'etnia nemica.
Talvolta le violenze sessuali fanno parte di un disegno di abusi e intimidazioni e sono utilizzate dai combattenti come strumento per seminare terrore nelle zone conquistate e per costringere le popolazioni civili a fuggire. Le donne vengono pertanto violentate allo scopo di umiliare gli uomini della nazionalità delle vittime. L'umiliazione è spesso resa più grave dal fatto che l'atto avviene di fronte al villaggio, sotto gli occhi dei nemici sconfitti.
Altre volte l'obiettivo delle violenze è quello di provocare la gravidanza coatta delle donne, affinché generino figli dell'etnia del violentatore.
Il fenomeno ha assunto proporzioni drammatiche nel corso dei conflitti nella ex-Yugoslavia. In Bosnia Erzegovina le donne sono state violentate nelle proprie case, da soldati della stessa cittadina o villaggio o da truppe di passaggio, oppure nei centri di detenzione, dai soldati e dalle guardie. Molti casi di stupro venivano sistematicamente concertati e facevano parte di un disegno di abusi e di intimidazioni nei confronti del gruppo etnico nemico: le donne infatti erano imprigionate in alberghi o altri luoghi di detenzione perché fossero di pronto accesso ai soldati. Secondo il Rapporto Speciale dell'ONU sulla ex-Yugoslavia, [...] lo stupro veniva usato come strumento di pulizia etnica [...]. Esistono attendibili rapporti su stupri in pubblico, davanti a interi villaggi, finalizzati a terrorizzare la popolazione e a costringere interi gruppi etnici a fuggire.
Lo stupro nei conflitti dell'ultimo decennio non è un "incidente" di guerra. Le spaventose cifre dei dati ufficiali riflettono il terrore che esso incute nella donna e il senso di potere che dà al violentatore. Rispecchiano anche le ingiustizie che la donna è costretta a subire anche in tempo di pace.

* Tratto da www.amnesty.it