Presidenza del Consiglio dei Ministri
Ufficio del Ministro per le Pari opportunità


Linee guida per le politiche di genere e gli interventi a favore delle donne nell'emergenza Kosovo

1. Premessa
L'emergenza Kosovo è molto diversa dalla precedente esperienza di solidarietà in Albania ed ha un notevole grado di complessità dovuto alla situazione militare e alle quantità e ai tempi del flusso di profughi: per questo motivo si ritiene che vada definita una impostazione generale sui differenti bisogni della popolazione maschile e femminile, da fornire, quale indirizzo e oggetto di coordinamento, ai diversi soggetti coinvolti nelloperazione.

2. Obiettivo
L'obiettivo delle Linee Guida è quello di facilitare sin dai primi momenti dell'emergenza la comprensione delle differenti modalità e potenzialità che donne e uomini possono esprimere in una fase di crisi acuta, ma anche di avviare, quanto prima possibile il ritorno ad una situazione di autogestione delle proprie vite, da parte dei profughi kosovari.

3. Criteri generali

3.1. Le Linee Guida si ispirano ad alcuni criteri generali che intendono informare il livello strategico e quello operativo. A livello strategico i criteri sono ispirati a:

3.1.1 in primo luogo, favorire l'espressione di un ruolo attivo delle donne coinvolte nel conflitto e soprattutto farle uscire dal ruolo di vittime;

3.1.2 in secondo luogo, favorire la partecipazione delle popolazioni profughe e sfollate all'organizzazione della protezione e dell'assistenza che le riguarda, in modo da avviare la creazione di un tessuto connettivo sociale che possa operare al più presto da efficace protezione contro fenomeni quali la violenza sessuale, lo sfruttamento e la tratta.

3.1.3 in terzo luogo, evitare lestraneità delle realtà di accoglienza dei profughi dal contesto sociale circostante;

3.1.4 in quarto luogo, tenere conto della necessità di avviare, contemporaneamente all'emergenza, la fase di riabilitazione.

3.2. Per rispondere a questi criteri strategici occorrono alcuni criteri operativi comuni, da proporre a tutti i soggetti della azione umanitaria,

3.2.1.La scelta di investire sulle donne come soggetti attivi socialmente ed economicamente, e non solo come beneficiari passivi degli aiuti. Particolare attenzione va data alla capacità di auto-organizzazione dei servizi di base, a cominciare dalle scuole e dagli asili, per proseguire nelle attività collettive dei campi, in particolare quelle rivolte alla socializzazione, individuando le competenze, professionali e non, esistenti e attivabili fra le profughe stesse;

3.2.2 la definizione di una politica di accoglienza dei profughi in entità territoriali circoscritte. Vanno infatti evitati grandi agglomerati di profughi (siano essi in tende o anche in containers) che rendono più difficile la protezione esercitata attraverso il controllo sociale, particolarmente in realtà dove la capacità delle istituzioni, già molto ridotta, ha subito una ulteriore crisi e favorisce il radicamento di poteri suppletivi tradizionali;

3.2.3 l'accertamento delle volontà dei profughi e delle profughe per l'espatrio (anche di breve periodo ) in luoghi non toccati direttamente dalla guerra. In questo caso è indubbio che la soluzione di un espatrio clandestino potrebbe sottoporre, soprattutto le donne e le giovani donne, ad un ulteriore trauma e alla esposizione nei confronti di organizzazioni criminali per fini di tratta. Inoltre casi di ricongiungimento familiare vanno facilitati;

3.2.4 l'attenzione alla differenza fra i sessi nella risposta ai bisogni materiali, in particolare relativamente a:

• beni distribuiti (ad es. biancheria intima, assorbenti igienici, prodotti per ligiene, ecc.)

• logistica dei campi (ad es. evitare di collocare i servizi in zone isolate, possibilità di gestire i pasti dei bambini in tenda piuttosto che in mensa, tipo di accesso ai servizi, non casermizzazione, ecc.)

• assistenza sociale specifica (servizi ginecologici ma anche azioni di animazione e comunicazione tra donne vittime di traumi quali la violenza sessuale, l'abbandono coatto dei familiari, l'impossibilità di esercitare la protezione nei confronti dei figli etc.).

3.2.5. Laffermazione del ruolo delle donne di tutte le etnie, dalle kosovare alle serbe, in un processo di pace di dimensione regionale.


4. Azioni da intraprendere
Per potenziare i progetti rivolti a e gestiti da donne, nonché l'attenzione alla differenza di genere da parte di tutti gli interventi, è necessaria una grande trasparenza nella gestione e distribuzione alle organizzazioni di solidarietà, dei fondi raccolti tramite il contributo dei cittadini. In rispondenza con i criteri operativi sopra esposti va dunque ipotizzato, il finanziamento di:

4.1. Analisi volte a definire con le autorità territoriali e con le comunità di profughi la dislocazione e lorganizzazione dei centri di accoglienza di medio periodo.

4.2. Azioni di sostegno alle esperienze già avviate dall'associazionismo italiano con le donne.

4.3. Analisi di genere per la definizione di soluzioni differenziate per differenti gruppi di età delle donne ed in particolare per le giovani (anche in collaborazione con centri universitari e centri di formazione, incoraggiando brevi soggiorni in Italia e scambi di esperienze tra studenti/studentesse e ricercatori/ricercatrici).

4.4. Iniziative di carattere economico rivolte all'organizzazione di servizi di base e alla ripresa di attività economiche da svolgere nel breve e medio periodo, con particolare attenzione a iniziative di mediocredito, tenendo in conto quanto già avviato dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero Affari Esteri e da molte ong.

4.5. Iniziative per favorire l'integrazione nel tessuto sociale dei paesi ospiti (compresa l'Italia) e per facilitare un dialogo che tenga conto delle reciproche specificità culturali, nonché delle differenze fra le generazioni e fra i sessi.

4.6. Iniziative volte ad identificare il potenziale di peace-building delle donne (kosovare, albanesi, ma anche di altre etnie, da inserire nei momenti negoziali e nella ricostruzione del tessuto sociale, in collaborazione con lassociazionismo pacifista e in difesa dei diritti umani in unottica di genere).

5. Formazione e informazione del personale volontario

5.1. È necessaria una più efficace messa in comune e gestione delle informazioni attualmente disponibili, rispetto alla condizione delle donne nei campi e alla pianificazione degli stessi. È utile quindi:

5.1.1. richiedere da subito lutilizzo di facilitatrici socio-culturali per la mappatura dei bisogni specifici delle donne profughe e dei differenti gruppi generazionali;

5.1.2. in fase di primo allestimento e gestione, garantire l'attenzione alla protezione fisica e giuridica delle donne, soprattutto per quanto riguarda l'ottenimento di documenti di identità

5.1.3. mettere a disposizione tecnologie di comunicazione per le donne, ed in particolare le minori, per il ricongiungimento delle famiglie.

5.2. Per garantire unattenzione alle esigenze delle donne, sia in quanto soggetti che rispetto ai loro bisogni, è opportuno predisporre:

5.2.1. una formazione specifica e veloce , sia del personale militare che del personale volontario di tutte le organizzazioni presenti nei campi profughi,

5.2.2 l'utilizzo delle associazioni di donne per il trattamento dei casi di violenza (in questo senso le vittime vanno protette anche dalla pubblicità e dalle speculazioni)

5.2.3. un monitoraggio sul comportamento del personale militare e civile.