Discriminazione razziale e discriminazione di genere

L'urgenza di integrare la dimensione della discriminazione incrociata nella verifica e nell'elaborazione di interventi, politiche e strategie per ottenere l'uguaglianza fra i sessi e fra le diverse razze

di Pragna Patel1


Introduzione
Questa relazione analizza il fenomeno delle forme di discriminazione/subordinazione multipla o incrociata, in base al sesso e alla razza o all'etnia, che colpiscono molte donne in ogni parte del mondo. In tutto il pianeta l'impatto congiunto di razzismo e discriminazione di genere, in particolare sulle donne migranti, immigrate, indigene e appartenenti a minoranze o a gruppi emarginati, ha avuto conseguenze devastanti sulla possibilità per queste donne di esercitare pienamente i propri diritti umani fondamentali e il diritto all'uguaglianza, sia nella sfera pubblica che in quella privata.
Il riconoscimento del fatto che per molte donne appartenenti a gruppi emarginati la discriminazione incrociata rappresenta un grave ostacolo alla conquista dell'uguaglianza è piuttosto recente, almeno nelle sedi internazionali. Storicamente, nell'elaborazione e nelle politiche ufficiali a livello sia nazionale che internazionale, il razzismo e la discriminazione razziale da un lato, e la discriminazione di genere dall'altro, hanno sempre proceduto per vie che si escludevano a vicenda. Nonostante ciò, la nozione di discriminazione incrociata è stata ormai riconosciuta in alcune conferenze delle Nazioni Unite sulle donne, come ad esempio nella Piattaforma d'azione di Pechino e nel successivo Documento conclusivo della 23.a Sessione Speciale dell'Assemblea generale dell'Onu nel 2000, la cosiddetta Pechino + 5. Entrambi questi documenti sottolineano l'esigenza di comprendere la compresenza di forme multiple di discriminazione, e il loro impatto sulle donne. Né l'uno né l'altro di questi documenti, però, approfondisce i modi complessi in cui tali forme di discriminazione determinano strutturalmente la posizione svantaggiata in cui si trovano molte donne appartenenti a gruppi emarginati rispetto ad altri gruppi di uomini e di donne nella società in cui vivono.
In un momento separato ma parallelo dei lavori della sua 55.a sessione, nel marzo del 2000, il Comitato sull'eliminazione della discriminazione razziale2 ha adottato una raccomandazione generale sulle dimensioni della discriminazione razziale legate alla differenza di genere*.
Tale presa di coscienza, però, manca del tutto a livello dei singoli paesi. Nel Regno Unito, ad esempio, non esiste alcun documento politico ufficiale che esamini seriamente i modi in cui le donne nere, o appartenenti a minoranze, si trovano ad affrontare contemporaneamente la discriminazione razziale e la discriminazione in base al sesso. Un'analisi approfondita degli effetti congiunti di queste due forme di discriminazione, e di tutte le relative implicazioni in termini di interventi politici e legislativi e di strategie per l'eliminazione della disuguaglianza fra i sessi e fra le razze, non è stata ancora effettuata. La conseguenza è che nelle strategie ufficiali per combattere sia la disuguaglianza fra i sessi che la discriminazione razziale le donne nere, o appartenenti a minoranze, vengono rese invisibili e dunque più vulnerabili ad ulteriori discriminazioni.
Ma le conseguenza dell'incapacità di riconoscere l'esistenza della discriminazione incrociata sono ben più gravi. Molte iniziative, politiche e strategie cosiddette "progressiste", tese ad eliminare la discriminazione razziale o di genere, in realtà servono solo ad aggravare i livelli multipli di discriminazione vissuti dalle donne delle minoranze a causa della visione distorta secondo la quale la discriminazione è uni-dimensionale e colpisce tutte le donne o tutte le comunità minoritarie allo stesso modo.
Anche se numerose associazioni e ricercatrici hanno dedicato notevole tempo e risorse ad approfondire e affrontare gli effetti delle forme multiple di discriminazione, il lavoro da fare è ancora molto, in particolare a livello delle strutture di governo, sia nazionali che locali. È dunque urgente garantire il pieno riconoscimento e l'integrazione di un punto di vista che tenga conto della discriminazione incrociata in tutti i programmi, le politiche, le leggi e le iniziative nazionali su tutte le forme di discriminazione. È necessario un approccio più olistico alle discriminazioni, che riconosca la simultaneità delle diverse forme di discriminazione vissute dalle donne, se vogliamo garantire che i diritti umani siano una realtà per tutte le donne.
La presente relazione esaminerà in particolare i modi in cui gli effetti congiunti della discriminazione razziale e di genere pongono ostacoli alla lotta per l'uguaglianza e la giustizia sociale delle donne nere3 o appartenenti a minoranze. Più specificamente, concentrerò l'attenzione sull'esperienza delle donne in materia di violenza domestica, leggi sull'immigrazione, sistema giudiziario penale e approccio multiculturale, illustrando in che modo questi terreni di discriminazione incrociata creano e perpetuano gli svantaggi multipli vissuti da queste donne. Inoltre, cosa ancor più importante, intendo sottolineare il fatto che la discriminazione razziale e quella di genere interagiscono simultaneamente a danno delle interessate.
Il mio intervento si occupa in particolare degli effetti congiunti della discriminazione razziale e di genere: bisogna riconoscere, però, che anche altri fattori che riguardano l'identità sociale delle donne, quali classe, etnia, religione, casta, origine nazionale, disabilità e sessualità, possono intrecciarsi con la discriminazione di genere, producendo così discriminazioni multiple.
La mia relazione si fonda anche sui risultati del dibattito all'interno del Gruppo di esperte su discriminazione di genere e discriminazione razziale, organizzato nel novembre del 2000 a Zagabria, in Croazia, dal Dipartimento per il progresso delle donne (Daw) delle Nazioni Unite, in collaborazione con l'ufficio dell'Alto Commissario per i diritti umani e l'Unifem (Fondo delle Nazioni Unite per le donne). La relazione si concluderà pertanto con una serie di proposte e raccomandazioni generali elaborate dal gruppo, di cui io facevo parte.

Contestualizzazione e concettualizzazione della nozione di discriminazione incrociata
La globalizzazione ha comportato un flusso senza precedenti di capitale incontrollato e migrazioni di massa di forza lavoro soprattutto dai paesi in via di sviluppo e dalle economie in transizione dell'Est europeo verso l'Europa occidentale, il Nord America e l'Australia. Questo trasferimento su larga scala di lavoratori ha ampliato ovunque nel mondo l'ambito delle attività razziste e delle discriminazioni fondate sull'appartenenza etnica, razziale e religiosa. L'adozione di politiche restrittive in materia di immigrazione e asilo è una delle manifestazioni di questo tipo di discriminazione razziale, o di stampo analogo, nei paesi più industrializzati. Nello stesso tempo assistiamo a uno spostamento senza precedenti di donne che migrano dal Sud verso il Nord, andando a costituire una forza lavoro a basso costo e non sindacalizzata, in particolare nel campo del lavoro domestico e nelle industrie del sesso e dell'intrattenimento dei paesi industrializzati. La migrazione di così tante donne comporta anche una loro vulnerabilità nei confronti di forme multiple di discriminazione. L'intreccio fra discriminazione razziale e discriminazione di genere va quindi analizzato nel contesto di questa situazione economica a livello globale.

Concettualizzazione della discriminazione incrociata
«Il concetto di incrocio cerca di cogliere le conseguenze sia strutturali che dinamiche dell'interazione fra due o più forme di discriminazione o sistemi di subordinazione. Esso affronta specificamente il modo in cui il razzismo, il patriarcato, la disuguaglianza economica e altri sistemi discriminatori contribuiscono a creare livelli molteplici di disuguaglianza che determinano la posizione strutturale relativa delle donne e degli uomini, delle diverse razze e altri gruppi di persone. Esso affronta inoltre il modo in cui atti e politiche specifiche creano difficoltà che si muovono lungo diversi assi fra loro incrociati, contribuendo attivamente a creare una dinamica che priva gli individui di potere», (Rapporto del Gruppo di esperte di Zagabria, pag. 9).

La metafora del crocevia
Il miglior modo di illustrare il concetto di discriminazione incrociata è attraverso la metafora di un incrocio stradale. Tale metafora è stata elaborata dalla Prof.ssa Kimberle Crenshaw4 e ci fornisce un modello efficace di analisi della discriminazione incrociata.
«In questa metafora le discriminazioni di razza, genere, classe e altre forme di discriminazione o subordinazione rappresentano le strade attorno a cui si struttura lo spazio sociale, economico o politico. Le dinamiche dell'espropriazione di potere viaggiano lungo queste corsie del potere, a volte considerate come vie distinte e disgiunte l'una dall'altra, che si escludono a vicenda. In realtà esse spesso si sovrappongono e si incrociano, creando crocevia complessi nei quali si intersecano due, tre o quattro corsie diverse. Le donne che fanno parte di gruppi emarginati, in ragione della loro identità e specificità, si trovano collocate al centro di questi incroci, e devono districarsi nel traffico che scorre sulle diverse strade del crocevia per evitare di essere ferite e ottenere risorse dalle normali attività della vita: e quando il traffico scorre simultaneamente da diverse direzioni questo può essere pericoloso. Quando l'impatto del traffico da una direzione spinge la vittima sul percorso di un altro flusso di traffico possono verificarsi incidenti e ferite; in altre occasioni possono verificarsi collisioni fra flussi di traffico che si muovono simultaneamente. Sono questi i contesti in cui si verificano i danni incrociati - quando svantaggi o collisioni multiple interagiscono fra loro, creando una situazione in cui l'espropriazione di potere è composita, frutto di molteplici spinte», (Rapporto del Gruppo di esperte di Zagabria, pag. 9).
Esistono diversi tipi di discriminazione o subordinazione incrociata. Ma l'incapacità dei governi nazionali e della comunità internazionale di analizzare adeguatamente tutto il vissuto della discriminazione incrociata ha origine nel fatto che nell'approccio tradizionale alle discriminazioni di razza e di genere risultano invisibili alcuni problemi o forme specifiche di discriminazione vissuti dalle donne appartenenti a gruppi emarginati. Crenshaw analizza questo problema usando le espressioni parallele di «eccesso di inclusione» (over-inclusion) e «omissione di inclusione» (under-inclusion).
Il concetto di eccesso di inclusione riguarda le situazioni in cui la dimensione razziale di un'esperienza viene sussunta all'interno di un punto di vista di genere, mettendone dunque in luce solo gli aspetti relativi alla discriminazione in base al sesso e ignorando le altre facce della discriminazione, di stampo razzista. La tratta di donne e bambine, ad esempio, viene considerata come uno dei casi più lampanti di subordinazione delle donne, e viene comunemente considerata un problema legato alla differenza di genere. Di conseguenza nei dibattiti e nelle strategie sulla tratta delle donne e delle bambine si dedica pochissima o nessuna attenzione al fatto che sono alcuni gruppi specifici di donne a essere scelti come vittime mirate di questo tipo di traffico.5 Nel Regno Unito, ad esempio, notizie recenti riferivano la vicenda di un gruppo di ragazze dell'Africa occidentale, di età dai 14 anni in su, giunte nel paese come rifugiate e poi scomparse dalle case di accoglienza. Si tratta di ragazze che erano state portate in Gran Bretagna per poi essere smistate in direzione dell'Italia e costrette dai trafficanti di esseri umani a lavorare nell'industria del sesso. Vale la pena di sottolineare che nel riferire su questi episodi si parla dell'esperienza della schiavitù sessuale e della prostituzione coatta, ma senza soffermarsi minimamente sul perché per questo tipo di traffico sono state scelte proprio delle africane. È la combinazione di genere, razza e condizione socio-economica a rendere queste donne vulnerabili allo sfruttamento economico e sessuale: questo dato di fatto ovvio non viene mai discusso. Inoltre non si analizzano affatto le forme peculiari di discriminazione razziale "sessuata" vissuta da queste donne nel Regno Unito nella loro condizione di rifugiate, o in Italia in quanto rifugiate e contemporaneamente prostitute.6
Per contro, il concetto di "omissione di inclusione" è riferito a situazioni in cui nella lettura di un problema che viene percepito come problema di discriminazione razziale viene sottovalutata o del tutto ignorata la differenza di genere. La sterilizzazione forzata e non consensuale delle donne nere e di altre donne appartenenti a gruppi emarginati, ad esempio, è stata interpretata come problema di discriminazione razziale, piuttosto che come abuso sessuale. O ancora: nel Regno Unito, negli anni '70 e all'inizio degli anni '80, era pratica comune, nella gestione delle norme e degli interventi sull'immigrazione, l'uso di test di verginità per le donne provenienti dal sud-est asiatico. L'obiettivo di questa pratica era verificare se le donne che venivano in Gran Bretagna per sposarsi, in base a una pratica di ricongiungimento familiare, fossero davvero promesse spose. Il preconcetto che guidava questo tipo di interventi era che le asiatiche non hanno rapporti sessuali pre-matrimoniali: pertanto, se una donna non era vergine, non poteva essere una fidanzata autentica, e dunque non aveva diritto a entrare nel paese per ricongiungersi al futuro marito. Sul tema venne organizzata una campagna di sensibilizzazione che suscitò un'ondata di proteste a seguito delle quali tali pratiche furono interrotte. Chi protestava, tuttavia, definì gli interventi in questione solo come razzisti: furono pochi, invece, coloro che denunciarono il fatto che si trattava anche di una violazione delle corpo delle donne asiatiche.
Oltre alla tratta delle donne, un esempio molto noto di discriminazione incrociata è l'esperienza degli stupri e abusi sessuali contro le donne delle minoranze nel contesto dei conflitti armati in Ruanda e in Bosnia: gli abusi erano mirati specificamente contro donne che avevano una specifica identità etnica. In questo caso assistiamo a conflitti essenzialmente motivati dall'odio etnico e razziale, che scelgono le donne di specifiche comunità come bersagli di tipi particolari di stupro, violenza ed aggressione sessuale, al fine di umiliare e disumanizzare l'intero gruppo etnico in questione.
Un'ulteriore variazione sul tema è rappresentata dalla discriminazione strutturale, che si verifica quando determinate politiche interagiscono con strutture di disuguaglianza pre-esistenti, imponendo a donne particolarmente vulnerabili un carico multiplo. Queste donne possono vivere forme specifiche di discriminazione di genere a seguito di una loro vulnerabilità legata all'appartenenza etnica, razziale o di classe. Per converso, donne appartenenti a gruppi emarginati possono essere vittime di forme specifiche di discriminazione razziale legate alla posizione che hanno all'interno della propria comunità, e che è a sua volta definita dalla loro identità di genere. Il razzismo vissuto da queste donne può colpire in modo diverso di quanto avvenga per gli uomini della stessa comunità. Le donne più vulnerabili all'interno di gruppi vittime di razzismo, ad esempio, possono essere costrette a svolgere attività illecite, anche se non violente, a supporto dell'attività criminosa dei loro partner. È la posizione subordinata che queste donne occupano nella loro comunità a causa della divisone sessuale dei ruoli che le porta ad accettare la costrizione a commettere reati: ma di ciò lo stato non tiene conto, comminando anzi talvolta alle donne pene particolarmente pesanti. Queste donne, inoltre, possono poi essere vulnerabili anche a forme specifiche di discriminazione di genere in carcere, forme che vanno da un "eccesso di intervento repressivo" agli abusi sessuali.7
Un'ulteriore manifestazione di discriminazione strutturale si verifica quando la politica in questione interagisce con elementi strutturali del contesto, andando a creare così un insieme di difficoltà che pesano in modo particolare sulle donne appartenenti a gruppi emarginati. I programmi di aggiustamento strutturale nei paesi in via di sviluppo e di transizione, ad esempio, non sono mirati in modo particolare alle donne, ma possono causare un aumento della povertà per le donne appartenenti a gruppi emarginati.
Di qualsiasi forma di discriminazione incrociata si tratti, la conseguenza è quella che le donne appartenenti a gruppi emarginati spesso vivono sulla loro pelle diverse forme di discriminazione contemporaneamente. Eppure la realtà delle loro vite, connotata in ogni suo aspetto dallo svantaggio e dall'ingiustizia sociale, viene ignorata, e non viene discussa dalle analisi tradizionali sulle discriminazioni razziali e di genere, perché ad esse manca un approccio olistico a questi temi.


L'esperienza della Gran Bretagna
Il resto di questa relazione sarà centrato su alcune esperienze di donne che appartengono a minoranze etniche, per lo più provenienti dall'Asia meridionale, con le quali lavoro in un'associazione londinese chiamata "Southall Black Sisters" .8 Focalizzerò in particolare l'attenzione sul tema della violenza contro le donne - una delle aree critiche di intervento affrontata dalla Piattaforma d'Azione di Pechino. Il mio obiettivo è dimostrare come, nonostante la retorica ufficiale, i dibattiti e le strategie per combattere la violenza domestica, il governo ha dedicato scarsa attenzione all'esperienza su questo terreno delle donne nere e delle minoranze, esperienza che è essenzialmente caratterizzata da forme multiple di discriminazione.
Nonostante decenni di lotte delle donne nere e delle minoranze, per ottenere il riconoscimento del loro vissuto quotidiano di discriminazione razziale e di genere, la triste realtà è che nel migliore dei casi le loro esperienze vengono esaminate attraverso la lente di griglie interpretative delle discriminazioni ciascuna delle quali esclude l'altra. Uno dei pericoli di questo approccio riguarda le strategie adottate per combattere le discriminazioni, che possono avere, e nei fatti hanno, l'effetto paradossale di rafforzare ulteriormente alcune forme di discriminazione, che restano invisibili. Avviene così che a molte donne asiatiche venga negato il diritto alla protezione e ai rimedi contro esperienze di abusi e maltrattamenti da loro subiti da parte di soggetti sia pubblici che privati. Oltre alle barriere linguistiche e ai vincoli culturali che richiedono loro il silenzio e l'obbedienza per difendere l'onore della famiglia, molte politiche pubbliche hanno l'effetto di gravare ulteriormente sulle discriminazioni che queste donne vivono nelle proprie famiglie e comunità.

Violenza domestica e politiche sull'immigrazione. Molte donne asiatiche ed appartenenti ad altre minoranze, se giungono nel paese subito dopo il matrimonio e si trovano poi ad essere vittime di violenza domestica, si vedono negare una protezione efficace a causa della cosiddetta "regola dell'anno di prova" , e di altre norme previste dalla legislazione sul welfare. L'assetto legislativo prevede infatti che il coniuge proveniente da un paese estero debba rimanere sposato/a per un "periodo di prova" di almeno un anno, durante il quale non ha accesso a fondi pubblici. Una volta completato il periodo di prova, se la coppia risulta ancora sposata, quello/a dei due coniugi che è giunto/a nel paese in base alla pratica di ricongiungimento può richiedere un permesso di soggiorno illimitato. Se invece il matrimonio si è rotto, qualsiasi ne sia il motivo, la persona in questione viene espulsa, e costretta a tornare nel paese d'origine. Molte donne si trovano così di fronte ad una scelta drastica: o violenza domestica o espulsione. Le donne che hanno timore di tornare al paese d'origine, per paura di trovarsi abbandonate a se stesse, e vittime di ulteriori violenze e persecuzione sociale a causa del mutamento del loro status coniugale, scelgono piuttosto di rimanere vincolate ad un rapporto coniugale violento.

Tenuto conto dell'impatto di questa norma sulla violenza domestica subita dalle donne delle minoranze, nell'ultima revisione della legge su immigrazione e asilo essa è stata modificata9. La modifica introdotta, però, continua a non fornire una protezione efficace alle donne delle minoranze che subiscono violenza in famiglia, in quanto afferma che riceveranno un permesso di soggiorno illimitato solo se sono in grado di dimostrare di aver subito violenze in famiglia nel corso del periodo di prova. Il problema riguarda il fatto che, per dimostrare le violenze subite, alle donne delle minoranze vengono richieste prove pressoché inoppugnabili, che solo poche di loro sono in grado di fornire.10 Il risultato è che molte donne rimangono intrappolate all'interno di rapporti violenti.
L'esistenza di queste norme in materia di immigrazione significa che viene limitata l'autonomia e il diritto delle donne nere e delle minoranze di vivere libere dalla violenza. La norma ha inoltre l'effetto di esacerbare gli abusi che si verificano in famiglia, in quanto dà al coniuge già regolarizzato un potere ulteriore di perpetuare la violenza impunemente, sapendo che essa non sarà oggetto di condanna sociale. Paradossalmente, queste norme restrittive in materia di immigrazione consolidano i rapporti patriarcali e la discriminazione di genere. Eppure, questo aspetto della legislazione e delle politiche sull'immigrazione non viene affrontato nella retorica ufficiale e nelle politiche e iniziative nazionali contro la violenza domestica, mirate a sensibilizzare l'opinione pubblica e ridurre la tolleranza sociale nei confronti della violenza in famiglia. In questo modo, importanti iniziative sul tema della violenza domestica non tengono conto del fatto che non tutte le donne hanno la stessa esperienza di questo tipo di violenza, e non tutte godono degli stessi livelli di tutela.
L'uso di questa norma ha quindi un effetto aggravante sulla violenza subita dalle donne nere e delle minoranze, ed un effetto di discriminazione razziale, in quanto le donne delle minoranze che non hanno un permesso di soggiorno regolare si vedono negare i livelli di tutela e di accesso ai servizi sociali, di cui invece usufruiscono le donne maltrattate della popolazione di maggioranza.

Violenza domestica e sistema penale.
Molte donne nere e delle minoranze non riescono a rivolgersi al sistema penale, per una serie di buoni motivi. La loro esperienza del sistema giudiziario è stata oggetto di attenzione molto scarsa da parte delle autorità, in quanto si colloca a metà del guado. Quando si affronta il tema dei rapporti tra forze dell'ordine e magistratura, da un lato, e dall'altro comunità nere e di minoranza, come è avvenuto di recente a seguito del caso Stephen Lawrence11, la visione che si ha delle comunità nere non comprende mai un'analisi della differenza di genere. Il vissuto specifico del razzismo da parte delle donne nere non è stato pertanto mai analizzato con sufficiente attenzione. Contemporaneamente a ciò, gli studi ufficiali condotti nel corso degli anni sul rapporto fra donne e sistema penale hanno solo sfiorato occasionalmente il tema della specifica esperienza di intreccio fra discriminazione razziale e discriminazione di genere vissuta dalle donne nere.
Le nere possono subire pratiche oppressive da parte della polizia, condividendo su questo terreno l'esperienza del razzismo vissuta dagli uomini della loro comunità. Ad esempio quando denunciano casi di violenza domestica o razziale queste donne possono trovarsi ad essere loro stesse criminalizzate dalla polizia. Nella mia esperienza, le donne che denunciavano casi di violenza domestica sono state loro stesse sottoposte a detenzione, o interrogatori e indagini in merito al loro status di immigrate. In altre situazioni, le donne nere sono scoraggiate dal denunciare casi di violenza ed abusi all'interno della loro comunità, perché si fanno carico di non esporre la comunità ad un "eccesso di intervento di polizia" , o a "misure estreme di intervento pubblico" . Abbiamo visto casi di neri arrestati per violenza domestica ed in seguito espulsi perché irregolari, o morti mentre erano in stato di fermo. Il peso che portano le donne nere è pertanto multiplo: sono sottoposte a pressioni enormi perché non espongano la comunità al razzismo delle istituzioni, ma sono anche impossibilitate a chiedere un intervento contro gli abusi subiti dalle donne all'interno della stessa comunità.
Oltre a subire questo "eccesso di intervento di polizia" , le donne nere e delle minoranze vivono, nell'esperienza della violenza domestica, anche il caso contrario: cioè una "omissione di intervento della polizia" . Storicamente, nei casi di violenza domestica questo problema è sempre esistito. La gran parte dei testi ufficiali sul tema, però, considera l'esperienza delle donne nere nel quadro della discriminazione di genere, e del sessismo prevalente nelle forze di polizia e nel sistema giudiziario. Tuttavia il vissuto delle donne, ed in particolare delle donne del Sud-Est asiatico, mostra come nel loro caso l'omissione di intervento della polizia della magistratura nei confronti della violenza domestica è ancora più marcata, in larga misura (come illustrato oltre) a causa di preconcetti su cosa significhi un approccio "multi-culturale" alle diverse culture. La polizia infatti cita spesso le differenze di cultura e di religione come alibi per la propria scelta di non intervenire. Il risultato è che il potere patriarcale all'interno delle comunità di minoranza, che è lampante ad esempio nel caso di abusi quali la violenza domestica o i matrimoni forzati, viene così consolidato, e non è sottoposto ad alcun controllo.
Il messaggio è che le donne asiatiche non hanno alcun diritto di affidarsi allo stato per essere protette, o per la difesa dei loro diritti umani. La nozione di "differenza", però, viene poi ignorata quando si tratta di elaborare le strategie ufficiali in materia di violenza, tanto che le difficoltà linguistiche, il razzismo, ed altri ostacoli che impediscono alle donne asiatiche di denunciare i casi di violenza, non vengono affatto affrontati. Le diversità culturali e religiose, peraltro, vengono ampiamente invocate, in forma esagerata e stereotipata, per giustificare il mancato intervento nelle famiglie delle minoranze, per timore di essere considerati "disattenti alla diversità culturale". Questo tipo di approccio rappresenta una forma di razzismo alla rovescia, che nega alle donne il diritto ad essere protette, di cui usufruiscono invece le altre donne nella stessa società nei fatti, ciò perpetua l'abuso di potere patriarcale all'interno delle comunità di minoranza.

Violenza domestica e multiculturalismo. Nel Regno Unito, come anche in altre democrazie occidentali, il multiculturalismo è divenuto l'approccio dominante al tema dei rapporti fra stato e comunità di minoranza. Questa politica, con la sua insistenza sull'esigenza di rispettare e tollerare le diversità e le differenze, è largamente accettata come l'approccio più illuminato e progressista al tema dell'integrazione delle minoranze. Il modello multiculturale è onnipresente, nelle politiche e nella prassi sul terreno sociale. Certo, le idee su cui esso si basa, di tolleranza e rispetto per le minoranze, sono molto importanti; ma i discorsi sul multiculturalismo spesso tendono a vedere le comunità di minoranza come se fossero realtà omogenee, le cui culture sono fisse e statiche, e al cui interno non esistono differenze di classe, di casta o di genere. Non vengono così riconosciuti i rapporti di potere e le contestazioni interne a tali rapporti, che nascono proprio dall'esistenza di tali differenze. Questo modello, inoltre, risulta antidemocratico, perché i rapporti fra lo stato e le comunità di minoranza vengono mediati da figure di leader autodefinitisi tali, non eletti da nessuno, di sesso maschile, e in genere provenienti da ambienti socialmente conservatori, che hanno ben poco o nessun interesse per i diritti delle donne o la giustizia sociale. La maggior parte di questi leader provengono da ambienti religiosi, ed il loro interesse principale è la difesa della famiglia e dei valori religiosi e culturali. Che le donne siano in linea con i dettati della religione e della cultura, per trasmettere da una generazione all'altra i valori culturali prescritti, è quindi un'aspettativa che questo tipo di leader considera inderogabile.

In realtà in Gran Bretagna alle figure leader dei gruppi di minoranza viene consentito il controllo della famiglia - delle donne e dei bambini - in cambio di un mantenimento dello status quo sul piano politico. A livello formale e informale, fra stato e capi della comunità si stabilisce una sorta di contratto, nel quale avviene in certo qual modo uno scambio fra autonomia individuale e autonomia del gruppo. Sono lo stato e i leader della comunità a determinare fra di loro il grado di controllo che deve essere esercitato all'interno della comunità sul tema degli interventi di polizia, ad esempio, la polizia consulta regolarmente i capi della comunità per decidere come e su quali temi il gruppo debba essere sottoposto al controllo delle forze dell'ordine.
Il multiculturalismo è una dimensione all'interno della quale l'intreccio fra discriminazione razziale e di genere presenta il massimo della complessità e anche delle insidie. Ciò è in parte dovuto al fatto che la discriminazione di genere all'interno delle comunità di minoranza viene oscurata dai contenuti liberal di questo modello, con i richiami alla tolleranza e al rispetto della diversità.
Secondo noi il modello multiculturale rappresenta uno degli ostacoli principali all'esercizio dell'uguaglianza e dei diritti umani da parte delle donne dell'Asia meridionale e di altre minoranze, sia nel Regno Unito che in altri paesi. La conseguenza dell'applicazione delle politiche multiculturali è che nei confronti dei diritti umani delle donne delle minoranze, lo stato adotta e legittima un approccio relativista. Un esempio è il modo in cui recentemente, nel primo rapporto di governo mai elaborato sul tema dei matrimoni forzati12, il governo ammette che la pratica della mediazione (che nei fatti comporta una riconciliazione delle vittime con i loro oppressori, senza ulteriori verifiche da parte dello stato) è un'opzione legittima e praticabile. Eppure contemporaneamente si riconosce che le politiche pubbliche in materia di violenza domestica e abusi contro le donne della popolazione di maggioranza non ammettono la pratica della mediazione, in quanto essa non garantisce la tutela delle donne da questo tipo di violenza e di abusi. L'approccio multiculturale, insomma, non solo ammette ma perfino aggrava gli abusi contro le donne e le bambine nelle comunità di minoranza, in quanto nega loro la protezione di cui hanno bisogno, a causa della loro maggiore vulnerabilità, in quanto donne e in quanto rappresentanti di un gruppo di minoranza.

Raccomandazioni d'azione
Sono necessari interventi urgenti, a livello sia nazionale (di governo) che internazionale (delle Nazioni Unite), per sensibilizzare le coscienze sulla natura molteplice delle discriminazioni vissute dalle donne dei gruppi emarginati, e per integrare in tutte le politiche un approccio più olistico alle discriminazioni razziali e di genere, che tenga conto dell'intreccio fra le due dimensioni. La natura simultanea e incrociata delle discriminazioni multiple deve essere sia compresa a livello teorico che affrontata a livello pratico.
Molte delle raccomandazioni su come affrontare le discriminazioni incrociate sono contenute nel rapporto del gruppo di esperte di Zagabria13. Poiché buona parte della mia relazione riguarda l'incapacità di riconoscere il problema della discriminazione incrociata a livello nazionale, le raccomandazioni che seguono hanno in particolare l'obiettivo di spingere i governi ad adottare azioni positive, per identificare ed affrontare il modo in cui la discriminazione multipla colpisce le donne appartenenti a gruppi emarginati che vivono situazioni di violenza in famiglia.


Al sistema ONU e ai governi
Sviluppare metodologie per individuare la discriminazione incrociata e i suoi effetti sulle donne e le ragazze vittime di violenza domestica e di altri abusi all'interno della famiglia, quali i matrimoni forzati, i crimini d'onore, i crimini relativi alla consegna e acquisizione della dote, e gli abusi sessuali nella vita pubblica e privata. L'analisi della discriminazione incrociata deve partire da una comprensione del vissuto delle donne appartenenti a gruppi emarginati, in tutte le sue complessità, ponendo una serie di interrogativi su quali aspetti delle discriminazioni hanno effetti convergenti e determinanti sulla loro vita.

Ai governi
- Rivedere al più presto tutte le leggi e le politiche di governo, quali ad esempio le norme sulla violenza contro le donne, la cittadinanza, la nazionalità, l'immigrazione e l'asilo, per verificarne l'eventuale impatto discriminatorio sulle donne appartenenti a gruppi emarginati, rispetto all'esercizio dell'uguaglianza razziale e di genere.
- Attenta verifica delle politiche governative sull'eliminazione della discriminazione razziale, comprese le politiche multiculturali ed altre politiche considerate "anti-razziste" e progressiste, per verificarne l'impatto sull'eguaglianza fra i sessi, dal punto di vista delle donne delle minoranze.
- Adottare e/o rafforzare leggi e normative di contrasto a tutte le forme di razzismo, comprese le sue manifestazioni legate alla differenza di genere.
- Tenendo presenti le difficoltà che incontrano le donne nell'affrontare la discriminazione multipla o incrociata, rivedere le strutture nazionali esistenti per garantire che le donne possano chiedere protezione e interventi risolutivi, contro la discriminazione incrociata in base alla razza e al sesso.
- Rivedere e abrogare tutte le norme di legge e le politiche su immigrazione e asilo che portino a qualsiasi forma di discriminazione contro le donne appartenenti a gruppi emarginati.
- Garantire alle immigrate, comprese le immigrate irregolari, accesso pieno e paritario a tutte le risorse e misure preventive contro la violenza che sono a disposizione delle altre donne, nonché accesso a servizi adeguati di interpretazione e sostegno.
- Garantire alle donne delle minoranze pieno accesso a strutture giudiziarie trasparenti ed efficaci, tramite le quali chiedere rimedi contro le violazioni dei diritti umani.
- Costruire politiche e programmi, compreso l'uso delle quote, per aumentare la partecipazione delle immigrate ai processi decisionali, in particolare a livello locale.
- Garantire alle organizzazioni non governative che lavorano specificamente con le donne appartenenti a gruppi emarginati un'attenzione prioritaria ed adeguati finanziamenti.
- Condizionare all'esigenza di integrare un approccio che tenga conto della discriminazione incrociata, l'erogazione di finanziamenti e altre risorse ai gruppi che si occupano di tutte le forme di discriminazione vissute dai gruppi emarginati.
- Fornire risorse finanziarie e di altra natura per la formazione anti-razzista degli operatori del sistema giudiziario civile e penale, e dei servizi sociali pubblici, garantendo che essa comprenda una sensibilizzazione sugli aspetti della discriminazione razziale legati alla differenza di genere. E viceversa: erogare risorse per una formazione sui temi della differenza di genere che tenga conto dei modi in cui essa si intreccia con la discriminazione razziale.
- Sviluppare programmi di formazione e sensibilizzazione per gli operatori del settore giudiziario, sanitario, dell'istruzione e dei servizi, per affrontare i problemi specifici creati dall'approccio multiculturale alla violenza domestica e ad altre forme di abuso legate alla differenza di genere, di cui sono fatte oggetto le donne delle minoranze o di altri gruppi emarginati.


Al sistema ONU

Per ciò che riguarda le raccomandazioni rivolte al sistema ONU, agli organismi intergovernativi, agli organismi specializzati delle Nazioni Unite e agli organi di controllo sull'applicazione dei trattati sui diritti umani, rimando alla lista molto ampia e completa di raccomandazioni contenuta nel rapporto del gruppo di esperte di Zagabria. E' assolutamente urgente integrare un'analisi della discriminazione incrociata nell'indagine su tutte le forme di discriminazione condotta dai diversi organismi delle Nazioni Unite. Ciò comporta integrare un'analisi dell'intreccio fra discriminazione razziale e discriminazione in base al sesso nel lavoro di tutti gli organismi del sistema dei diritti umani, compresi gli organi di controllo sull'applicazione dei trattati, le commissioni e le attività dei gruppi di lavoro e dei relatori speciali, tematici e sui singoli paesi.




NOTE

1 Relazione presentata alla 45ma Sessione della Commissione Onu sulla condizione delle donne (Csw), New York, 6-16 marzo 2001.

2 N.d.r. Si tratta del Comitato delle Nazioni Unite che ha il compito di verificare l'applicazione della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Cerd). Per ulteriori informazioni sulla Convenzione, e sui compiti del Comitato Cerd, vedi la pubblicazione "La Convenzione contro il razzismo" , a cura della Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità, collana "I diritti umani delle donne" , Roma, 2001, e il sito web www.dirittiumani.donne.aidos.it.

3 CERD/C/56/Misc.21/Rev.3.

4 Il termine "nero/a" è un'espressione politica molto usata nelle comunità afro-caraibiche ed asiatiche del Regno Unito per illustrare l'esperienza comune di queste comunità rispetto al colonialismo e al razzismo: tale espressione ha dunque avuto un ruolo utile, unificante e di mobilitazione comune.

5 La Prof.ssa Kimberle Crenshaw ha svolto il ruolo di consulente per il Gruppo di esperte su discriminazione razziale e discriminazione di genere, tenutosi a Zagabria, Croazia, il 21-24 novembre 2000. La Prof.ssa Crenshaw ha fornito un eccellente quadro teorico per analizzare le forme multiple di discriminazione che affrontano le donne dei gruppi emarginati, nella relazione presentata al gruppo, dal titolo: "Gender-related Aspects of Race Discrimination".

6 Vedi Crenshaw, "Gender-related Aspects of Race Discrimination" , relazione al Gruppo di esperte di Zagabria, Croazia, 21-24 novembre 2000.

7 In Italia più del 40 per cento delle prostitute sono nigeriane (fonte: The Guardian, venerdì 9 marzo 2001).

8 Vedi Crenshaw, op.cit., p.12.

9 La SBS (sorelle nere di Southall) è un'organizzazione di donne nere e appartenenti a minoranze, nella zona ovest di Londra. Si tratta di un'associazione che offre consulenze ed interventi ad hoc nei singoli casi, ed organizza campagne di sensibilizzazione e mobilitazione sui temi che riguardano le donne nere e delle minoranze. Il gruppo si è formato nel 1979, per affrontare l'invisibilità dell'esperienza delle donne nere nei dibattiti ufficiali, accademici e dei movimenti di base, sui temi dell'ingiustizia e delle disuguaglianze razziali e di genere. La maggior parte degli interventi del gruppo riguarda forme di violenza domestica, sessuale, e altre forme di violenza in famiglia, e la risposta da dare a queste situazioni.

10 A seguito di una forte campagna di pressione da parte della SBS, il governo britannico ha annunciato una deroga nella legge su immigrazione e asilo del 1998. La norma di deroga recita: "laddove una persona cui è stato concesso un permesso di soggiorno di dodici mesi per causa matrimonio diviene vittima di violenza domestica, le verrà concesso un permesso di soggiorno di durata illimitata, purché a supporto della domanda vengano esibite prove del fatto, quali un'ordinanza del tribunale, una sentenza di condanna o una diffida delle forze dell'ordine ".

11 Come si è detto, le uniche prove considerate accettabili dallo stato sono un'ordinanza del tribunale, una sentenza di condanna o una diffida delle forze dell'ordine. Tuttavia poche donne sono in grado di fornire prove sufficienti ad ottenere la condanna del partner violento, a causa della mancanza di testimoni, della scarsa volontà di perseguire questi reati da parte delle forze di polizia e delle procure, e perché le donne temono una risposta oppressiva delle forze di polizia sia nei loro confronti che contro il partner. Anche le ordinanze del tribunale sono difficili da ottenere, a causa della mancanza di assistenza legale, di accesso a servizi legali adeguati, ecc. Le diffide, infine, sono molto rare, perché presuppongono un'ammissione di colpevolezza da parte del/dei responsabile/i degli atti di violenza. Altri ostacoli sono rappresentati dalle difficoltà linguistiche, dalle barriere culturali, dall'isolamento e dal razzismo, che impediscono a molte donne nere o delle minoranze di ottenere il tipo di prove richieste.

12 Il caso Stephen Lawrence riguardava l'assassinio razzista di un adolescente nero (afro-caraibico) nel 1993, e l'incapacità della polizia di indagare su questo crimine a partire dalla sua motivazione razzista. L'indifferenza incompetenza e razzismo da parte delle forze di polizia, consentì agli aggressori bianchi di Stephen Lawrence di sfuggire al processo penale. La famiglia Lawrence lanciò una campagna straordinaria per costringere lo stato britannico a riconoscere l'esistenza del razzismo istituzionale, e l'inaffidabilità della polizia. Tale campagna portò ad un'indagine pubblica di alto profilo su come la polizia aveva gestito il caso, ed in generale sui rapporti fra la polizia e la popolazione nera. Sono state elaborate una serie di raccomandazioni, contenute nel Rapporto McPherson del 1999, ma il Rapporto tradisce una totale assenza di comprensione dell'interazione fra razza e differenza di genere, che rappresenta invece il vissuto reale delle donne nere nel Regno Unito.

13 A Choice by Right, Home Office, 2000.

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