Antropologia delle mutilazioni dei genitali femminili*

di Carla Pasquinelli



1. Che cosa sono le Mgf

Mutilazioni dei genitali femminili è il nome che è stato dato nel corso della III Conferenza del Comitato inter-africano sulle pratiche tradizionali rilevanti per la salute di donne e bambine/i (Iac nell'acronimo inglese, Ci-Af in quello francese) a tutte quelle pratiche tradizionali in cui si ha l'asportazione e/o l'alterazione di una parte dell'apparato genitale esterno della donna. Non è però così che le chiamano le popolazioni dei paesi in cui si praticano, che non accettano la forte connotazione negativa contenuta in tale espressione. Ogni gruppo usa i termini tramandati dalla propria tradizione che variano molto da un'etnia o da una regione all'altra, a seconda anche di quale tipo di mutilazione si tratta. Ad esempio le somale, quando ne parlano tra loro, ricorrono spesso al nome assai più domestico ed evocativo di "cucitura". Ma in genere tutte le popolazioni in cui è diffuso questo tipo di intervento su una parte così delicata del corpo femminile preferiscono il termine circoncisione. Si tratta di un termine neutro che viene usato in maniera impropria per assimilare le mutilazioni dei genitali femminili alla circoncisione maschile in cui, com'è noto, ci si limita a recidere solo la pelle che circonda il glande senza provocare nessun effetto mutilante sul corpo maschile. In tale modo con questa traslazione linguistica si sfumano le differenze radicali che vi sono tra i due tipi di operazione, con il risultato di occultare il carattere demolitore che ha invece la maggioranza degli interventi sui genitali femminili e accreditarne un'immagine più familiare e rassicurante.

Secondo la classificazione fatta dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) si possono distinguere quattro tipi principali di mutilazione:

il I tipo consiste nel recidere il prepuzio o nella asportazione parziale o totale della clitoride (clitoridectomia). Sunna è il nome tradizionalmente usato per designare questo tipo di mutilazione;

il II tipo o escissione, consiste nel recidere il prepuzio e nell'asportazione, oltre che della clitoride, di parte o di tutte le piccole labbra;

il III tipo, cioè l'infibulazione o circoncisione faraonica, è la forma di intervento più cruenta e consiste nell'escissione della clitoride e nell'asportazione delle piccole labbra e anche - soprattutto in passato, ma in area rurale ancora oggi — dell'asportazione parziale o totale delle grandi labbra e nella successiva cucitura dell'apertura vaginale ridotta a un piccolo pertugio — non più grande di un chicco di riso o di miglio — per permettere la fuoriuscita dell'urina e del sangue mestruale;

il IV tipo include tutta una serie di procedure che vanno dal trafiggere o punzecchiare lievemente la clitoride in modo da farne uscire alcune gocce di sangue a tutta una ampia casistica di manipolazioni che variano molto da una etnia all'altra - allungamento delle clitoride o delle labbra, cauterizzazione della clitoride, taglio della vagina (gishiri), introduzione in vagina di sostanze corrosive per restringerla o renderla asciutta.

Sono tutti interventi che nella maggioranza dei casi vengono effettuati senza anestesia da praticanti tradizionali, e comportano un alto tasso di mortalità, di complicazioni sanitarie e di disturbi psicologici. Per la clitoridectomia, che di fatto riguarda la grande maggioranza delle donne, e ancor più per la sunna le conseguenze sul piano medico-sanitario non sono così rilevanti come per l'escissione e ancor più per l'infibulazione.

Le mutilazioni dei genitali femminili sono soprattutto un'usanza africana, dato che i casi extra-africani sono ritenuti dagli esperti di importazione recente. Mentre la sunna, è praticata anche a nord, le altre sono soprattutto diffuse lungo tutta la fascia dell'Africa sub-sahariana - l'infibulazione in Africa orientale e la clitoridectomia nei paesi dell'Africa occidentale - un territorio vasto ed eterogeneo popolato da etnie con lingue, culture e religioni diverse, che hanno in comune uno stesso sistema economico-simbolico fondato sul rapporto tra Mgf e prezzo della sposa.

Dato il loro carattere sociale si applicano a tutte le donne di un determinato gruppo etnico o di una determinata società e si svolgono secondo tempi e periodicità stabilite. In genere le bambine vengono operate in una determinata stagione o mese dell'anno secondo scadenze periodiche, che variano da una etnia all'altra. Anche l'età in cui vengono fatti gli interventi cambia a seconda delle etnie e del tipo di mutilazione. Schematizzando molto si può dire che la clitoridectomia viene praticata nel periodo della primissima infanzia (dal 3° al 40° giorno di vita) soprattutto nelle società cristiane, ma anche in alcune società animiste e musulmane, e tra i 4 e i 14 anni nelle società musulmane e animiste. L'età dell'infibulazione varia invece dai 3 ai 12 anni e rari sono i casi di interventi nel periodo neo-natale.

2. Un lungo silenzio

Le mutilazioni dei genitali femminili hanno un'origine oscura relegata in un passato remoto che per alcuni fanno risalire ai faraoni, mentre per altri si estenderebbe fino all'antica Roma, un'origine resa ancora più oscura dal silenzio che le ha sempre circondate e che ha contribuito a farne un argomento tabù per le genti africane, ma anche a proteggerle dalla curiosità indiscreta di noi occidentali. Dietro questo silenzio ci sono molte cose: c'è un mondo di donne chiuso su se stesso, un mondo di interni, sospeso tra l'attesa e il timore di tagliare via una parte del corpo delle proprie bambine nel corso di cerimonie di cui per secoli le madri sono state le grandi registe, e c'è un mondo esterno, un mondo di uomini che si mantiene estraneo e distante, e che però su questo disciplinamento dei corpi femminili ha fondato le proprie strategie di potere. A tenere insieme e a dare coerenza a questi due mondi così distanti tra loro c'è una pratica cruenta che stringe in una morsa tutta la fascia dell'Africa subsahariana, e che costituisce l'espressione simbolica di un complesso sistema economico e sociale di strategie matrimoniali diffuso in maniera capillare in tutta l'area. Si tratta di un meccanismo di domino fondato sul prezzo della sposa, cioè sul compenso che la famiglia del futuro marito versa alla famiglia della futura moglie in cambio di una donna illibata, il che vuol dire circoncisa - escissa, o infibulata che sia - pronta a rispedirla al mittente e a riprendersi il compenso versato - sia in bestiame che in denaro - se la donna non è operata come si deve. Il valore di una sposa dipende infatti dalla sua verginità e le Mgf sono una forma di protezione che inibisce nella donna desideri e tentazioni di rapporti prematrimoniali, ma che soprattutto la preserva e la difende da violenze e stupri.

In questo silenzio rientra anche la tacita complicità dell'Occidente che con il colonialismo prima e con le politiche di cooperazione allo sviluppo poi ha preferito in maniere diverse ignorare le Mgf, trincerandosi dietro una forma di rispetto per altro inusuale delle tradizioni locali. Una consegna del silenzio che persino gli etnologi - questi addetti ai lavori sui costumi altrui - non sono stati in grado di rompere. Fatta eccezione delle testimonianze che compaiono a partire dalla fine del XVII secolo in quegli straordinari documenti etnografici che sono le relazioni di viaggio, poche sono le ricerche condotte sulle Mgf e quelle poche incomplete, anche perché per lungo tempo ad andare sul campo sono stati in prevalenza degli uomini che avevano, proprio in quanto uomini, difficoltà di accesso o scarso interesse per il mondo femminile.

A suggellare tale silenzio è poi venuto in anni più recenti il rifiuto a parlarne da parte delle dirette interessate. È rimasta famosa la posizione assunta dalle donne africane alla Conferenza di Copenhagen del 1980 dove si sono sottratte alle pressioni delle femministe americane che insistevano per inserire la questione delle Mgf nella loro agenda politica respingendo tale iniziativa come una ingerenza indebita nelle loro vite e nelle loro scelte politiche.

Poi qualcosa è cambiato. Non saprei bene dire né quando né come il muro di omertà e di indifferenza che le ha relegate per secoli fuori dalla storia ha cominciato a incrinarsi. Da qualche anno a questa parte il silenzio ha lasciato il posto a una proliferazione di discorsi, che stanno trasformando le Mgf in una nuova questione sociale legata al rispetto dei diritti umani e alla salvaguardia della salute delle donne e delle bambine.

Questa fuoriuscita dal cono d'ombra è il precipitato di anni di campagne di sensibilizzazione promosse da organizzazioni non governative, internazionali ed africane, e dalle varie agenzie delle Nazioni Unite, ma è anche il risultato dei provvedimenti legislativi presi da alcuni governi locali. In un'ottica più generale è il segnale che anche questa pratica arcaica e segreta è ormai entrata nell'area dei processi di modernizzazione in concomitanza con alcuni eventi drammatici che stanno mutando la vita e la fisionomia di molte popolazioni africane, quali la guerra, l'emigrazione e l'espansione del fondamentalismo islamico.

3. Origine delle Mgf

Se non è facile ricostruire l'origine delle Mgf data la varietà delle loro forme e la diffusione in una zona così ampia del continente africano, non mancano però le ipotesi, che cercano di accreditarne una determinata filiazione. Secondo alcune, l'escissione risale all'antico Egitto, ma la si ritrova anche a Roma, dove era praticata sulle schiave e appare legata ad aspetti patrimoniali del corpo femminile. Sempre a Roma troviamo l'infibulazione - un termine d'origine latina - solo che inizialmente designava un'operazione esclusivamente maschile. Si trattava di una specie di spilla - fibula - che veniva applicata ai giovani per impedire loro di avere rapporti sessuali. Ma il centro della diffusione dell'infibulazione femminile sembra che sia stato l'Egitto faraonico, come attesterebbe la denominazione di "circoncisione faraonica".

Comunque allo stato attuale l'origine delle mutilazioni dei genitali femminili sembra destinata, come si è già accennato, a restare indeterminata. L'unica cosa certa è che non è stato l'Islam a introdurre in Africa le mutilazioni dei genitali femminili che erano già presenti in loco assai prima della sua diffusione. Si tratta infatti di usanze indigene profondamente radicate nelle società locali e preesistenti alla penetrazione dell'Islam nell'Africa subsahariana e centro-orientale iniziata a partire dal 1050, dopo essersi assestato nei secoli precedenti nell'Africa mediterranea e avervi praticamente cancellato la presenza delle antiche chiese cristiane.

L'attribuzione che spesso viene fatta all'Islam dell'origine delle mutilazioni dei genitali femminili in Africa è probabilmente dovuta alla facilità con cui si è saputo adattare al tessuto tradizionale conformandosi al modo di vita locale. La sua penetrazione, infatti, è stata resa possibile dalla presenza nelle culture africane di alcuni elementi - come le strutture patrilineari e la concezione di Dio fondata su un forte senso di dipendenza - che ne hanno favorito l'accettazione, permettendogli di radicarsi nel tessuto tradizionale molto più di quanto non siano riuscite a fare le varie chiese cristiane che si sono impegnate alcuni secoli più tardi nell'evangelizzazione del continente africano. Questa "africanizzazione dell'Islam" - che si è espressa tra l'altro anche nell'adozione del nome locale di Dio per la traduzione del nome di Allah - ha reso la religione islamica più tollerante nei confronti delle mutilazioni dei genitali femminili, che invece sono state più contrastate da parte cristiana, venutasi spesso a trovare in aperto conflitto con le culture locali. Il caso più clamoroso resta la ribellione nei confronti dei missionari che avevano proibito di fare l'escissione delle donne Kikuyu in Kenya nel 1929.

Questo diverso atteggiamento della religione islamica e di quella cristiana si riflette anche nella percentuale di donne sottoposte alla mutilazione dei genitali nei due contesti. Le cifre parlano chiaro: mentre in area cristiana - dove predomina la clitoridectomia - le percentuali oscillano tra il 20 e il 50 per cento, in area islamica — e in particolare nel Corno d'Africa, dove l'infibulazione è di rigore - si toccano punte che vanno dall'80 al 100 per cento. Con il tempo l'identificazione dell'Islam con la tradizione indigena non ha fatto che rafforzarsi a tal punto che è stato però il maggiore responsabile della loro diffusione al di fuori dell'Africa, esportandole tra l'altro in Indonesia e in Malesia.

Pur non essendo stata all'origine di tali pratiche nel continente africano, la religione islamica le ha di fatto legittimate, le ha difese e le ha giustificate contribuendo così a perpetuarle e a diffonderle, anziché combatterle come hanno cercato di fare le chiese cristiane. Oggi questa stretta identificazione dell'Islam con le culture tradizionali sta diventando un problema. C'è una parte dell'Islam tra cui il clero fondamentalista formatosi in Arabia Saudita che cerca di prendere le distanze dalle mutilazioni più distruttive - come l'escissione e l'infibulazione - adoperandosi a rinviare al mittente, ossia alla cultura tribale, la sua pesante eredità, che mal si concilia con le ambizioni fondamentaliste di "islamizzare" la modernità.

4. Riti di iniziazione

Quello dell'origine è comunque un falso problema, perché rimuove più che aiutare a capire le ragioni della presenza delle Mgf autorizzando l'idea di una sopravvivenza arcaica, e mettendo in secondo piano il fatto che le Mgf sono invece un istituto tuttora molto attivo nel determinare la vita di relazione e di scambi su cui si basa l'organizzazione sociale di gran parte delle società africane. Il loro profondo radicamento è dovuto a una complessa costellazione di fattori che pur variando da un'etnia all'altra presentano alcuni tratti comuni. Si tratta del ruolo fondamentale che tale tipo di pratiche tradizionali ha nella costruzione dell'identità di genere e nella formazione dell'appartenenza etnica, oltre che nella definizione dei rapporti tra i sessi e le generazioni.

Prima di esaminare in maniera più dettagliata tutti questi aspetti su cui si esercita l'efficacia simbolica delle mutilazioni dei genitali femminili, bisogna definirne meglio la fisionomia. Per pratiche tradizionali si intende quegli atti abituali, di uso comune, che sono stati trasmessi dalla generazione passata e che con molta probabilità saranno passati a quella successiva. Le mutilazioni dei genitali femminili sono però un tipo particolare di pratiche tradizionali. Con esse siamo infatti nell'ambito dei riti di passaggio, ovvero di quelle pratiche cerimoniali che guidano, controllano e regolamentano i mutamenti di status, di ruolo, o di età delle persone e così facendo scandiscono le varie fasi del ciclo di vita trasformandole in un percorso ordinato e dotato di senso che ne soddisfa i bisogni di identità e di riconoscimento.

In particolare le mutilazioni dei genitali femminili sono una componente fondamentale dei riti di iniziazione, attraverso cui nelle società tradizionali si diventa "donna". Donna infatti non si nasce, nel senso che la connotazione biologica non riesce a essere di per sé un fattore sufficiente di individuazione. A questo provvedono i riti che trasformano l'appartenenza sessuale ascritta in uno status acquisito, riscattando il destino biologico legato al sesso per trasformarlo in una "essenza sociale": la donna. Sono infatti i riti che decidono dell'identità delle persone proprio a cominciare da quelle appartenenze ascritte come il sesso e l'età. Sottraendole alla biologia, sono i riti che notificano alla persona la sua identità, indicandogli ciò che è e ciò che deve essere.

Sono loro che fanno conoscere e riconoscere una differenza preesistente, come quella che separa i sessi, facendola esistere in quanto "differenza sociale". Proprio in virtù di questo loro potere simbolico i riti di passaggio sono stati definiti "atti di magia sociale". Non solo perché sono in grado di creare delle differenze dal nulla nel momento stesso in cui notificano alle persone la loro nuova identità, ma perché fanno riconoscere alla comunità come legittimo quello che invece è un limite arbitrario che istituisce una divisione fondamentale dell'ordine sociale, come quella tra sposati e non sposati, o tra iniziati e non iniziati, o quella ancora più radicale tra maschi e femmine.

5. La costruzione della identità di genere

Naturalmente questo non accade solo in Africa. Con sfumature diverse ogni società trasforma la sessualità biologica in una costruzione culturale differenziando il maschile dal femminile per decidere della sua appartenenza di genere. Il genere è un processo di definizione del sé secondo l'adesione ai modelli culturali che si sono storicamente costruiti sulla differenza di sesso. Si tratta per lo più di modelli impliciti nelle forme di agire, che proiettano la differenza tra i sessi sul piano culturale riscattandola dalla pura appartenenza biologica. Mentre nelle società complesse lo statuto del genere è soggetto a una negoziazione continua, nel senso che nessuna delle distinzioni che oggi contrappongono uomini e donne è destinata a rimanere a lungo uguale a se stessa e come tale non può essere data per scontata, nelle società tradizionali lo statuto di genere appare assai più fisso e allo stato attuale abbastanza immodificabile.

Nelle società africane la creazione dell'identità di genere prima di essere un percorso metaforico è una manipolazione fisica dei corpi. Rispetto agli aspetti cerimoniali dei riti di iniziazione, cui spetta la gestione simbolica del passaggio di status, le mutilazioni dei genitali femminili fanno qualcosa in più, nel senso che incidono sui corpi la loro appartenenza di genere. In due modi distinti: da una parte modificandone la morfologia e dall'altra plasmandone l'espressività.

Le Mgf provvedono ad asportare la parte "maschile" dell'apparato genitale femminile, la clitoride assimilata a un piccolo pene, cancellando la bisessualità originaria fondata sulla presenza in entrambi i sessi di rudimentali organi genitali dell'altro sesso: nel maschio è il prepuzio a essere asportato con la circoncisione perché è considerato un residuo di femminilità per il suo aspetto di guaina. Di fatto si tratta di due operazioni complementari, da una parte si nasconde l'organo genitale femminile e dall'altra si scopre l'organo maschile. Solo con l'escissione delle sue parti maschili una ragazza può diventare una donna a pieno titolo. In tal modo, nonostante che la costruzione dell'identità di genere sia soprattutto un processo simbolico, tale manipolazione fisica dei corpi rafforza l'impressione che l'identità femminile sia prodotta e mantenuta attraverso la circoncisione. Si ha così una sorta di naturalizzazione delle procedure attraverso cui la cultura costruisce le appartenenze di sesso, con la conseguenza di rendere molto difficile ogni tentativo di mettervi fine, sia a livello individuale che collettivo.

Oltre a manipolare il corpo della donna le mutilazioni ne costruiscono anche l'aspetto fisico, le proporzioni e l'armonia tra le varie parti, l'exis, le posture, e il portamento, dotando il corpo della donna di quelle "tecniche del corpo" - come le definisce Mauss - quegli automatismi corporei che in maniere diverse rappresentano in ogni cultura la "femminilità". Questo è particolarmente visibile nelle donne infibulate la cui andatura flessuosa e lenta è una conseguenza dell'operazione che rende assai problematica tutta una serie di movimenti. Dal momento che l'intervento ravvicina tra loro le gambe, restringendone lo spazio intermedio elimina in tal modo la possibilità di allargare troppo le cosce, costringendo il corpo della donna a un portamento e a un'andatura che potremmo definire centripeta. Una volta infibulate le bambine vengono rieducate a usare il proprio corpo, a selezionare alcuni movimenti e posture compatibili con il cambiamento subito a seguito dell'intervento e ad abbandonarne altri che possono compromettere il risultato dell'operazione, riaprendo una ferita appena suturata. ´Attenta, non correre, non giocare a palla, ti strappiª, raccomandano le madri, che si fanno carico di questa forma di disciplinamento dei corpi delle proprie figlie secondo norme e modelli di comportamento ispirati al ruolo subordinato della donna nella società e improntati a una rigida separazione e differenziazione tra il maschile e il femminile. L'operazione mette tra l'altro fine a ogni forma di promiscuità tra bambini e bambine, che cessano di giocare con i propri coetanei non solo perché il nuovo assetto corporeo rende impossibile quel tipo di attività che siamo abituati ad associare al maschile, come correre, giocare a palla, saltare eccetera, ma perché è il nuovo status di donna a non lo permetterlo più.

Possiamo quindi considerare le mutilazioni dei genitali femminili come "un marcatore sessuale", non solo perché sottraggono il corpo della donna all'ambivalenza dei suoi significati per consegnarlo alla sua identità di genere, ma anche perché naturalizzano la differenza tra i sessi, riuscendo a occultare la costruzione culturale dell'appartenenza di genere.

Si è visto come le mutilazioni dei genitali femminili acquistino il loro significato all'interno dei riti di iniziazione, di cui costituiscono l'evento centrale. Può anche accadere che in alcuni casi l'elemento cerimoniale sia ridotto al minimo e costituiscano esse stesse la performance rituale. Ogni operazione si svolge infatti secondo una sequenza fortemente ritualizzata che si ripete immutata da madre a figlia. Tutto accade in un luogo appartato e in un'ora cerimoniale, con un'operatrice che viene da fuori ed è gestita nel segreto di una comunità femminile che a operazione avvenuta si apre e accoglie l'intera comunità, o il vicinato se siamo in città, per festeggiare e riconoscere pubblicamente il nuovo status di donna, quasi sempre accompagnato da doni con forte carica simbolica nei colori e nelle forme.

6. Aspettative e rappresentazioni

La casistica è molto ampia ma pur variando enormemente a seconda del tipo di mutilazione, dell'età delle iniziande, e delle abitudini e tradizioni locali, la pratica si svolge secondo una sequenza rituale scandita dalle tre fasi di separazione, margine e aggregazione che caratterizzano ogni rito di passaggio.

La prima fase è quella di separazione quando all'alba le bambine da operare vengono portate via da casa e riunite in un luogo lontano da sguardi indiscreti dove avverrà l'operazione. La seconda fase è quella liminale, un periodo di tempo sospeso tra la sofferenza dovuta all'operazione e la cicatrizzazione delle ferite, che le bambine trascorrono sdraiate per terra con le gambe fasciate, in un luogo appartato lontano dalla famiglia, in attesa della guarigione. La terza e ultima fase è quella di aggregazione, quando vengono reinserite nella comunità in festa e colmate di doni, per celebrare il loro ingresso nel mondo femminile.

Ovunque è lo stesso scenario variopinto di donne, di madri, di praticanti, di sorelle, zie, nonne, vicine, e di bambine eccitate di diventare finalmente come le altre, delle donne. Eccitate, ma anche impaurite di fronte a quel coltello o quella lama di rasoio che permetterà loro di accedere al mondo femminile solo distruggendo le manifestazioni più appariscenti della loro femminilità. C'è infatti una forte pressione sociale da parte del gruppo dei pari e lo spettro di un'emarginazione senza possibilità di riscatto nei confronti di chi vi si sottrae, che vale sia per le madri che per le figlie. Qui è in gioco la coppia puro/impuro sostenuta da un'etica fondata sul sentimento della vergogna, che sommate costituiscono un terribile deterrente. Su questa stessa lunghezza d'onda sono le spiegazioni locali della pratica, basate in genere su alcuni stereotipi riconducibili tutti alla necessità di controllare e limitare la sessualità femminile, sentita come qualcosa di ingovernabile e di minaccioso.

Il corpo naturale è impuro perché è aperto e violabile, esposto a una promiscuità che rischia di essere contaminante non solo per la singola donna, ma per tutto il suo gruppo familiare che è destinato al discredito e alla vergogna. In questo scenario le mutilazioni dei genitali femminili costituiscono l'unico mezzo per proteggere la donna da un desiderio maschile sempre in agguato e, soprattutto, da se stessa. A difendere quel corpo inerme provvede una costruzione culturale dei corpi, che li priva di ogni tumescenza ed eccesso rendendoli lisci e innocenti dopo averne confiscato la naturalezza e il piacere.

Ma qui sono in gioco due relazioni importanti: quella tra i sessi e quella tra le generazioni, in particolare tra madri e figlie, cui i riti di iniziazione danno una visibilità estrema e drammatica. Quest'ultima è molto più ambigua e controversa di quella tra i sessi che tutto sommato può essere ricondotta a una relazione asimmetrica di dominio, fondata sulle strategie matrimoniali, su cui torneremo più avanti.

Nella relazione tra madre e figlie convergono antagonismi e pulsioni distruttive che vengono condensate, espresse e neutralizzate nel breve arco di tempo della performance rituale. Sia dal punto di vista delle figlie, che trovano nel rito la legittimazione al proprio senso di colpa di volere occupare il posto delle madri, sia dal punto di vista delle madri, che "tradiscono" la fiducia delle figlie trasformandosi in carnefici ed esprimendo così la propria invidia verso la loro capacità riproduttiva, per poi - una volta compiuto il "passaggio" - dimenticare tutto, torture e sofferenze comprese.

A rito finito solo i corpi ne manterranno il ricordo nella forma di una cicatrice delegata a rappresentare il segno della propria appartenenza etnica.

7. Corpi, confini etnici e appartenenze comunitarie

Le mutilazioni dei genitali femminili sono anche la porta di accesso alla propria comunità, sono un rituale di ingresso come lo è ad esempio il battesimo per i cattolici, e come tali costituiscono un punto di non ritorno, che separa chi è dentro da chi sta fuori. Questo vale per tutti i membri di una comunità, uomini e donne, anche se vigono modalità di accesso distinte. Nelle società africane non sono infatti solo i corpi femminili a essere segnati o mutilati, ma anche quelli dei giovani maschi che soprattutto in passato erano sottoposti a interventi cruenti e dolorosi.

Per entrambi si tratta di segni lasciati dall'ordine culturale sui corpi, "ferite simboliche", attraverso cui ogni gruppo sociale scrive il proprio nome sui corpi imprimendovi un marchio che li trasforma così in portatori della propria cultura. Un marchio di appartenenza, ma anche di subordinazione, che vincola gli individui a un'identità collettiva e nello stesso tempo li rende oggetto di una strategia di disciplinamento secondo dispositivi diversi nei confronti dei due sessi.

Le mutilazioni dei genitali femminili in particolare rappresentano quel "confine etnico", che segna dall'interno l'appartenenza comunitaria riconvertendola in una espressione biologica, che ne cancella il carattere artificioso e le condizioni della sua produzione. Una forma di "endoassegnazione" che contribuisce a segnare i confini del "noi" inteso sia come comunità locale, sia in forma allargata come quella "comunità immaginata" che è la nazione, destinata con i processi di cambiamento innestati dall'emigrazione a contare sempre di più. Questo carattere di confine etnico emerge e trova conferma anche nella diffusa tendenza a osservare l'endogamia, a scegliere cioè il coniuge all'interno del proprio gruppo.

È attraverso le mutilazioni dei propri genitali che ogni donna si riconosce ed è riconosciuta come membro della propria comunità. Non sottoporsi a tali pratiche significa condannarsi all'emarginazione e alla ripulsa e quindi a una perdita secca di quella insostituibile risorsa simbolica che è l'appartenenza e il riconoscimento comunitario.

Ma le cicatrici lasciate dalle mutilazioni dei genitali svolgono anche un ruolo importante nel conservare la memoria di un gruppo sociale, di cui sono il deposito muto che si trasmette attraverso i corpi delle donne. Questa memoria incorporata, trasfigurata in natura, fa infatti delle donne le custodi discrete di un'identità collettiva che passa così da una generazione all'altra. Sono i loro corpi, corpi confiscati dai simboli di un'affiliazione comunitaria, a costituire il legame fattuale tra presente e passato, e a mantenerlo nel tempo. Memoria incarnata della comunità che ha trasformato le donne in portatrici di un complesso sistema economico e simbolico attraverso cui ogni gruppo etnico può riconoscersi e riconfermarsi nel tempo.

Le mutilazioni dei genitali femminili sono dunque il segno di una doppia appartenenza: alla comunità e al genere, di cui costituiscono le condizioni di possibilità e di rappresentazione.

8. Il prezzo della sposa

Ma da dove traggono le mutilazioni dei genitali femminili la loro efficacia simbolica? Da dove viene il loro potere di conferire senso all'agire dei soggetti sociali legittimandone appartenenze comunitarie e identità di genere?

Fintanto che saranno affrontate isolatamente tali pratiche rimarranno opache e indecifrabili, come ci appaiono sempre nella loro arbitraria datità i fatti culturali. Per poterne capire di più dobbiamo situarle all'interno del contesto entro cui acquistano la loro intelligibilità. Per contesto si intende una struttura di significati condivisi da parte di un gruppo sociale che costituisce e dà senso al loro agire.

Il contesto che conferisce senso alla pratica culturale delle mutilazioni dei genitali femminili e all'agire di soggetti interessati è un sistema complesso di strategie matrimoniali, fondate sul prezzo della sposa, che hanno come corollario alcuni tratti fissi che si implicano a vicenda - quali il matrimonio combinato, l'età prematura della sposa e la poligamia - a cui si accompagnano una serie di tratti secondari che variano da un'etnia all'altra - quali il matrimonio per ratto, l'età avanzata dello sposo, alcuni tabù alimentari durante la gravidanza e il puerperio, alcune regole di purità e alcune pratiche sessuali, come il gishiri - e altri più strettamente legati al tipo di mutilazione, ma che non sono significativi per la nostra analisi.

In altre parole le mutilazioni dei genitali femminili sono una componente fondamentale del matrimonio in Africa, poiché contribuiscono a regolare la gestione delle risorse e la rete complessa degli scambi e delle relazioni sociali.

Il matrimonio in Africa è un'unione definita da una serie di obblighi contrattuali tra due famiglie, all'interno delle quali le persone che detengono il potere di combinare un matrimonio sono sempre un gruppo di maschi coresidenti che rappresentano come norma tre generazioni genealogiche e precisamente gli uomini anziani o nonni, gli adulti normali o padri, gli adulti giovani o figli. Spetta a loro di scegliere lo sposo. Il matrimonio è sempre infatti un matrimonio combinato dai parenti. Raramente è una libera scelta della coppia, e nel caso lo sia, l'assenso al matrimonio dipende dal benestare dei due gruppi familiari. Ai due gruppi parentali spetta anche di decidere l'ammontare della ricchezza della sposa che lo sposo deve versare alla famiglia della sposa.

Per ricchezza della sposa si intende l'insieme dei beni che la famiglia dello sposo cede alla famiglia della sposa in occasione del matrimonio. In altre parole la ricchezza della sposa è l'equivalente rovesciato della nostra dote. È lo sposo che versa un compenso alla famiglia della sposa per risarcirla della perdita di una donna e dei suoi servizi. Ma attenzione, nonostante le trattative che vengono fatte tra le due parti circa l'ammontare e le dilazioni del pagamento, non si tratta di una transazione commerciale - tanto è vero che per evitare questo tipo di equivoco si preferisce utilizzare il termine più neutro di "ricchezza della sposa". È piuttosto un dono che viene dato in cambio della fertilità della donna. Esso rappresenta infatti la compensazione per il trasferimento di certi diritti. Il prezzo della sposa è infatti l'equivalente per qualcosa che viene trasferito dal gruppo natale al gruppo dello sposo, ma nel contesto africano non è la persona della donna che viene data bensì solo dei diritti su di lei (sul lavoro, sulla sessualità e sulla fecondità della donna). E sulla sua prole.

Dal momento che la ricchezza della sposa è il compenso che viene versato in cambio della fertilità della donna, e prima ancora della sua purezza, risulta a questo punto chiara la funzione che hanno le Mgf nel custodirne l'inviolabilità, nel salvaguardare la castità delle figlie, ma anche nel favorire secondo le credenze popolari la loro fertilità.

Per prezzo della sposa si intende dunque il compenso che la famiglia del futuro marito versa alla famiglia della futura moglie in cambio non di una donna qualsiasi, ma di una donna illibata, intatta, vergine possibilmente chiusa, e ben chiusa nel caso di somale, eritree o etiopi, oppure escissa a dovere in modo da scoraggiarne desideri e rapporti prematrimoniali - tutte condizione indispensabili pena il rinvio della malcapitata alla sua famiglia di origine la prima notte di nozze. È questo il compito a cui sono delegate a le Mgf che assicurando il controllo della sessualità femminile ne garantiscono quella purezza indispensabile allo scambio matrimoniale.

In molte società le transazioni in occasione di un matrimonio costituiscono le transazioni economiche più importanti nella vita di una persona. L'ammontare e la composizione del prezzo della sposa sono fissati dal costume, che varia da un'etnia all'altra, e dipendono generalmente dallo status sociale delle due parti contraenti. Mentre un tempo la ricchezza della sposa era prevalentemente in bestiame oggi viene offerta o richiesta in denaro.

9. Strategie di disciplinamento

A questo punto appare sufficientemente chiaro come il prezzo della sposa non solo sia una risorsa di vitale importanza per ogni famiglia, ma come sia un istituto che implica un normativa rigida, in modo da rendere appetibile la ragazza a cominciare dalla sua illibatezza, l'età pubere, la docilità, ecc. In questo contesto ogni donna che nasce diventa per il proprio gruppo familiare una risorsa fondamentale che deve arrivare al matrimonio nelle condizioni migliori, ovvero casta. A questo provvedono, come si è appena visto, le mutilazioni dei genitali che costituiscono secondo le credenze locali il mezzo più sicuro per proteggere la verginità delle future spose con l'infibulazione e per preservarne la castità con l'escissione.

Le mutilazioni dei genitali femminili sono una forma di disciplinamento del corpo femminile, attraverso cui viene perseguita una strategia di assoggettamento delle donne. Sono lo stigma che il gruppo sociale imprime sui loro corpi, secondo procedure che non sono riconducibili a una mera forma di esteriorità, a qualcosa che li condiziona dall'esterno. È piuttosto qualcosa che li costruisce dall'interno e li addestra secondo schemi di docilità che ne predispongono la confisca da parte di un mondo di uomini che si mantiene estraneo e distante, e che su questa estraneità fonda le proprie strategie di potere. Il loro potere non si esercita su una repressione degli istinti, su meccanismi di coercizione basati su una relazione di dominio del tipo comando/obbedienza che per essere efficace deve essere esercitata quotidianamente, ma si iscrive nei corpi delle donne mutilandoli e li disciplina una volta per tutte nel momento stesso in cui li produce.

Le mutilazioni dei genitali femminili sono la forma stessa in cui il potere si iscrive nei corpi, producendoli, dal momento che esse non danno luogo a procedure coercitive di condizionamento bensì alla costruzione stessa dei corpi. Sono una forma di controllo del corpo femminile che ha lo scopo di predisporre la ragazza per lo scambio matrimoniale, su cui il gruppo familiare conta come una risorsa fondamentale dal punto di vista economico e sociale. La ricchezza della sposa rappresenta un'usanza importante non solo a livello patrimoniale, ma soprattutto perché costituisce una specie di fondo cassa che permetterà ai fratelli della sposa di sposarsi a loro volta. Il matrimonio di una figlia non è però solo un mezzo per procurarsi denaro, è anche un modo di acquisire utili relazioni di parentela.

Per concludere le mutilazioni dei genitali femminili sono una pratica simbolica che non solo svolge una funzione determinate nella riproduzione sociale, ma che acquista il suo significato all'interno di un sistema matrimoniale retto dall'istituzione del "prezzo della sposa" (brideprice o bridewealth) e che ha, come si è accennato in precedenza, quali principali tratti distintivi il matrimonio combinato, l'età precoce della sposa, l'età avanzata dello sposo e la poligamia. Tenere presente questo complesso sistema economico-simbolico permette di allargarne enormemente l'analisi, favorendo un monitoraggio capillare in grado di segnalare mutamenti laterali o spostamenti impercettibili che sul lungo periodo appaiono destinati a eroderne i margini di sopravvivenza.

Ma per fare questo bisogna smettere di guardare alle mutilazioni dei genitali femminili come a una pratica culturale decontestualizzata, a una stravaganza esotica, in grado solo di rimandarci l'opaca datità dei fenomeni culturali, facendo il gioco di quanti cercano di sostantivizzare le differenze culturali per poi poterne fare oggetto di discriminazione.

 

*Tratto da "Antropologia delle mutilazioni genitali femminili. Una ricerca in Italia" a cura di Carla Pasquinelli, edito da AIDOS, Associazione italiana donne per lo sviluppo, 2000.