La costruzione sociale del corpo dell’immigrata: le rappresentazioni delle mutilazioni dei genitali femminili nella stampa italiana e nella letteratura specialistica*

di Cristina Cenci e Silvia Manganelli

1. Le Mgf nella stampa italiana

Fino a qualche anno fa le mutilazioni dei genitali femminili erano note a pochi specialisti e apparivano sulle pagine dei quotidiani italiani solo come una pratica esotica: lontana quanto bastava per non destare allarmismi e inquietudini, e sufficientemente "barbara" per rassicurare sulla superiorità della "civiltà occidentale".

Nel 1997 però il problema arriva in Italia, a Milano: in occasione di un viaggio nel proprio paese d’origine un egiziano sposato con un’italiana fa circoncidere il figlio e infibulare la figlia. Al ritorno in Italia la moglie scopre il fatto e lo denuncia. Si apre una procedura giudiziaria che culmina nel 1999 con il patteggiamento e la condanna dell’uomo a due anni di reclusione.

Da "barbarie" esotica le mutilazioni dei genitali diventano pericolo, minaccia, allarme per le immigrate, ma anche e soprattutto per l’Italia che le accoglie. Si diffondono cifre "spaventose": le bambine a rischio sarebbero 6 mila o addirittura 20 mila (in realtà sono poco più di 500 secondo stime attendibili, basate sui dati del ministero dell’Interno).

Il discorso della stampa costruisce progressivamente uno stereotipo della pratica che reinventa il corpo dell’immigrata come alterità mostruosa rispetto allo schema corporeo occidentale. Questa alterità diventa lo strumento per denunciare l’incompatibilità dello straniero con i valori fondamentali e irrinunciabili della società di accoglienza. Il corpo-stigma dell’infibulata diventa un confine reale e simbolico tra "noi" e "loro".

L’analisi che segue si basa su una serie di assunti che è opportuno esplicitare perché costituiscono il punto di partenza e il punto di vista privilegiato di questo rapporto d’indagine:

  1. le valutazioni e le interpretazioni proposte non mirano mai e in nessun caso a legittimare un’accettazione passiva di queste pratiche in nome di un relativismo culturale che mentre sembra valorizzare il rispetto dell’altro, costruisce invece spesso vincoli e barriere (la differenza culturale come destino ineluttabile);
  2. lo sguardo antropologico che caratterizza ipotesi e metodi di questa indagine ha un duplice obiettivo:

Nello specifico, l’analisi che segue mira a:

  1. individuare le aree semantiche prevalenti intorno alle quali si organizza il discorso della stampa sulle Mgf;
  2. confrontare il discorso della stampa con il vissuto e le percezioni delle donne somale e nigeriane intervistate;
  3. verificare il ruolo e l’efficacia della comunicazione attuale dei media come strumento delle campagne di sensibilizzazione;
  4. offrire alcune linee-guida per la costruzione di un codice di comunicazione multiculturale sulle Mgf.

L’analisi è stata realizzata su un campione di 62 articoli. Nello specifico:

  1. tutti gli articoli pubblicati tra il 1992 e il 1998 sul Corriere della Sera e La Stampa. Queste due testate sono state scelte per due ragioni diverse. Il Corriere della Sera è il principale quotidiano nazionale d’opinione e rispecchia l’immaginario di un pubblico medio e tendenzialmente conservatore. La Stampa esprime percezioni e aspettative di una delle aree italiane che per prima si è confrontata con le problematiche associate a un forte flusso migratorio, soprattutto da paesi dove si praticano le Mgf (Somalia e Nigeria). Sono stati rilevati tutti gli articoli di queste testate con riferimenti a infibulazione, escissione, mutilazioni dei genitali, circoncisione. L’analisi diacronica ha consentito di rilevare l’evoluzione della presenza di questo tema sulla stampa;

  2. tutti gli articoli pubblicati su quotidiani e periodici tra il 1998 e gli inizi del 2000. Per gli anni più recenti, si è ritenuto importante considerare gli articoli apparsi su tutte le testate di rilevanza nazionale (è stata esclusa in questa fase la stampa specialistica).

L’interesse per le Mgf è associato alle problematiche suscitate dai processi di immigrazione dall’Africa. Il 20 per cento degli articoli de La Stampa è pubblicato nel 1992, in seguito al primo impatto con l’arrivo massiccio di immigrati, soprattutto musulmani. Il discorso sulle Mgf è inserito nel quadro dei rapporti tra società d’origine e società d’accoglienza, investe le tematiche della tolleranza e del multiculturalismo. Negli anni successivi la presenza del tema è oscillante e legata spesso a eventi congiunturali. A partire dal 1997, con l’esplosione del caso del primo processo italiano per Mgf, assume maggiore visibilità e connotazioni diverse che si articolano in una visione fortemente stereotipa delle Mgf.

Per cogliere le componenti e le valenze principali di questo stereotipo, i testi degli articoli sono stati sottoposti a un’analisi lessicale computerizzata: l’analisi delle frequenze. Quest’analisi consente di realizzare una mappatura dei nodi tematici del discorso della stampa sulle Mgf, misurare l’incidenza e la significatività dei singoli temi, individuare le gerarchie di senso.

In particolare l’analisi delle frequenze ha mirato a:

  1. misurare l’incidenza dell’uso dei termini mutilazione, infibulazione, circoncisione, escissione e derivati;
  2. rilevare i significati attribuiti alle Mgf;
  3. identificare i paesi ed eventualmente i gruppi etnici o religiosi considerati come "soggetti a rischio" dalla stampa;
  4. individuare le connotazioni cognitive e affettive attribuite alle Mgf.

I risultati dell’analisi delle frequenze sono riportati nella Tab. 1. Le frequenze sono riferite non al singolo termine ma al lemma (il termine e i suoi derivati, es. donna/donne; mutilazione/mutilazioni, ecc.). La tabella dà in ordine decrescente le frequenze lessicali più alte (escluse le "parole vuote": articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni). Sono stati considerati significativi i lemmi con frequenza superiore a 11 (un lemma che ricorre 12 volte è presente in media in un articolo su cinque).

Non emergono differenze rilevanti tra le diverse testate. La stampa costruisce uno stereotipo unitario intorno ad alcune aree semantiche principali:

• Donna/uomo

La stampa inserisce il discorso sulle Mgf nel quadro dei rapporti tra i sessi e offre come interpretazione prevalente di questa pratica il desiderio di sopraffazione dell’uomo sulla donna. Il riferimento ai rapporti di potere tra i sessi è proiettato in un tempo ancestrale e isolato dalla molteplicità delle funzioni simboliche e sociali delle Mgf. Come tale, è considerato la dimostrazione di una violenza fine a se stessa.

«L’origine della circoncisione, sostengono gli antropologi, va cercata nel desiderio ancestrale degli uomini di controllare la sessualità e la capacità riproduttiva della donna. Vi ricorsero gli Egizi, gli Ittiti, i Fenici» (Corriere della Sera, 9 settembre 1994).

«Alcuni uomini che hanno avuto rapporti con donne non infibulate hanno scoperto quanto può essere più gratificante l'amore senza tutto quel dolore, ma altri rimangono irremovibili sul piacere della violenza» (Il Venerdì di Repubblica, 27 febbraio 1998).

Mutilazioni/infibulazione/circoncisione/escissione

Il termine "mutilazione genitale" è usato in modo diffuso e non problematizzato. Gli si attribuisce la neutralità dei termini scientifici, senza alcuna consapevolezza delle connotazioni che implica.

L’infibulazione è la pratica che attira di più l’attenzione dei media (135 occorrenze contro le 76 della circoncisione e le 31 dell’escissione). Le mutilazioni dei genitali sono descritte nella loro forma più estrema e distanziante. Gli accenni a una fenomenologia articolata sono rari. Solo sei articoli citano la «sunna».

Noi/loro: italiani/africani/immigrati

Il discorso sulle Mgf si colloca nel contesto dell’interazione tra paese d’origine e paese di accoglienza. L’autorappresentazione del noi e la percezione dell’altro passano attraverso il confronto tra schemi corporei diversi assunti come specchio di identità diverse e talvolta inconciliabili.

«Sono la figlia e il padre egiziani che ieri, in un'aula del Tribunale, si sono trovati l'una contro l'altro nel nome di culture diverse: quattro anni fa, in un paesino lungo la valle del Nilo, durante una vacanza, il padre ha voluto che la figlia, che allora aveva 10 anni, fosse sottoposta all'infibulazione. E che il fratellino più piccolo, 5 anni, fosse circonciso. La madre, italiana, era rimasta a Milano. Solo al loro ritorno, per via di febbri, emorragie, un'acuta infezione, si è accorta di quanto era successo. La donna ha presentato una denuncia: ieri si è svolto il processo che ha visto il padre accusato di lesioni personali gravissime. Il primo processo in Italia, per un fatto del genere» (La Repubblica, 26 novembre 1999).

Una pratica culturale, cultura/società: identità, rito, valori, gruppo, differenza, destino

Le Mgf sono considerate una pratica culturale. Nella rappresentazione della stampa, questa definizione si articola in dimensioni diverse:

1. il confronto tra culture diverse. I quotidiani rispecchiano il dibattito nella società civile e politica italiana su come orientarsi di fronte ai valori, agli stili di vita, alle convinzioni degli immigrati quando sono profondamente diversi dai nostri. C’è chi propone la tolleranza, chi l’indifferenza, chi il rifiuto senza dialogo.

«Spero che ora nessuno tiri in ballo alibi come il cosiddetto ‘relativismo culturale’, in virtù del quale dovremmo inchinarci di fronte a qualsiasi tradizione, anche se di sapore barbarico come questa". Emma Bonino, commissario europeo e una delle personalità più in vista nella lotta per i diritti delle donne, non nasconde la propria indignazione alla notizia dell'ambulatorio scoperto a Milano. Da Budapest, dove si trova in visita, Bonino afferma che "pratiche come le mutilazioni sessuali sono inaccettabili perché violano il diritto fondamentale all'integrità fisica» (Corriere della Sera, 24 giugno1998).

2. la differenza culturale come minaccia. La presenza in Italia di comunità di immigrati fortemente omogenee e coese al proprio interno è vissuta come un attacco all’identità dell’Italia e temuta come un fattore di disgregazione e involuzione.

«Se prima gli stranieri bussavano alla porta di uno Stato e chiedevano di diventarne cittadini, oggi l'immigrazione è comunitaria e chiede il rispetto culturale. Esempio, la storia di quel padre che s’era rivolto al servizio sanitario francese per l’infibulazione della figlia» (La Stampa, 31 gennaio 1993).

3. la differenza culturale come destino. Considerare le Mgf come una pratica culturale sfocia spesso in una naturalizzazione del fenomeno, assunto come un destino culturale ineluttabile che segna in modo indelebile la distanza tra noi e loro.

«Bambine mutilate con cocci di vetro rotto, coperchi di lattine, rasoi arrugginiti: gli strumenti di un rito osservato in trenta paesi del mondo, dove per tradizione culturale una ragazza che non sia "circoncisa" non può aspirare a trovare marito» (La Stampa, 29 ottobre 1992).

Il gruppo a rischio: bambine

Le maggiori ansie e i maggiori allarmismi si concentrano sulla nuova generazione, su quella che rischia di restare nel nostro paese, di diventare italiana. Le stime sulle bambine a rischio in Italia oscillano tra le 6 mila e le 20 mila unità, dati completamente lontani dalla realtà dei flussi migratori e demografici.

Tra i dati più sconvolgenti presentati dall’africanista Anna Bono, le circa 5 mila bambine che avrebbero già subito l’escissione o l’infibulazione in Italia, con l’ausilio di medici disposti ad attuare queste atroci mutilazioni dei genitali presso strutture sanitarie oppure a domicilio» (La Stampa, 7 novembre 1997).

Un problema medico: medico/sanità, ospedale

Medici e ospedali sono tra i principali protagonisti del discorso della stampa, con ruoli e attributi diversi:

1. la medicalizzazione del fenomeno (malattie, infezioni, ecc. come contenuto primario delle Mgf) porta in primo piano i rischi e le difficoltà cui sono esposti il personale medico e le strutture sanitarie in Italia. Contemporaneamente si teme che medici senza scrupoli e desiderosi di guadagnare pratichino l’operazione di nascosto: l’ambivalenza strutturale del medico, posto al confine tra vita e morte, lo espone maggiormente ai rischi del "contagio culturale".

«Certo, lì sono in gioco mutilazioni permanenti e non si può chiedere ad alcun medico occidentale, che sia parte del servizio pubblico o non lo sia, di operare delle vere crudeltà, anche se richieste dalla persona stessa» (Corriere della Sera, 4 ottobre 1994).

2. la pratica delle Mgf mostra l’irrazionalità e l’incapacità della medicina e dei medici non occidentali.

«IL CAIRO. Una ragazzina di 14 anni è morta in un villaggio egiziano durante un’operazione di escissione del clitoride, l’operazione praticata ogni anno in Africa a milioni di giovanissime. Amina Abdel Hamid Abul Aela è deceduta nella regione di Qaliubeya (a nord del Cairo) per un collasso seguito all'anestesia praticatale dal medico del villaggio, che i genitori della vittima avevano chiamato in casa per eseguire l'operazione. Dopo la morte della ragazza, il medico è scappato, ma le autorità sono poi riuscite ad arrestarlo» (La Stampa, 25 agosto 1996).

I paesi più citati: Egitto/Somalia/Marocco/Nigeria

Egitto e Somalia sono i paesi più citati in relazione alle Mgf. Solo marginalmente compaiono Marocco (in associazione all’Islam) e Nigeria. L’immagine dell’Egitto è più articolata di quella della Somalia. Anche se parzialmente, la stampa riporta i tentativi del governo egiziano per porre argini alle Mgf: emerge l’immagine di un paese in cui le componenti laiche e quelle religiose discutono e si scontrano rispetto a questo problema. Al contrario, la Somalia è descritta come un paese immerso nelle sue tradizioni ancestrali: non c’è alcun riferimento ai processi di mutamento innescati dalla guerra.

Islam

Le Mgf sono associate alla religione islamica. Solo raramente (5 occorrenze) viene citato anche il cristianesimo. Il velo, l’integralismo, la posizione subordinata della donna sono indicati come elementi che concorrono a legittimare e a rinforzare le mutilazioni. Talvolta, la comunità islamica italiana assume le connotazioni della setta segreta che pratica riti cruenti.

«Milano, scoperto dai carabinieri. Il presidente del Centro islamico: nessuna pratica illegale, era un pronto soccorso. Ambulatorio clandestino nella moschea. Veniva usato per pericolose circoncisioni e forse per l'infibulazione. Ricercato falso medico egiziano» (Corriere della Sera, 24 giugno, 1998).

Dalle pagine dei giornali, i vertici della Chiesa lanciano appelli alla riscoperta dei valori cristiani minacciati.

«Nel 1995 trecentocinquanta coppie di italiani, sull’onda dell’Islam, hanno ripudiato i propri figli. A Savona è stato chiesto da una donna marocchina sposata di abortire perché il nascituro era femmina. In Italia - ha concluso Tonini - torneremo a pregare come ci hanno insegnato le nostre madri e le nostre nonne: "Mio Dio ti ringrazio per avermi creato e fatto cristiano"» (Corriere della Sera, 17 agosto 1997).

Madre/padre

Madre e padre sono protagonisti del racconto della stampa, con connotazioni e ruoli diversi:

1. le Mgf violano uno dei rapporti considerati più naturali e potenti: il legame madre/figlia. In tutti le narrazioni riportate la madre è una traditrice e una carnefice, che con l’inganno sottopone la figlia a una pratica che assume le valenze dello stupro. Rari gli accenni al desiderio stesso delle figlie di essere infibulate.

«Piangevo, e chiedevo aiuto a mia madre. Ma lo choc più grande fu quando mi guardai attorno e la trovai al mio fianco. Sì, era lei, in carne e ossa, non potevo sbagliarmi, parlava e sorrideva a quegli sconosciuti, come se non avessero appena partecipato al massacro di sua figlia. Mi portarono a letto. Vidi che afferrarono mia sorella, minore di me di due anni. Gridai con tutto il fiato che avevo in gola. No! No! Potevo vedere il viso di mia sorella stretto da quelle grandi mani rugose» (Il Sole 24 Ore, 4 gennaio 1998).

«Ma, come la stessa Nawal El Saadawi racconta, spesso la madre è accanto ai carnefici. È forse anche il mandante? Spesso sì, giacché nelle comunità in cui viene praticata la mutilazione genitale femminile la verginità è fondamentale per trovar marito» (Il Sole 24 Ore, 4 gennaio 1998).

2. Accanto alla madre africana carnefice, i giornali presentano un’altra madre. La madre italiana che espone i suoi figli al pericolo sposando un immigrato, un egiziano nel caso specifico. È una madre buona, che sottrae i figli alle violenze del padre, ma che sembra comunque portare la colpa di un matrimonio sbagliato. Nella rappresentazione della stampa il matrimonio misto con un islamico non può non essere fonte di problemi e spesso di traumi.

«Luisa ha 10 anni. Ma quando crescerà, non sarà mai una donna come le sue coetanee. Perché il padre egiziano, all’insaputa della mamma italiana, l’ha sottoposta a una tortura: l’infibulazione, cioè l’amputazione del clitoride in modo che da grande possa procreare senza però provare piacere. Come vuole la tradizione musulmana» (Corriere della Sera, 25 settembre 1997) .

«E intanto nel nostro paese è in corso il primo processo per lesioni gravissime a seguito di infibulazione. L’accusato, che rischia una condanna dai 6 ai 12 anni, e M.A., egiziano, padre di una ragazza che oggi ha 14 anni, e di un bimbo di 11. Quattro anni fa, l’uomo portò in Egitto, per una vacanza, i figli, nati dal suo matrimonio con una italiana. Al ritorno dei piccoli nel nostro Paese, la madre, messa in allarme dai dolori che entrambi accusavano, scoprì una terribile verità: con la scusa di farli vedere da un medico, il padre aveva fatto praticare una rudimentale circoncisione a lui e l’infibulazione a lei. Denunciato dalla moglie, che nel frattempo ha chiesto anche la separazione, l’uomo all’inizio si è difeso sostenendo di essere stato lui stesso all’oscuro dell’accaduto; poi ha ammesso e ha spiegato di avere agito in nome della religione e delle ancestrali tradizioni del suo paese» (Oggi, 6 ottobre 1999).

Le conseguenze delle Mgf: morte/infezioni/malattie/sofferenza/sangue/emorragie/problemi psicologici/lesioni/problemi per il parto/ mancanza di piacere sessuale

Le conseguenze delle Mgf sono descritte in modo sempre drammatico, senza differenziare tra le diverse pratiche e tra i diversi modi in cui avviene l’operazione. I casi portati a testimonianza sono quasi sempre estremi: bambine infibulate senza anestesia e che muoiono o rischiano la morte per infezioni gravissime. Non vengono mai riportati dati statistici sull’incidenza delle diverse patologie.

«Nel caso delle circoncisioni femminili la frigidità permanente è il danno minore che può capitare alla donna una volta raggiunta la maturità sessuale. Ma in molti casi l'intervento eseguito spesso da barbieri, e senza anestesia né farmaci, finisce per causare emorragie e infezioni che in alcuni casi portano alla morte. Infiammazioni permanenti poi rendono doloroso il periodo mestruale. In Sudan l'infibulazione contribuisce all’alta mortalità delle donne durante il parto» (La Stampa, 29 dicembre, 1997).

È data molta rilevanza ai problemi durante la gravidanza e il parto:

«E se la gravidanza giunge al termine, abbiamo quello che io considero il dramma più grande: il parto "chiuso", come dicono loro. Due, tre, quattro giorni di travaglio e il bimbo che muore dietro quel lembo di pelle cucita che non riesce a lacerare» (Corriere della Sera, 3 gennaio 1993).

Il ruolo delle istituzioni e della politica: leggi/governi/nazioni/stati/Europa/politica

Il confronto con l’alterità islamica rafforza il peso attribuito all’identità europea: si additano a modello le scelte dei governi di Francia, Germania a e Inghilterra. Alle istituzioni è chiesta una condanna esplicita del fenomeno, anche attraverso una legge ad hoc.

«Anche in Italia, come già è stato fatto dalla Germania e dalla Francia, dovremmo avere al più presto una legge che vieti escissione, infibulazione e tutte le altre pratiche che possono essere praticate da parte degli immigrati di religione islamica. Sarebbe un atto di civiltà, non una limitazione nei confronti di credenti in una religione diversa da quella seguite dalla maggioranza degli italiani. E perché la Chiesa Cattolica, sempre così rigida sull’aborto, non interviene per queste sopraffazioni?» (La Stampa, 14 gennaio1998).

Il tipo di operazione: tagliare/asportare/cucitura

nelle narrazioni della stampa viene enfatizzata l’operazione del "tagliare" rispetto a quella della "cucitura". Il corpo della donna sottoposta alla pratica è pensato come un corpo mutilato, privato della propria integrità fisica. Come vedremo questa percezione differisce molto da quella delle intervistate.

• Waris Dirie

La campagna di sensibilizzazione che vede come testimonial la modella somala Waris Dirie è molto citata dalla stampa (27 occorrenze). Ironicamente, la campagna sembra servire più a rassicurare gli occidentali che a sensibilizzare gli africani. Nelle narrazioni della storia di Waris Dirie emerge la contrapposizione tra il corpo mutilato della nomade e il corpo perfetto della top model ormai occidentalizzata. Il corpo rigenerato della Dirie può probabilamente diventare un modello di bellezza per le italiane, ma difficilmente susciterà l’identificazione delle somale.

Una pratica tribale: villaggio/etnico/tribù/antico

I casi di infibulazione presentati dalla stampa avvengono quasi sempre in villaggi remoti e sono eseguiti da vecchie praticanti. L’Africa che emerge da queste descrizioni è l’Africa delle tribù immobilizzate in una dimensione primitiva, irrazionale e violenta. Non c’è storia, non ci sono processi di cambiamento né della cultura né della pratica, assunte come realtà a un tempo ancestrali e immutabili.

«"Molte rischiano la morte per emorragia o per infezione", dice ancora il missionario, "davanti all’indifferenza del villaggio: se una ragazza non sopravvive significa che ha un’anima selvaggia e che gli spiriti hanno deciso di punirla". L’età varia da 0 a 12 anni. In certi casi preferiscono mutilare le bambine da piccole, per evitare che una volta cresciute si rifiutino d’obbedire » (Elle, ottobre 1998).

Rispetto ai tempi del colonialismo, il dato nuovo è che la tribù ora si ritrova anche nelle città italiane:

«L’antica pratica tribale diventa un problema per l’Italia: interventi senza controllo» (L’Unità, 16 dicembre1998).

Le reazioni alle Mgf: contro/discriminazioni/razzismo/tolleranza/denuncia/condanna

La tolleranza e il dialogo non sono reazioni contemplate nel caso delle Mgf. La parola prevalente che connota il rapporto tra "noi" e "loro" veicolato dalla stampa è contro (60 occorrenze):

«contro la tradizione islamica»; «contro l’infibulazione, contro i matrimoni coatti»;

«contro il feudalesimo e lo strapotere dei capi villaggio»; «contro il marito»; «contro il papà»; «contro questi abusi»; «contro questo flagello»; «contro il maschio egiziano»; «contro la tragica pratica»; «contro la cultura»; « contro i preconcetti».

Il vissuto emotivo: orrore/dramma/barbarie/crudeltà

Le narrazioni della stampa sono connotate da emozioni forti che ruotano intorno all’orrore, al dramma, alla violenza, alla crudeltà. Non c’è alcun cenno alla complessità del vissuto emotivo delle donne infibulate, assunte come vittime inermi di una pratica tribale e primitiva.

«Nell’ombra, nel non detto carico di aspettative e di sofferenze, di funamboliche astuzie e di rassegnazioni, si svolge ancora gran parte della vita sessuale sulla sponda Sud del Mediterraneo (ma solo su quella?) dove la donna continua a essere perseguitata dai fantasmi del ripudio, della vendetta e, in qualche caso, dall'orrore concreto di quella pratica mostruosa che si chiama infibulazione» (La Stampa, 23 febbraio 1992).

Le motivazioni: verginità/matrimonio

La stampa non dà molto spazio alle motivazioni delle Mgf offerte dalle popolazioni che le praticano. Le uniche spiegazioni a cui si dà una relativa rilevanza sono quelle associate alla verginità e al matrimonio, assunte come ennesima dimostrazione che le Mgf sono il prodotto del desiderio dell’uomo di controllare la sessualità della donna.

Aidos

L’Aidos è citata 18 volte (in 11 articoli su 62) soprattutto in riferimento alla campagna di sensibilizzazione "Face to Face".

In sintesi, le Mgf hanno rilevanza per la stampa italiana nella misura in cui si connettono ai problemi generati dall’immigrazione e dai contatti tra culture diverse. Tuttavia la complessità degli atteggiamenti e delle risposte che è possibile offrire al problema dei rapporti tra società di accoglienza e paese di origine è drasticamente ridotta da una visione stereotipata che descrive le Mgf come una pratica barbara, che ha origine in un rito antichissimo il cui obiettivo è affermare la supremazia dell’uomo sulla donna. In particolare, l’infibulazione è lo stigma corporeo dell’Islam e segna in modo indelebile l’alterità del musulmano. Non c’è nessun riferimento a eventuali processi di cambiamento nei paesi d’origine che sono pensati nella forma esclusiva del villaggio ancestrale, fuori dal tempo.

Confrontiamo ora questa immagine con le percezioni e il vissuto delle intervistate per vedere se e in che misura esistono margini di dialogo e di comunicazione.

Tabella 2

L’infibulazione e l’escissione per le intervistate

L’infibulazione e l’escissione per la stampa italiana

Trasformano la bambina in un "signorina vera".

Mutilano le bambine.

Rendono il corpo della donna completo e bello, eliminando "quel coso pendente".

Producono una menomazione irreversibile.

Rendono la donna pura e preservano la verginità.

Sottopongono la donna al potere e alla violenza degli uomini.

Il giorno dell’infibulazione è stato un giorno in cui si sono sentite importanti, sono state festeggiate, anche se hanno provato dolore e sono rimaste in casa per 15 giorni.

È stata una giornata drammatica, piena di orrore e violenza.

- La madre ha voluto farla ma il padre non voleva.

- Hanno voluto farla entrambi i genitori.

- I genitori non volevano e la bambina ha voluto farla lo stesso con l’aiuto di qualche zia, per non essere emarginata dalle compagne di scuola.

Le bambine vengono ingannate dalla madre, contro la loro volontà.

È una pratica tradizionale, non prescritta dal Corano.

È una tradizione musulmana

In Somalia, il fondamentalismo islamico è contrario alla pratica dell’infibulazione e prescrive la sunna, che viene praticata sempre di più.

In Somalia, da sempre tutte le donne sono infibulate.

La pratica avviene in ospedale (nelle città) o è in ogni caso eseguita da un medico o da un’infermiera, con l’anestesia. Solo in alcuni villaggi del nord della Somalia ci sono ancora le operatrici tradizionali.

Non viene fatta l’anestesia e l’operazione è fatta da vecchie o da barbieri.

Se una donna non è infibulata ha più difficoltà a trovare marito. Ma con le nuove generazioni le cose stanno cambiando.

Le donne non infibulate non trovano marito e vengono emarginate.

Hanno fastidi solo nella prima settimana e in occasione del primo rapporto sessuale (la prima notte di nozze).

Hanno fastidi e infezioni continue per tutta la vita.

Hanno dolori mestruali normali.

Hanno dolori mestruali tremendi.

Partoriscono normalmente.

Hanno un travaglio lungo e doloroso e mettono a repentaglio la vita loro e del bambino.

Solo in alcuni casi hanno infezioni alle vie urinarie o fastidi.

Hanno sempre delle infezioni tremende.

La donna cucita è più bella della donna aperta.

La donna cucita è orribile.

Solo i primi giorni del matrimonio non provano piacere sessuale, poi sì.

Non provano piacere sessuale.

Non possono mai provare piacere sessuale.

Come mostra la Tabella 2, le credenze, il vissuto e le emozioni delle donne intervistate differiscono radicalmente dalla descrizione offerta dalla stampa e condivisa da ampi segmenti della società civile e politica non solo italiana, ma occidentale in senso lato. Il nostro obiettivo non è dire chi ha ragione e chi ha torto, ma indicare temi e modi per costruire un dialogo.

Per questo, occorre interrogarsi sull’insieme delle variabili culturali, sociali e economiche che producono le Mgf.

2. Gli studi italiani sulle Mgf

L’interesse degli studiosi italiani per le Mgf nasce negli anni ’80 in relazione ai flussi migratori che iniziano a interessare anche il nostro paese. In particolare, nel 1988, il sottosegretario alla Sanità si esprime favorevolmente rispetto all’esecuzione delle Mgf negli ospedali italiani. L’evento scatena critiche e un’interpellanza parlamentare. Il ministro della Sanità smentisce le dichiarazioni del sottosegretario, la Federazione nazionale degli ordini dei medici prende posizione affermando che perseguirà i medici responsabili di praticare o di avere praticato mutilazioni dei genitali su donne immigrate.

In seguito a questi fatti iniziano i primi studi italiani sulle Mgf in situazione di migrazione. Gli studi più approfonditi sono quelli realizzati dai ricercatori che fanno riferimento alla facoltà di Psicologia dell’Università di Padova. Le ricerche, che coinvolgono medici italiani e immigrate, si concretizzano in anni recenti con la pubblicazione di due volumi: Figlie d’Africa mutilate, di Pia Grassivaro Gallo, del 1998 e Senza le ali, a cura di Marco Mazzetti, pubblicato quest’anno.

Anche se i due testi denunciano i toni allarmistici e scandalistici con cui quotidiani e riviste affrontano il tema delle Mgf, il discorso della stampa e quello scientifico nella sostanza non appaiono molto diversi. Salvo alcune eccezioni (come il contributo di Diasio che problematizza la dimensione culturale del fenomeno e quello di Atighetchi sui rapporti tra Islam e Mgf), i volumi in questione finiscono per declinare e riproporre in chiave dotta, medico-scientifica, gli stereotipi e i luoghi comuni già evidenziati per il discorso sulle Mgf apparso sulla stampa: si ripropone l’idea di una diversità incomprensibile da cui prendere le distanze, da educare e civilizzare.

• Le mutilazioni come fatto culturale

Quando il discorso scientifico affronta il problema della nascita e del mantenersi nel tempo delle pratiche di manipolazione dei genitali femminili lo fa elencando un insieme eteroclito e irrelato di credenze bizzarre, di regole tribali, di tradizioni anacronistiche e senza senso.

Nei libri in questione si è proceduto a una selezione di tratti culturali, non falsi di per sé, ma completamente decontestualizzati e isolati uno dall’altro.

A seconda del gruppo etnico le Mgf avrebbero lo scopo di:

Ogni fenomeno culturale è in realtà indissociabile e trova la sua intelligibilità solo all’interno e nell’interazione con gli altri aspetti della vita sociale. La cultura si dissolve in un insieme di pratiche mutevoli e complesse continuamente negoziate dagli attori sociali. Ridurre tali pratiche a tratti culturali rigidi produce una visione secondo la quale "l’altro" è portatore di una diversità radicale, irriducibile a sé (di essenza), una visione che finisce per legittimare la sua esclusione e che può diventare una forma moderna di razzismo. Nei testi in esame le Mgf sono associate a società arcaiche, caratterizzate da un’economia di tipo pastorale e da concezioni tradizionali e false dalle quali la società civile (laica, razionale, che nega le differenze tra i sessi) deve prendere le distanze. In realtà sappiamo bene che tali pratiche sono attuate in situazioni complesse, in contesti urbani e di immigrazione, in società che da secoli conoscono la scrittura, l’Islam e un’economia di mercato.

Un esempio estremo di questa tendenza a considerare "l’altro" più vicino allo stato originario dell’umanità è l’ipotesi etologica dell’origine dell’infibulazione in Somalia di Grassivaro Gallo, riportata anche nel testo di Mazzetti.

Secondo questa ipotesi, in Somalia terra abitata da popolazioni di nomadi e pastori, per i quali sono «state trovate connessioni col paleolitico europeo» (Grassivaro Gallo 1998:27), l’infibulazione sarebbe una necessità strettamente connessa all’economia locale. Le donne sono infatti responsabili di caprini e ovini essenziali alla sopravvivenza del gruppo. Le donne però «tenuto conto dei cicli sessuali, delle gravidanze, degli allattamenti e dalla mancanza di supporti igienici - sono impregnate dalla pubertà alla menopausa, dagli odori caratteristici del loro sesso (che le donne in Occidente eliminano con lavande vaginali, detergenti specifici etc.)» (Grassivaro Gallo 1998:30- 31).

Questi odori renderebbero inquiete le greggi e provocherebbero le aggressioni di animali feroci. L’infibulazione sarebbe dunque nata come «strumento atto ad affievolire le salienze olfattive sessuali femminili. Resa priva di odore la donna avrebbe potuto accudire meglio le greggi senza allertare le fiere della boscaglia». (Grassivaro Gallo 1998:32)

L’ipotesi è fantasiosa ma assolutamente priva di fondamento e questo perché:

  1. l’infibulazione servirebbe a risolvere solo il problema dell’odore connesso ai cicli mestruali e non potrebbe nulla per quello determinato dalle gravidanze e dall’allattamento;

  2. le somale intervistate nel corso della nostra ricerca si sono tutte lamentate della lunga durata dei loro cicli mestruali (dieci/quindici giorni in media) dovuta alle ridotte dimensioni dell’orifizio vaginale. L’infibulazione prolunga i giorni di deiezione mestruale e gli odori connessi, esponendo semmai le donne al pericolo di aggressioni animali per un periodo molto più lungo;

  3. soprattutto questa spiegazione confonde due piani, quello biologico e quello sociale, che non hanno nulla in comune, naturalizza e rende opaco un fenomeno culturale complesso qual è l’infibulazione che trova la sua intelligibilità all’interno di quella rete di significati e pratiche che orienta l’agire del gruppo sociale che li adotta.

Secondo gli autori dei due studi le Mgf sono dunque pratiche sui corpi che hanno la loro ragione d’essere in mondi lontani, selvaggi e arcaici. Diventano del tutto inutili in contesti di emigrazione dove «si conservano come abitudine». Nella società civile le Mgf non svolgono più la loro primitiva, anche se cruenta, forma di integrazione sociale, al contrario, diventano fonte di emarginazione:

«La bambina mutilata in terra d’origine è circondata dal supporto psicologico della propria comunità […]. In emigrazione l’escissione diviene fattore di emarginazione e rallenta o impedisce l’inserimento delle giovani straniere tra le coetanee non africane» (Grassivaro Gallo 1998:127). E ancora: «le conseguenze sono diverse se l’operazione viene eseguita nella savana somala, dove, per quanto tragica, essa ha un effetto integrativo dal punto di vista sociale, rispetto alla stesso atto compiuto in terra di migrazione dove invece assume un significato, al contrario, emarginante» (Mazzetti 2000:56).

Gli studi in questione sembrano ignorare fattori che a noi sembrano fondamentali:

  1. che le "abitudini" sono difficili da vincere proprio perché, in quanto tali, sfuggono alla coscienza e alla volontà. Le abitudini sono attitudini dominate dell’opacità e dall’inerzia, sono disposizioni che le logiche sociali inscrivono nei corpi e nelle menti dei soggetti;

  2. che il destino di pratiche come le Mgf può essere molto diverso a seconda dell’impatto con la società di accoglienza. Il contatto con una società ostile o il bisogno di sottolineare la propria appartenenza in reazione alla lontananza dal proprio paese, possono rafforzare la pratica. Durante i colloqui con le immigrate somale, ad esempio, è emerse più volte l’immagine del corpo infibulato come emblema di un corpo puro contrapposto al corpo nudo, esposto delle donne italiane;

  3. che il destino di pratiche come le Mgf può essere molto diverso a seconda dei mutamenti interni dei gruppi sociali che le adottano. L’Islam ad esempio, che in passato ha giustificato e sostenuto la necessità delle Mgf, sembra essere oggi uno dei fattori che spingono le donne ad abbandonarle. Nel Corano, infatti, non esiste alcun obbligo per le donne di essere circoncise (la sunna è considerata un atto meritorio ma non indispensabile). Il richiamo a un’osservanza più stretta delle regole autentiche del Corano a cui oggi le autorità religiose chiamano i musulmani si traduce di fatto in una perdita di valore della pratica.

• La medicalizzazione del problema

Ridotta la dimensione socio-culturale del problema a semplice "sopravvivenza" di un mondo altro, fatto culturale da abbandonare, i due testi privilegiano un approccio di tipo medico-scientifico. Al centro degli interessi dei due volumi sono da un lato i danni alla salute fisica e psicologica delle donne mutilate, dall’altro le posizioni espresse dai medici italiani riguardo alle Mgf.

Così come rilevato nel discorso della stampa, anche in questi testi assistiamo a una forte medicalizazzione del problema. Medicalizzare un problema significa però spostarlo invece che risolverlo, significa rendere importante e autonoma una sola delle sue dimensioni (in questo caso quella della malattia, delle difficoltà mediche determinate dalle Mgf), rielaborarla in modo tecnico, renderla competenza di uno specialista neutro (il medico) nascondendo, negando di nuovo la complessità simbolica e sociale del fenomeno, la sua essenza di fatto sociale totale.

I due testi ci informano anche dei giudizi espressi dai medici (a due livelli, quello ufficiale e quello dei medici coinvolti nelle ricerche): l’Ordine dei medici condanna la pratica «che ripugna alla coscienza civile» (Mazzetti 2000:73), il Comitato nazionale di Bioetica e il codice di Deontologia medica dichiara che « le Mgf sono eticamente inammissibili e devono venire combattute e proscritte» (Mazzetti 2000:75). Dal canto loro i medici coinvolti nelle ricerche «etichettano il costume come barbaro, inammissibile e in netto contrasto con le leggi vigenti e con l’etica occidentale. […] Emerge [tra i medici] il rigetto della cultura escissoria estranea al nostro mondo» (Grassivaro Gallo 1998:87). Inoltre «trova spazio in molti ostetrici e ginecologi l’imperativo di educare le pazienti e informare le pazienti sulla nocività della pratica» (Grassivaro Gallo 1998:88).

La società civile prende le distanze dalle Mgf attraverso i giudizi di una categoria particolarmente autorevole: i medici. L’atteggiamento è dunque di condanna radicale, senza tentativi di comprensione del problema o di dialogo con le immigrate; si tratta, eventualmente di educare e civilizzare.

La donna vittima passiva

Il punto di vista delle immigrate sul problema è completamente assente nel testo di Mazzetti. In quello di Grassivaro Gallo è chiamato solo a confermare il giudizio negativo sulle Mgf espresso dalla ricercatatrice.

Gli studi in questione considerano le immigrate vittime passive di un costume barbaro, vittime che attendono impazienti di essere salvate: «Le mutilazioni dei genitali femminili sono accompagnate da atti di intimidazione, inganni, costrizioni e violenze da parte dei genitori, amici e parenti […] le mutilazioni dei genitali sono un’esperienza di intensa paura, di sottomissione, di inibizione e di annullamento dei propri sentimenti e del proprio pensiero» (Mazzetti 2000:85). E ancora «le ragazze provano sentimenti di rabbia e amarezza per essere state ingannate […] hanno grosse difficoltà nel raccontare o ricordare l’esperienza della mutilazione subita e le lacrime scorrono sul loro volto […] Secondo alcune testimonianze l’esperienza psicologica delle mutilazioni dei genitali è molto simile a quella di una violenza sessuale» (Mazzetti 1998:85-86).

Al contrario di quanto emerge da questi testi, la nostra ricerca ha rilevato un atteggiamento delle intervistate nei confronti delle Mgf più articolato. Pur non negando problemi connessi alle mutilazioni (mestruazioni dolorose, difficoltà nei primi rapporti sessuali, ecc.) la maggior parte delle donne si è espressa nel senso della necessità di una qualche forma di manipolazione degli organi genitali. Qui è il problema: le donne infibulate o escisse hanno un ruolo attivo nell’attuazione, nella giustificazione e perpetuazione delle Mgf. Questo, ad esempio, è il racconto di una ragazza di Mogadiscio, che viene da una famiglia di status elevato e che vive a Torino da sette anni dove frequenta l’università:

"Sono stata io a insistere per volerla fare" [l’infibulazione]. A sei-sette anni tutte le mie amiche erano infibulate, io mi vergognavo da morire a dire che io non lo ero. Mi raccontavano cose meravigliose: i regali, i gioielli, che i parenti ti venivano a trovare e ti coccolavano. Io ho fatto di tutto per essere operata, stavo male perché non lo ero ancora stata, avevo paura che le mie amiche mi scoprissero, che mi prendessero in giro. Tremavo quando veniva fuori l’argomento, avevo paura che mi chiedessero di far vedere. Ho convinto mia madre a fare almeno la sunna. Ho chiesto a una zia di venire con me a controllare perché con l’anestesia io non sentivo niente e avevo paura che mia madre avesse detto al medico di fare finta. Gli chiedevo "sta tagliando per bene, ha fatto tutto per bene?". Poi da sola mi sono organizzata tutta la festa. Mi sono messa a letto. Ho voluto i regali da mio padre. Ho fatto tutta la scena. Sono voluta restare a letto per sette giorni come le altre e poi quando mi sono alzata, camminavo piano piano. Mia madre mi prendeva in giro, mi diceva "non c’è bisogno che cammini così piano, non sei stata cucita, ti puoi muovere come ti pare". Ma a me piaceva fare tutto per bene ».

Siamo di fronte al caso di una giovane donna che parla perfettamente italiano, bene inserita nella comunità di accoglienza che difende la sua esperienza, che ne parla come di una necessità imprescindibile.

Le donne mutilate non subiscono i trattamenti che gli sono inflitti per una sorta di inspiegabile masochismo che ripugna alla coscienza e alla società civile, ma perché le mutilazioni dei genitali sono un elemento di strutture cognitive complesse, di relazioni di potere che organizzano la percezione e la costruzione del mondo di coloro che le praticano.

Per indurre cambiamenti reali nei comportamenti delle donne immigrate e nelle società di accoglienza, per costruire modalità efficaci di comunicazione interculturale bisogna mettere in luce l’intera rete di significati che danno senso alla pratica.

 

*Tratto da "Antropologia delle mutilazioni genitali femminili. Una ricerca in Italia", a cura di Carla Pasquinelli, edito da AIDOS, Associazione italiana donne per lo sviluppo, 2000.