Razzismo e sessismo: riflessioni sulle impercettibili discriminazioni*

di Valeria Ribeiro Corossacz e Caterina Vincenzo[1]

 

 

Negro e pure sordo: quale differenza contro il razzismo

Ottobre 1998. Un pomeriggio, in un bar romano un giovane uomo chiede ironicamente a un amico, dopo averlo chiamato insistentemente, se è sordo; l'amico risponde: "sono negro e sono pure sordo".
La frase colpisce per due motivi: da una parte questa persona afferma di essere nera in un contesto in cui nessuno aveva fatto riferimento al suo colore; dall'altra, mettendo sullo stesso piano essere nero e sordo, il giovane uomo afferma che questi sono degli attributi negativi, ma anche che un nero può essere sordo, così come lo sono i bianchi. In effetti quello che più colpisce è proprio questa forma così contorta per dire: sono sordo. Benché questa persona volesse che in quella circostanza si prendesse in considerazione la sua sordità, per prima cosa ha indicato un altro attributo che lo differenziava, ma che non ha niente a che vedere con l'essere sordo: essere nero.
Questo episodio può essere utile per esaminare il rapporto tra razzismo, differenza e uguaglianza, e per capire in che modi il concetto di differenza possa essere declinato nei discorsi e nelle pratiche intesi a ostacolare il razzismo.
Una prima osservazione da fare è che quando si parla di razzismo si parla di un tipo specifico di differenza, una differenza che è il prodotto storico di determinati rapporti sociali, ma che viene presentata e percepita come naturale e innata. Nel razzismo i gruppi umani sono pensati come differenti o disuguali per natura, e i rapporti tra questi gruppi sono anch'essi considerati dei rapporti naturali, e non dei rapporti sociali determinati da motivazioni economiche e politiche. Nel razzismo la naturalizzazione delle differenza tra i gruppi umani viene espressa in diverse modalità, tra cui l'idea che la percezione del colore e dei tratti somatici sia un comportamento innato e uguale in tutti gli esseri umani. E invece, il criterio con cui si definisce chi è bianco e chi nero cambia a seconda dei contesti, come dimostra il fatto che una stessa persona può essere categorizzata e trattata come nera in un paese, e come bianca in un altro, o anche, in una stessa società, c
Ma il razzismo si esprime sempre più spesso attraverso la naturalizzazione delle differenze definite come etniche o culturali, ossia quegli aspetti della vita dei gruppi - feste, religioni, costumi e usanze nel modo di vestire o di mangiare - che sono il prodotto di una lunga storia di incontri e compromessi. In effetti una sorta di censura nel discorso comune fa sì che non si parli più così disinvoltamente in termini di razza, ma piuttosto in termini di cultura o etnicità. Tuttavia questo cambiamento di termini non ha comportato la messa in discussione del presupposto del razzismo, ossia l'idea che alcuni gruppi umani siano differenti per natura e che questa natura determini la loro posizione all'interno dei rapporti sociali. In questa nuova visione, di cui i mass media sono allo stesso tempo divulgatori e produttori, la cultura viene sostantivata, divenendo una qualità innata e statica, che assai spesso incorpora anche l'aspetto somatico, senza prospettiva storica e
Nel razzismo dunque la differenza è un attributo percepito come naturale, innato, e imposto come forma immediata di categorizzazione degli individui. "Ma chi definisce in primo luogo chi è diverso e quale diversità sia da considerare e quale altra non sia pertinente?" (Tabet, 1998,p.21). La caratteristica del razzismo infatti è proprio questa imposizione e esclusività del tratto che stabilisce la condizione di diversità di una persona, a cui si accompagna la difficoltà di poter scegliere altri tratti distintivi. L'episodio riportato all'inizio illustra bene come funzioni nella vita quotidiana quest'imposizione della differenza: per chi è stato marcato come "negro", non è così semplice prescindere da questo marchio e scegliersi altre forme di nominazione. "Voglio essere io a dire come mi chiamo" è il titolo di un bell'articolo di Geneviève Makaping (1998), in cui l'autrice descrive cosa vuol dire q
Partendo da queste osservazioni, il concetto di differenza può avere una doppia valenza nell'analisi del razzismo. Se da un lato infatti la differenza è prima di tutto una differenza socialmente e storicamente costruita, ma comunemente pensata come naturale, dall'altra la differenza può essere intesa anche come l'opportunità di rivendicare altre modalità di definizione e nominazione della propria persona.
Questa distinzione tra due possibili significati di differenza ci rimanda al dibattito interno ai women's studies e alle teorie femministe in cui si è molto discusso sul concetto di differenza e sulle sue implicazioni. Questo accostamento sembra d'altronde particolarmente opportuno, poiché il tema del razzismo è sempre più frequentemente discusso in relazione a quello del sessismo. A questo proposito bell hooks afferma "quanto sia importante capire la differenza, quanto siano rilevanti i modi in cui status razziale e di classe determinano sino a che punto si possono affermare il dominio e il privilegio maschili e, ancor di più, in che forma razzismo e sessismo sono sistemi interconnessi di dominio che si rafforzano e si sostengono a vicenda" (1998,p.39). Non è possibile infatti analizzare il razzismo come un fenomeno monolitico e lineare, come se si manifestasse sempre nelle stesse modalità, indipendentemente dai contesti e dagli attori sociali. Per c
A partire da questi presupposti, negli anni 80 alcune donne nere e appartenenti alle così dette minoranze etniche, hanno intrapreso una critica del carattere etnocentrico e razzista di alcune posizioni interne al movimento delle donne e alle teorie femministe (hooks 1982, Amos e Parmar, 1984). Nel dibattito che ne è scaturito, si è messo l'accento sulle differenze tra donne, ossia sull'importanza di non considerare le donne come un gruppo omogeneo e sostanzialmente uguale. Le differenze etniche, di classe e di orientamento sessuale sono state riconosciute come importanti nella definizione di cosa significa essere una donna nelle diverse società e culture. L'importanza di questa critica è stata appunto quella di riconoscere l'imposizione operata dalle femministe bianche di classe medio-borghese nel definire, a partire dalla loro esperienza, le priorità nella lotta contro l'oppressione delle donne. L'opposizione uomo/donna comportava dunque il rischio di non dare spazio
Le rivendicazioni delle donne dei gruppi minoritari che non si sentivano rappresentate dal movimento delle donne è importante in quanto mette in luce la necessità di considerare la pluralità di condizioni anche all'interno di un gruppo socialmente dominato. La percezione dell' "altro" attraverso tipi e stereotipi è un esempio di come si riduca la varietà di esperienze, impedendo al soggetto di scegliere la forma in cui definirsi. Il concetto di differenza può dunque avere un valore positivo nella misura in cui rappresenti l'opportunità di dare spazio e legittimità a tutte quelle forme e esperienze che non sono riconducibili alla norma, ai modelli istituzionalizzati e omologati. La possibilità di non dover dire - e pensare - di essere "negri" quando si vuol dire di essere sordi, ossia la possibilità di pensare il colore come una delle dimensioni della propria persona, e non come l'unica e primaria differenza. Ciò non significa prescindere dalla realtà, poiché il peso effettivo della differenza sociale tra bianchi e neri continua a incidere nella vita delle persone. Infine è importante ricordare quali siano state le implicazioni della valorizzazione della differenza all'interno del dibattito femminista, per considerare quali possano essere i rischi di un differenzialismo esasperato in relazione al razzismo. Come ha messo infatti opportunamente in evidenza Gordon, la debolezza dei concetti di "differenza" e "diversità" sta "nel suggerire delle soluzioni attraverso una mera addizione, senza guardare ai modelli di relazione" (1999,p.45). Concentrandosi sulle differenze, in un atteggiamento quasi celebrativo, si è infatti affermata la percezione di identità isolate, invece di ricercare le condizioni storiche che deteriminano l'uguaglianza tra le donne. Il rischio maggiore del concetto di differenza sta proprio nel "allontanarci dallo specificare le relazioni che hanno causato le ineguaglianze di genere, razza, classe e tante altre forme di ineguaglianza e alienazione" (1999,p.46). Le differenze non esistono in se stesse, e dunque non vanno considerate come tali.

 

BIBLIOGRAFIA

 

- Amos, Valerie e Parmar, Pratibha (1984), "Challenging Imperial Feminism, in Feminist Review, n.17, july.

- Giraud, Michel (1995), "Assimilazione, pluralismo, «doppia cultura»: l'etnicità in questione", in Gallissot René e Rivera Aannamaria, Pluralismo culturale in Europa, Edizioni Dedalo, Bari.

- Glean O'Callagan, Marion e Guillaumin, Colette (1989), "La moda 'naturalistica' nelle scienze umane", in Democrazia e diritto, n.6, nov.-dic.

- Gordon, Linda (1999), "The Trouble with Difference", in Dissent, Spring.

- hooks, bell (1982), Ain't I a Woman? Black Women and Feminism, Pluto, London.

- hooks, bell (1998), "Riflessioni su razza e sesso", in Elogio del margine, Feltrinelli, Milano.

- Makaping, Jeneviève (1998), "Voglio essere io a dire come mi chiamo. Note di terreno di un soggetto eccentrico", in Tabet Paola e Di Bella Silvana, Io non sono razzista, ma…, Anicia, Roma.

- Ribeiro Corossacz, Valeria (1999a), "Forme di razzismo in una scuola di Rio de Janeiro", Etnosistemi, anno VI, n. 6, gennaio.

- Ribeiro Corossacz, Valeria (1999b), "Razzismo e gerarchia nella società brasiliana", La società degli individui, anno II, n.6.

- Rivera, Annamaria (1997), "Cultura", in Gallissot René e Rivera Annamaria, L'imbroglio etnico, Edizioni Dedalo, Bari.

- Rivera, Annamaria (1998), "«Razza», cultura, etnia: decostruire i pre-concetti per smontare i pregiudizi", in Tabet Paola e Di Bella Silvana, Io non sono razzista, ma…, Anicia, Roma.

- Tabet, Paola (1998), "Un elefante su cui farli viaggiare. Il razzismo come ideologia insegnata e appresa", in Tabet Paola e Di Bella Silvana, Io non sono razzista, ma…, Anicia, Roma.

 

 

* Tratto da Adultità, Quaderno monografico sulle Pari opportunità

 


[1] La prima parte del presente articolo è di Valeria Ribeiro Corossacz, la seconda di Caterina Vincenzo.