Rispettare, tutelare, realizzare i diritti umani delle donne. Responsabilità degli stati per le violazioni commesse da "attori non statali"

... La donna più importante con cui abbiamo parlato aveva circa 55 anni, sembrava una vecchia. Si era sposata a 13 o 14 anni, aveva fatto quattro figli, era rimasta vedova a neppure 20 anni. Era rassegnata al suo destino, ma diceva «non siamo né vive né morte». Quattro di queste donne di mezza età, erano nate in questo cortile, non è stato possibile trovare per loro dei cugini adatti, per cui vivono tutta la vita entro le mura di casa. Hanno una radio, ma gran parte di quello che sentono risulta loro incomprensibile. La mia scorta-insegnante mi ha detto che anni fa un somaro era entrato dal cancello semiaperto del recinto, e le donne erano cadute in preda al panico, perché non avevano mai visto una creatura simile. Sul retro, una vecchia donna pallida piangeva, voleva dire qualcosa, ma le altre si sentivano a disagio e non volevano farla notare. Era una donna un po’ stranita, con forti dolori all’addome; non vi erano medicine, lei aveva paura di aggravarsi o di morire fra atroci dolori, ci ha spiegato la figlia.

Questo brano tratto dal rapporto di una missione di Amnesty International costituisce una eloquente testimonianza dell’enorme differenza che intercorre fra la retorica sui diritti umani delle donne e la realtà dell’esperienza quotidiana di tante donne. Rappresenta anche un esempio limite dell’incapacità del sistema giuridico dei diritti umani, in casi troppo numerosi, di assicurare l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali delle donne.

Questa incapacità è dovuta almeno in parte al fatto che l’applicazione alle donne del diritto internazionale sui diritti umani è spesso fraintesa o interpretata in maniera troppo riduttiva. In particolare, si ritiene a volte erroneamente gli Stati debbano essere considerati responsabili per atti lesivi dei diritti delle donne soltanto quando tali atti siano stati compiuti direttamente da agenti o funzionari dello Stato. La tutela che fornisce la giurisprudenza sui diritti umani è invece molto più ampia. Esiste una chiara responsabilità degli Stati in base al diritto internazionale, che si estende al di là delle violazioni commesse da chi agiva a nome dello Stato e dei suoi organi.

In occasione della revisione quinquennale sulla realizzazione della Piattaforma d’azione di Pechino, Amnesty International pubblica questo rapporto come contributo per rafforzare il sistema di tutela dei diritti umani delle donne. È essenziale che ci sia una migliore comprensione da parte degli Stati, e delle donne stesse, se vogliamo che le donne di tutto il mondo siano in grado di rivendicare pienamente e liberamente i loro diritti.

Nel 1995, oltre 17.000 delegati/e che rappresentavano i governi e la società civile di tutto il mondo, fra cui gruppi di donne e organizzazioni non governative (ONG), si sono riunite a Pechino, per una Conferenza mondiale sui progressi compiuti per raggiungere «gli obiettivi di eguaglianza, pace e sviluppo per tutte le donne di tutto il mondo, nell’interesse di tutta l’umanità».

La Dichiarazione di Pechino, che insieme alla Piattaforma d’azione costituisce il documento finale della Quarta conferenza mondiale sulle donne, ha confermato la Dichiarazione della Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna (1993) secondo cui i «diritti umani delle donne e delle bambine sono parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali». La Dichiarazione di Pechino ha sottolineato che l’esercizio eguale e completo di tutti i diritti umani da parte delle donne dovrà essere una priorità per i governi e per le Nazioni Unite. Ponendo in primo piano i diritti umani delle donne, le due Conferenze mondiali hanno sottolineato l’esigenza di affrontare le violazioni dei diritti umani delle donne, ovunque si verifichino, chiunque ne sia responsabile. Ciò vuol dire prendere atto del fatto che la responsabilità degli stati in base al diritto internazionale comprende anche le violazioni commesse da individui o gruppi privati, e che gli stati hanno una responsabilità precisa di intervenire in maniera efficace per porre fine alle violazioni dei diritti umani delle donne.

Per tradurre le promesse di Pechino in realtà, la Piattaforma d’azione di Pechino sollecitava gli stati ad adempiere ai loro obblighi in base al diritto internazionale, e sollecitava altresì le organizzazioni internazionali, in particolare il sistema dell’Onu e le Ong, a fare la loro parte. In base al diritto internazionale esiste una responsabilità precisa degli Stati, che si estende al di là delle violazioni commesse da chi agisce per conto dello Stato e i suoi organi, quali ad esempio la polizia, i militari e le forze di sicurezza. L’applicazione alle donne del diritto internazionale sui diritti umani è spesso fraintesa o interpretata in maniera troppo restrittiva. In particolare, a volte la responsabilità degli Stati per atti che infrangono i diritti delle donne è percepita erroneamente come una responsabilità che vale soltanto quando i responsabili effettivi degli atti in questione sono agenti o funzionari dello Stato stesso.


I. Il diritto internazionale dei diritti umani: cos’è e come si applica alle donne

La Carta dell’Onu dichiara che "l’eguaglianza dei diritti fra uomini e donne", "la dignità e il valore della persona umana" e la realizzazione dei diritti umani fondamentali sono i principi essenziali dell’Onu e gli obiettivi di tale organizzazione. Tali principi sono stati meglio esplicitati con l’adozione di standard giuridici internazionali e trattati vincolanti che illustrano gli obblighi dei governi di tutelare i diritti umani degli individui che vivono entro il loro territorio e sono sottoposti alla loro giurisdizione "senza distinzione di alcun genere". In realtà, il diritto alla non discriminazione è talmente fondamentale da essere uno dei diritti per cui non esiste possibilità di deroga, in nessuna circostanza.

Tali trattati e standard giuridici, e i meccanismi e le istituzioni creati per tradurli in pratica, costituiscono il sistema giuridico internazionale dei diritti umani, che vale in eguale misura per uomini e donne. Tale sistema internazionale intende garantire l’attuazione dei diritti umani nei sistemi nazionali degli stati, e verificarne l’attuazione con meccanismi operanti in ambito nazionale.

I trattati fondamentali sui diritti umani che derivano dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (UDHR) includono:

• la Convenzione sulla eliminazione della discriminazione razziale (CERD)
• il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ICESCR);
• il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) e i suoi due Protocolli Aggiuntivi;
• la Convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Convenzione delle donne) e il suo Protocollo Aggiuntivo;
• la Convenzione contro la tortura (CAT);
• la Convenzione sui diritti dell’infanzia (CRC).

Oltre a costituire un contratto fra gli stati, i trattati sui diritti umani costituiscono anche un quadro generale dei diritti che i singoli individui hanno facoltà di rivendicare a livello nazionale e, in alcuni casi, a livello internazionale. Tali trattati specificano gli obblighi di cui si fa carico lo stato allorché ratifica il trattato in questione, oppure accetta di essere vincolato da tale trattato.


I trattati sui diritti umani illustrano gli obblighi dello stato e in particolare il dovere di:

• promuovere tali diritti,
• assicurare tali diritti per tutti/e e tradurli in strategie e interventi politici,
• prevenire violazioni dei diritti previsti dalla Convenzione e
• fornire riparazioni alle vittime, qualora i loro diritti venissero violati.

Tali obblighi devono essere rispettati non soltanto in relazione ad atti compiuti da singoli individui che agiscono per conto dello stato o su sua istigazione o con il suo consenso o la sua acquiescenza, ma con riferimento a qualsiasi atto compiuto da individui, gruppi o istituzioni che sia lesivo dei diritti di altre persone.

Alcuni trattati internazionali e standard giuridici sono riferiti specificamente alle donne, ad esempio la Convenzione delle donne, il Protocollo aggiuntivo della Convenzione delle donne e la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne. Comunque, ognuno dei trattati sui diritti umani e il quadro generale dei diritti umani valgono e sono di fondamentale importanza per la realizzazione dei diritti umani delle donne.

A causa della subordinazione storica delle donne, molte leggi, politiche e consuetudini, vincolano la vita delle donne e ne ostacolano la piena partecipazione alla vita pubblica. Pertanto, spesso le donne subiscono abusi non soltanto per mano di funzionari dello stato, ma per mano di individui a loro noti: datori di lavoro, partner, mariti, familiari o vicini. Applicare il diritto internazionale dei diritti umani senza comprendere la responsabilità dello stato in merito agli abusi commessi da questi attori privati equivarrebbe a privare le donne della tutela e dei rimedi necessari per la maggior parte degli abusi subiti. Il diritto internazionale dei diritti umani non tace riguardo a tale abusi, ed indica una precisa responsabilità da parte dello stato. Ma troppo spesso tale responsabilità è stata ignorata e fraintesa, o semplicemente è rimasta un concetto astratto. Eppure, tale responsabilità costituisce parte essenziale della tutela che il sistema dei diritti umani intende fornire alle donne.


2. Rispettare, tutelare e realizzare: la responsabilità degli stati in base al diritto internazionale sui diritti umani

Gli obblighi degli stati in base al diritti internazionale sui diritti umani sono spesso classificati in tre categorie: «rispettare, tutelare, realizzare» .

L’obbligo di rispettare riguarda direttamente ciò che il governo fa tramite i suoi organismi, i suoi agenti e le strutture giuridiche. Esiste una norma costituzionale sulla eguaglianza fra uomini e donne in tutti i settori? La legge limita alcuni lavori soltanto agli uomini? La violenza sessuale e l’estorsione di denaro a danno delle prostitute è prassi costante di alcuni agenti dello Stato, ad esempio la polizia, che agiscono con la certezza dell’impunità? Lo stato costringe le donne a farsi sterilizzare nell’ambito di una politica di controllo demografico? Lo stato nega informazioni sulla contraccezione alle adolescenti, per rispettare una posizione culturale o religiosa dominante?

Lo stato è anche tenuto a tutelare i diritti umani delle donne. Tale principio "richiede allo stato e ai suoi agenti le misure necessarie ad impedire che altri individui o gruppi violino la integrità, la libertà d’azione e altri diritti umani dell’individuo". In base a tale obbligo, lo stato si impegna, ad esempio, a prevenire atti di discriminazione sia diretta che indiretta nei confronti delle donne. Ciò può comprendere la prevenzione di atti discriminatori che impediscono alle donne e alle bambine di andare a scuola consentendo che le molestie sessuali procedano senza ostacoli, o garantire che una donna non sia privata della parità di diritto al lavoro dando al marito il potere di veto sul contratto di lavoro della moglie.

L’obbligo di realizzare "richiede che lo stato prenda le misure necessarie ad assicurare, per ogni persona sotto la sua giurisdizione, le possibilità di ottenere soddisfazione di quei bisogni, sanciti negli strumenti sui diritti umani, che non possono essere realizzati con il semplice impegno personale". È un obbligo di ampia portata, che va dal fornire un ambiente sano e acqua potabile, a sostenere in senso generale le condizioni necessarie per costituire e far funzionare le Ong delle donne.


3. Le responsabilità degli stati per le violazioni commesse da parte di attori non statali

Tradizionalmente, il diritto pubblico internazionale si occupava soprattutto dei governi o degli stati nazionali; comunque, non si è mai incentrato esclusivamente sugli stati. Ad esempio, i trattati internazionali per l’eliminazione della schiavitù proibivano le azioni di individui quali i trafficanti di schiavi. Ma la necessità di andare oltre lo stato o i suoi agenti come soggetto primario del diritto internazionale e unico attore possibile in grado di nuocere al godimento dei diritti umani di altri, richiede un termine che sia in grado di cogliere i moltissimi tipi differenti di "individui, gruppi o istituzioni" che con il loro comportamento, le loro azioni o il loro intervento possono avere un effetto sui diritti umani e di cui possono essere chiamati direttamente a rispondere dinanzi al sistema internazionale, o di cui dovrà rispondere il loro governo.

L’espressione "attore non statale" copre persone e organizzazioni che agiscono al di fuori dello stato, dei suoi organi e dei suoi agenti. Non è limitata alle persone, dato che alcuni responsabili di violazioni dei diritti umani sono società o altre strutture del mondo finanziario, come dimostra lo studio sull’impatto che hanno sui diritti umani la produzione di petrolio o lo sviluppo di centrali energetiche. D’altro canto, in alcuni casi la responsabilità dello Stato inizia con l’atto di un singolo individuo – ad esempio il marito violento che stupra la moglie e non può essere processato perché la legge di quel paese considera un reato soltanto la violenza extraconiugale.

In base al diritto internazionale, lo stato ha chiare responsabilità per le violazioni dei diritti umani commesse da attori non statali. In sede internazionale, lo stato è responsabile in diversi modi specifici. Può essere ritenuto responsabile di aver commesso la violazione dei diritti umani a causa di una forma specifica di collegamento con gli attori non statali; oppure può essere responsabile per non aver preso le misure ragionevoli necessarie per prevenire o riparare una violazione.

Lo stato può essere considerato responsabile allorché fa affidamento su qualcuno o qualcosa per effettuare un’azione che rientra nell’ambito delle sue competenze statali. Ad esempio, soltanto un governo può legittimamente privare una persona della sua libertà. Comunque, gli stati sempre più spesso delegano i poteri di polizia e di detenzione a organizzazioni private, e molte donne in vari casi hanno subito violenza sessuale e altre forme di violenza sessista, o si sono viste negare assistenza adeguata per la loro salute fisica e mentale. In questi casi, non esiste alcun dubbio che lo stato non può sottrarsi alle sue responsabilità delegandole ad altri. Considerando l’assistenza sanitaria e la casa, il Comitato sulla eliminazione della discriminazione razziale ha osservato che la tutela dei diritti «può essere realizzata in forme differenti, sia attraverso istituzioni pubbliche che tramite le attività di istituzioni private. In ogni caso, è obbligo dello stato firmatario in questione garantire l’efficace attuazione della Convenzione (...). Nella misura in cui le istituzioni private influenzano l’esercizio dei diritti o la disponibilità delle opportunità, lo stato firmatario è tenuto a garantire che il risultato di tali azioni non abbia né lo scopo né l’effetto di creare o perpetuare la discriminazione razziale».

Lo stato può essere responsabile allorché ha partecipato in qualche modo a violazioni commesse da altri, o le ha sostenute. La Convenzione contro la tortura, ad esempio, stabilisce la responsabilità dello stato per un atto di tortura allorché "tale dolore o sofferenza viene inflitto da o su istigazione di, o con il consenso o con l’acquiescenza di, un pubblico ufficiale o altra persona che agisca in veste ufficiale" [Articolo 1]. Quando si è in presenza del consenso o della acquiescenza di uno Stato? Amnesty International ha descritto casi in cui le autorità ufficiali hanno evitato con tale costanza di perseguire e processare alcuni crimini, da configurare un atteggiamento permissivo deliberato. Altre Ong hanno documentato la prassi costante di corrompere la polizia o le guardie di frontiera, che serviva a costringere le donne a lavorare in condizioni di super-sfruttamento, in alcuni casi costringendole con la forza a tornare in tali situazioni da cui erano fuggite.

Lo stato può essere responsabile allorché non fornisce rimedi efficaci. In base al diritto internazionale, è un obbligo fondamentale dello stato fornire rimedi efficaci per le violazioni dei diritti umani, a prescindere dalla identità del trasgressore. I principi generali illustrano quali sono i "rimedi effettivi", in particolare il fatto che il rimedio deve corrispondere alla natura e alla gravità del danno (criterio di proporzionalità); deve essere accessibile senza discriminazione delle persone danneggiate (questo spesso richiede misure concrete da parte dello stato per raggiungere gruppi emarginati, ad esempio fornire servizi legali in aree rurali o in lingue locali). Un rimedio efficace presenta molti aspetti specifici legati alla differenza di genere: uomini e donne hanno eguali diritti e capacità nella vita reale di far valere i propri diritti in tribunale? La testimonianza di una donna ha lo stesso peso, de iure e de facto, di quella di un uomo? La natura del rimedio previsto è sufficiente e appropriata a riparare il danno subito dalla donna?


4. Come funziona la responsabilità dello stato per le violazioni commesse da attori non statali.

Il criterio della debita diligenza
Il diritto internazionale ha elaborato numerose teorie per considerare lo stato responsabile delle violazioni commesse da attori non statali, dato che si presentano tipi molto diversi di relazioni fra i trasgressori e lo stato stesso. Il criterio consolidato della debita diligenza (elaborato tramite la pratica statuale, e anche in base agli impegni globali assunti nelle conferenze mondiali, in particolare nella conferenza di Pechino) permette di valutare se uno stato ha agito con un impegno e una volontà politica sufficiente per adempiere ai propri obblighi in materia di diritti umani .

In base a tale obbligo, gli stati devono prevenire, indagare e punire gli atti lesivi di uno qualunque dei diritti sanciti dal diritto internazionale sui diritti umani. Inoltre, se possibile, gli stati devono tentare di ripristinare il diritto violato e fornire un indennizzo adeguato per i danni che ne sono derivati. Il criterio della debita diligenza è stato esplicitamente incorporato nei documenti delle Nazioni Unite quali la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, che afferma che gli stati dovranno «esercitare debita diligenza per prevenire, indagare e, conformemente alla legislazione nazionale punire gli atti di violenza contro le donne, sia che siano stati perpetrati dallo stato o da privati». In misura sempre crescente i meccanismi dell’Onu che controllano l’attuazione dei trattati sui diritti umani, gli esperti indipendenti dell’Onu e i sistemi di Tribunali a livello sia nazionale che regionale si rifanno a questo concetto della debita diligenza come metro di giudizio, soprattutto per valutare se gli stati hanno ottemperato ai loro obblighi di tutelare l’integrità fisica delle persone.

Il concetto di debita diligenza torna utile per descrivere il livello minimo di azione e di impegno che uno stato è tenuto a dimostrare per adempiere alla sua responsabilità di proteggere gli individui da violazioni dei loro diritti. Ad esempio, uno stato non può sottrarsi alla responsabilità relativa al maltrattamento delle lavoratrici domestiche sostenendo che il reato si è verificato nella privacy della casa del datore di lavoro, o che è giustificato da prassi sociali e culturali diffuse. Lo stato ha a sua disposizione una vasta gamma di misure per garantire il rispetto dei diritti di uomini e donne; non si prescrive una linea d’azione univoca. Si esamina la prassi statuale nei diversi sistemi giuridici, economici e culturali, si sviluppa un consenso sulle misure chiave necessarie per realizzare questa norma e si valuta la adeguatezza delle scelte effettuate dagli stati, e in particolare il modo in cui essi hanno utilizzato le proprie risorse. Per quanto riguarda la violenza contro le donne, le misure che dovrebbero essere prese dagli stati sono indicate nei commenti conclusivi degli organi sull’applicazione dei trattati in risposta a rapporti specifici dei vari stati, nella dichiarazione dell’Onu sulla violenza contro le donne e nella Piattaforma d’azione della quarta Conferenza mondiale sulle donne.

La Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne è stata adottata dall’Assemblea generale dell’Onu il 20 dicembre 1993. Essa afferma che gli stati sono tenuti a: «(d) introdurre nella legislazione nazionale sanzioni penali, civili, amministrative e relative al diritto del lavoro, per punire e porre rimedio ai torti fatti alle donne che hanno subito violenza; le donne che hanno subito violenza dovranno avere accesso alla giustizia e, in conformità con quanto previsto dalla legislazione nazionale, dovranno avere accesso a rimedi giusti ed efficaci a fronte del danno patito. Gli Stati dovranno anche informare le donne dei loro diritti a ottenere giustizia tramite tali meccanismi; ... (f) elaborare, in modo ampio e articolato, misure preventive e tutte le disposizioni di natura giuridica, politica, amministrativa e culturale atte a promuovere la tutela delle donne da ogni forma di violenza, ed assicurarsi che tali episodi di violenza non abbiano a ripetersi, a causa di leggi insensibili a considerazioni legate alla differenza di genere, dei sistemi di applicazione delle leggi o di altri interventi; (g) attivarsi per far sì che, nella misura massima possibile alla luce delle loro risorse disponibili e, se necessario, operando nell’ambito della cooperazione internazionale, le donne che hanno subito violenza e, se del caso, i loro figli ricevano assistenza specializzata, quale la riabilitazione, assistenza nella cura e nel mantenimento della prole, servizi terapeutici e di assistenza psicologica, servizi e programmi sanitari e sociali e anche strutture di supporto; ... (i) prendere provvedimenti per garantire che i funzionari di polizia e i pubblici ufficiali responsabili di applicare le politiche per prevenire, indagare e punire la violenza contro le donne, ricevano una formazione che li renda consapevoli e sensibili alle necessità delle donne».

Come tutti i principi del diritto internazionale, gli atti specifici inclusi nei concetti di debita diligenza possono svilupparsi e articolarsi meglio attraverso la prassi statuale, le decisioni dei tribunali (giurisprudenza), e le opinioni degli esperti. Ad esempio, governi, Ong e gli esperti indipendenti del sistema dei diritti umani dell’Onu hanno stabilito che nel valutare se uno stato ha ottemperato al suo dovere di tutelare tutte le persone da violazioni della loro integrità fisica è doveroso tener conto degli abusi subiti dalle persone a causa del loro sesso, o delle tutele legali negate alle donne a causa della loro vita sessuale.

5. Responsabilità diretta degli attori non statali

Limiti della responsabilità statale.
Il diritto umanitario internazionale vige per quanto riguarda anche il comportamento delle parti nei conflitti armati. Il contesto giuridico generale dei diritti umani internazionali si può applicare anche allo stato e a tutti i suoi agenti – ivi compresi le forze di sicurezza – in situazioni di conflitto armato. In base ad entrambe le fonti giuridiche, lo stato è responsabile delle azioni di gruppi armati operanti in associazioni o tollerati dallo stato stesso – si pensi ad esempio ai gruppi paramilitari, alle milizie, agli squadroni della morte o ai vigilantes. Ma a un certo punto diventa più difficile considerare lo stato responsabile delle azioni di gruppi armati – a che punto finisce la responsabilità dello stato, e quali sono i criteri che regolano il comportamento dei gruppi armati? Il problema dei limiti della responsabilità dello stato in merito a reati commessi da gruppi armati è oggetto di intenso dibattito. I commentatori sottolineano che il principio generale deve essere che nessun reato, a prescindere dalla “casella” di diritto internazionale in cui rientra la natura del conflitto (tempo di pace, conflitto armato internazionale, conflitto armato interno, lotta civile etc.) sarà considerato estraneo ai meccanismi di responsabilità e di risposta.

La responsabilità per abusi specificamente diretti contro le donne commessi durante i conflitti armati, quali la schiavitù e la violenza sessuale, è stata riconosciuta sempre più frequentemente dal diritto internazionale. Gli attori non statali partecipanti a un conflitto armato interno o internazionale vengono ritenuti responsabili di tali reati. Il Relatore speciale dell’Onu sullo stupro sistematico, la schiavitù sessuale e prassi simili alla costrizione in schiavitù durante un conflitto armato ha osservato che il rapimento, la riduzione in schiavitù, i matrimoni temporanei coatti, lo stupro ed altre forme di violenza sessuale commesse da gruppi armati in paesi quali l’Algeria, Myanmar, Haiti, Perù, Sierra Leone, Uganda dovranno essere indagati e puniti equamente tramite organismi di diritto internazionale, oltre alle strutture nazionali competenti. Un esempio significativo ci viene dato dall’adozione nel 1998 dello Statuto della Corte penale internazionale. Una volta costituita, la Corte avrà facoltà di assicurare alla giustizia le singole persone che hanno perpetrato questi reati sessisti, senza alcuna differenza fra attori statali e non statali.

Attirando l’attenzione sui casi in cui lo stato manca al suo dovere di proteggere le persone da danni da parte di terzi, e su come può essere ritenuto corresponsabile delle persone che hanno provocato il danno, è importante non perdere di vista la responsabilità della persona che sta all’origine del danno stesso. La responsabilità dello stato deve essere vista in collegamento con altre iniziative miranti a considerare gli attori non statali direttamente responsabili delle violazioni di diritti umani in sede sia nazionale che internazionale. Sviluppi recenti quali la creazione della Corte penale internazionale hanno rafforzato la capacità del diritto internazionale di ritenere i singoli trasgressori direttamente responsabili dei crimini commessi ai sensi del diritto internazionale – genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra – ovunque essi possano essere rintracciati. Ad ogni modo, pur considerando gli stati responsabili in certi periodi di tempo dei reati commessi da attori non statali, è importante continuare a concentrare l’attenzione sull’autore originario del crimine – lo stupratore deve comunque essere sottoposto a un giusto processo e a una giusta punizione e la grande impresa dovrà comunque rendere conto delle sue prassi discriminatorie. Il sistema internazionale dei diritti umani fornisce uno strumento supplementare per ribadire la responsabilità e l’obbligo dei singoli stati di far valere i diritti a livello locale, ma non può sostituirsi ai sistemi nazionali.

Il modo in cui il diritto internazionale tratta i reati commessi da attori non statali è un elemento centrale di interesse di numerosi movimenti che si battono per i diritti umani, ed in particolare di quelli che si occupano dei lavoratori, dei popoli indigeni, dell’orientamento sessuale, delle grandi emergenze sanitarie quali l’HIV/AIDS e dell’ambiente. Anche se questo rapporto si preoccupa essenzialmente della responsabilità degli stati per i reati commessi contro le donne, comprendere la natura di tale responsabilità è di vitale importanza per chiunque voglia sostenere e tutelare appieno tutti i diritti – civili, culturali, economici, politici e sociali – degli uomini e delle donne.


6. Che significato pratico ha per le donne il fatto che lo stato è responsabile dei reati commessi da attori non statali.

In molte zone rurali del mondo, i leader delle comunità locali avvertono le donne che votare è una cosa pericolosa – in particolare, quando è necessario viaggiare per raggiungere i seggi – e che esercitare tale diritto rappresenta un atto di ribellione contro il loro capofamiglia. Quei mariti e quei padri credono che sia accettabile votare loro per conto di tutte le donne del nucleo familiare, e ritengono di avere il diritto di imporre tale sistema con la violenza. In tal caso, affinché una donna possa far valere un diritto civile tradizionale quale il diritto di voto, è necessario ricorrere a misure protettive per impedire la violenza fra le pareti domestiche, modificare l’atteggiamento della comunità locale e porre le donne nelle condizioni di esercitare il loro diritto. È un esempio che serve anche a ribadire il principio fondamentale della indivisibilità dei diritti, del modo in cui i diritti si “intrecciano” fra loro e nell’esistenza delle persone.

Allorché i Treaty bodies valutano l’operato del paese specifico in esame in un trattato specifico, o quando il Relatore speciale dell’Onu sulla violenza contro le donne, le sue cause e conseguenze, applica un criterio di debita diligenza allo stato in questione, essi considereranno alcuni dei punti seguenti. Lo stato ha limitato direttamente il diritto di voto delle donne, cioè questi capi di comunità rappresentano il governo o svolgono alcune delle sue funzioni nel periodo elettorale? Sono direttamente coinvolti negli atti di violenza, anche per complicità o acquiescenza? In caso negativo, se i leader della comunità locale e gli uomini della famiglia non sono collegati allo stato, quali misure ha preso lo stato per dimostrare il suo impegno a garantire il diritto di voto delle donne e il loro diritto alla sicurezza personale? Lo stato ha promulgato norme e leggi abbastanza forti? Si occupa della formazione dei funzionari locali? Ha indagato sulle proteste delle donne? È in possesso di dati statistici disaggregati per uomini e donne che possano attirare l’attenzione sul fatto che le donne non hanno accesso al voto?

Imputando agli stati la responsabilità dei reati commessi da attori non statali ci si propone di provocare un mutamento nel comportamento degli stati, di sollecitare l’intervento degli stati (ad esempio, indagare sulle proteste per test discriminatori di gravidanza o di sieropositività imposti dai datori di lavoro) o di avviare un programma di azione per una prevenzione più efficace dei reati, ad esempio con corsi di formazione per i giudici riguardo all’interrogatorio dei testimoni e alle forme di violenza sessiste. Nel gergo dei diritti umani internazionali, si parla di “obblighi positivi (positive obligations)”.

Ad esempio, nel caso di incapacità costante dei governi a indagare i casi di violenza domestica con morti “accidentali” di giovani donne appena sposate la cui dote è stata ritenuta troppo modesta, l’obiettivo non è di sostituire un colpevole a un altro (cioè, portare sul banco degli accusati lo stato dell’India, invece del marito e della suocera). Si tratta invece di “dare efficacia a un diritto” – nella fattispecie, il diritto alla sopravvivenza e alla integrità fisica, alla tutela imparziale da parte della legge, e alla libertà dalla paura – costruendo meccanismi di tutela, in particolare di prevenzione (istruzione, interventi di polizia limitati secondo la legge, etc.) come pure d’indagine, accusa in tribunale, giusta punizione e indennizzo. Dichiarare illegale il reato originario che fa scattare la responsabilità dello stato, e mettere in piedi un sistema che dichiari responsabile la persona all’origine del reato stesso (facendo rientrare lo stupro coniugale e la violenza fra le pareti domestiche nell’ambito del codice penale, e inquadrando le discriminazioni in materia di assistenza sanitaria, di alloggi o posti di lavoro chiaramente penalizzanti nelle fattispecie giuridiche più confacenti) fa parte degli obblighi dello stato nella sfera della tutela dei diritti umani.
Per una piena comprensione e adeguata risposta ai reati è necessario anche considerare in che modo il genere interagisce con altri aspetti della identità e con la relazione delle donne con la loro comunità – colore della pelle, età, classe sociale, etnia, identità sessuale (che può comprendere anche l’orientamento sessuale), nazionalità o status di migrante o di rifugiata, ed anche le condizioni sanitarie. Sono molti gli aspetti dell’identità che possono essere oggetto di discriminazione, e il diritto internazionale dei diritti umani ha cominciato a prendere sul serio l’obbligo di esaminare attentamente le loro modalità operative , perché la dinamica della discriminazione incrociata può agire in molti modi diversi, per cui è necessario disporre sia di dati disaggregati in maniera attendibile che di valide analisi. Per comprendere i diritti umani, è di vitale importanza comprendere in che modo i molti tipi di pregiudizio e di intolleranza possono sovrapporsi e rapportarsi a vicenda. Gli obblighi fondamentali dello stato in base ai trattati sui diritti umani di “rispettare, tutelare e realizzare i diritti” coprono tutti i tipi di azioni discriminatorie e di stereotipi culturali – concernenti la razza, il genere, la povertà e l’età – che rendono più probabile il verificarsi di tali azioni.

Un’attenzione specifica per la discriminazione di genere è anche utile a descrivere la portata e la natura della responsabilità statuale di rispondere ad altre forme di prassi discriminatorie. La differenza di genere è presente in tutte le sfere della vita – in famiglia, sul posto di lavoro, al mercato, nella vita pubblica. La consapevolezza delle interrelazioni fra vita pubblica e vita privata è essenziale per comprendere quali misure debba attuare lo stato nei confronti degli attori non statali per garantire a donne e uomini, senza discriminazione alcuna, la gamma completa dei loro diritti.

Infine, tutta la struttura della responsabilità statale richiede un’analisi di genere, altrimenti sarà inevitabilmente poco efficace nel porre fine alle violazioni dei diritti delle donne, in quanto non saprà attuare le misure concrete e specifiche necessarie per affrontare alla radice le cause e i danni legati all’appartenenza di genere.

Un’analisi basata sulla differenza di genere
Ai fini di un’analisi e redazione di rapporti che tengano contro della differenza di genere, occorre esaminare in che modo il genere di appartenenza – i ruoli di uomini e donne così come si articolano nel sociale, nella vita pubblica e privata – incide sul godimento dei diritti umani. Tale analisi prende in considerazione (1) quali sono le condizioni che contribuiscono al verificarsi di violazioni dei diritti, (2) la natura delle violazioni e le forme che assumano, (3) le conseguenze che la violazione o la sua negazione hanno sulla vittima, e (4) la disponibilità e accessibilità di rimedi legali. Ad esempio, se una ragazza di un gruppo etnico di minoranza va in città per trovare lavoro come domestica a casa dei parenti, in che modo le aspettative “culturali” secondo cui le ragazze della sua età e della sua regione sarebbero passive e esenti da infezioni da HIV/AIDS contribuiranno ad aumentare la probabilità di aggressioni, e segnatamente di aggressioni sessuali? Per giunta, la situazione della ragazza rende quanto mai improbabile che si possa lamentare con lo zio che le dà lavoro, oppure che cerchi aiuto all’esterno, rivolgendosi ai vicini o alla polizia. La sua posizione precaria nella città può renderla riluttante a rivolgersi alle autorità, che verosimilmente per tutta risposta la rimanderebbero a casa dello zio.


7. Che cosa si può fare
Prendere coscienza della complessa rete di diritti che costituiscono il sistema dei diritti umani e che si applicano alle donne è il primo passo per far valere tali diritti. Il passo successivo consiste nell’assicurare che tali diritti vengano tradotti in realtà, a livello nazionale, nelle leggi, negli interventi politici, nella pratica e nello stanziamento delle risorse necessarie per la loro attuazione.

Sappiamo per amara esperienza che alla retorica sui diritti umani delle donne assai raramente segue l’azione. Il vostro contributo può essere quello di costituire l’anello di collegamento e la spinta iniziale per cambiare le cose, in famiglia, nel mercato, nella comunità e nello stato. I consigli pratici che seguono sono soltanto una minima parte di quanto è possibile fare per assicurare i diritti umani delle donne. Per altre idee d’intervento e per un approfondimento su questi problemi, si rimanda alla breve bibliografia riportata in calce al testo.

• Accertate quali trattati sui diritti umani sono stati ratificati dal vostro governo, e quando questi è tenuto a presentare un rapporto sulla attuazione di tali trattati. Per informazioni sui trattati ratificati dal vostro governo e le scadenze previste per i rapporti di aggiornamento, rivolgetevi al sito Internet dell’Ufficio dell’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani:
http://www.unhchr.ch/

• Procuratevi copie dei rapporti presentati dal vostro governo agli organi di controllo sull’applicazione dei trattati e verificate se in essi si parla, oppure no, dell’attuazione di quei diritti riguardo alle donne, segnatamente per quanto concerne la responsabilità dello stato per reati commessi da attori non statali. Scrivete un rapporto “ombra” che integri un punto di vista di genere e segnali eventuali défaillances nell’attuazione dei diritti. Presentate tale rapporto al vostro governo e all’organo di controllo in questione. Per ulteriori consigli per la elaborazione di rapporti alternativi, visitate il sito UNIFEM:
http://www.unifem.undp.org/index.htm e il sito IWRAW: http://www.igc.org/iwraw/ngo/samples/

• Fate campagna per sollecitare il vostro governo a ratificare tutti i trattati sui diritti umani, e sfruttate l’occasione per collaborare con altre organizzazioni non governative per assicurare che nell’attuazione dei diritti umani da parte dello stato venga integrato un punto di vista di genere. Inoltre, sollecitate il vostro governo a ritirare qualsiasi riserva abbia posto ai trattati che ha ratificato.

• Se il vostro governo ha ratificato la Convenzione delle donne, mobilitatevi perché ratifichi anche il suo Protocollo aggiuntivo.

Protocollo aggiuntivo della CEDAW (Optional Protocol della CEDAW)
Il recente Protocollo aggiuntivo della CEDAW prevede fra l’altro un rafforzamento della responsabilità dello stato per i reati commessi da attori non statali. Questo meccanismo di denuncia, adottato dall’Assemblea generale dell’Onu nell’ottobre 1999, consente alle donne di presentare un esposto su presunte violazioni dei loro diritti in base alla Convenzione, ed in particolare denunciare che lo stato è venuto meno al suo dovere di agire per tutelarle da tali abusi. Il Comitato esamina gli esposti, e i suoi pareri – le risposte che fornisce dopo aver raccolto informazioni sia dallo stato in questione che da altre fonti – applicheranno la dottrina della responsabilità dello stato, rifacendosi in parte al criterio della debita diligenza, e ciò può cambiare enormemente le cose nella vita delle donne.

• Fate campagna affinché il vostro governo firmi e ratifichi lo Statuto della Corte penale internazionale (ICC), e affinché vengano adottate a livello nazionale leggi che consentano di portare in giudizio le persone che hanno perpetrato crimini in base al diritto internazionale, con particolare riferimento ai crimini legati alla differenza di genere.
• Studiate le vostre leggi nazionali, onde accertare che siano conformi con la responsabilità dello stato di “rispettare, tutelare e realizzare” i diritti, con particolare riferimento ai reati commessi da attori non statali.
• Esaminate l’operato del vostro governo nel tener fede agli impegni previsti nella Piattaforma d’azione di Pechino, in particolare i piani di azione nazionali, e valutate il loro processo di attuazione.
• Impegnatevi affinché il vostro governo, dando seguito alle raccomandazioni e dichiarazioni delle Conferenze mondiali, ed in particolare alla Conferenza mondiale sul razzismo del 2001, riconosca in maniera adeguata la discriminazione incrociata legata al genere di appartenenza e ad altri fattori di discriminazione.