La lotta contro la violenza domestica: gli obblighi dello stato*

di Radhika Coomaraswamy
Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla Violenza contro le donne



La violenza domestica, che venga commessa dai cittadini o dallo Stato, costituisce una violazione dei diritti dell'uomo. Gli Stati hanno il dovere di fare in modo che coloro che ne sono responsabili non rimangano impuniti. Spesso, in seguito alla politica degli Stati o alla mancanza di azione da parte loro, la violenza in ambito domestico viene di fatto condonata. In base alla normativa internazionale dei diritti dell'uomo, gli Stati hanno un duplice dovere: non solo devono astenersi dal commettere violazioni dei diritti dell'uomo, ma hanno anche l'obbligo di prevenirle e dare una risposta efficace alle violenze.

In passato, la tutela dei diritti dell'uomo era interpretata in senso restrittivo, e la mancanza di iniziativa da parte di uno Stato nel prevenire e punire le violazioni non veniva considerata come una omissione del suo dovere di tutela. Oggi, il concetto di responsabilità dello Stato ha subito una evoluzione: si ritiene che agli Stati incomba anche l'obbligo di adottare misure preventive e punitive a fronte di violazioni dei diritti ad opera di privati cittadini.

 

LA NORMATIVA GIURIDICA INTERNAZIONALE

Nel trattare del problema della violenza contro le donne da parte di privati, è necessario tenere presenti tre dottrine, elaborate da studiosi e attivisti dei diritti dell'uomo. La prima è che gli Stati hanno la responsabilità di esercitare la debita diligenza nel prevenire, indagare e punire le violazioni del diritto internazionale, pagando un equo risarcimento alle vittime.

Debita diligenza

Nel 1992, il Comitato per la Eliminazione della Discriminazione contro le Donne ha adottato la Raccomandazione Generale numero 19, nella quale confermava che la violenza contro le donne costituisce una violazione dei diritti umani e sottolineava che " Gli Stati possono essere responsabili anche degli atti commessi dai privati, se vengono meno al loro dovere di debita diligenza nel prevenire le violazioni o nell'indagare e punire gli atti di violenza, ed hanno la responsabilità di pagare un risarcimento alle vittime.1

Il Comitato ha emanato delle raccomandazioni sulle misure che gli Stati devono adottare per mettere in atto una efficace protezione delle donne contro la violenza nei confronti del loro sesso, che comprende:

1) misure legali efficaci, comprendenti sanzioni penali, azioni giudiziarie civili e disposizioni di risarcimento, per proteggere le donne da tutti i tipi di violenza, inclusa, tra le altre,la violenza e i maltrattamenti nell'ambito della famiglia, le aggressioni sessuali e le molestie sessuali sul lavoro;

2) misure di prevenzione, comprendenti programmi di informazione e di educazione pubblica miranti a modificare la concezione dei ruoli e della relativa posizione di uomini e donne;

3) misure di protezione, comprendenti l'istituzione di centri di accoglienza, assistenza psicologica, azioni di riabilitazione e servizi di sostegno per le donne che hanno subito violenze o che corrono il rischio di subirne.

Anche la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla Eliminazione della Violenza Contro le Donne invita gli Stati a " mettere in atto con tutti i mezzi adeguati e senza ritardi una politica di eliminazione della violenza contro le donne" ed inoltre, " ad esercitare la debita diligenza nel prevenire, indagare e punire ai sensi della legislazione nazionale gli atti di violenza contro le donne, siano essi compiuti dallo Stato o dai privati".2

Il concetto di debita diligenza ha subito una evoluzione grazie alla sentenza della Corte Inter-Americana dei Diritti dell'Uomo in merito al caso Velasquez Rodriguez. La Corte ha imposto al governo " di adottare ragionevoli misure per prevenire le violazioni dei diritti dell'uomo e di fare uso dei mezzi a sua disposizione per condurre una approfondita indagine sulle violazioni compiute all'interno di questa giurisdizione, individuando i responsabili, infliggendo le pene adeguate e assicurando un adeguato risarcimento alla vittima".3

Quindi, l'esistenza di un sistema giuridico che criminalizza e commina pene per le aggressioni domestiche non viene considerata sufficiente di per sé; si attribuisce allo Stato il dovere di svolgere il proprio compito "assicurandosi effettivamente" che i casi di violenza nella famiglia vengano effettivamente investigati e puniti.4

Parità di tutela della legge

Questa seconda dottrina è collegata al concetto di ugualianza e di parità del diritto alla tutela. Se può essere dimostrato che l'applicazione della legge risulta in una discriminazione nei confronti delle vittime nei casi di violenza contro le donne, allora lo Stato può essere ritenuto responsabile di violazione delle norme di parità dei diritti dell'uomo internazionali.

La Convenzione sulla Eliminazione di Ogni Forma di Discriminazione Contro le Donne, nell'articolo 2, impone agli Stati firmatari di "attuare con ogni mezzo adeguato e senza ritardi una politica volta all'eliminazione della discriminazione contro le donne". Ciò comprende il dovere di "astenersi da ogni atto o pratica discriminatoria contro le donne e di assicurare che le autorità e le istituzioni pubbliche agiscano in conformità con quest'obbligo" e " di adottare tutte le misure adeguate, anche legislative, per modificare o abrogare leggi, regolamenti, consuetudini e pratiche esistenti che abbiano carattere discriminatorio nei confronti delle donne".

Equivalenza tra violenza domestica e tortura

In questa terza dottrina si riconosce una scuola di pensiero che sostiene che la violenza domestica è una forma di tortura e come tale deve essere trattata. L'argomentazione è che a seconda della gravità e delle circostanze che mettono in gioco la responsabilità dello Stato, la violenza domestica può configurarsi come tortura o trattamento crudele, disumano e degradante, ai sensi dell'Intesa Internazionale sui diritti Civili e Politici, e della Convenzione Contro la Tortura ed Altri Trattamenti o Punizioni Crudeli, Disumani o Degradanti.

Si sostiene che la violenza domestica presenta le quattro caratteristiche fondamentali che qualificano la tortura: (a)provoca grave dolore fisico o mentale, (b) viene inflitta intenzionalmente, (c) per fini specifici e (d) ha una qualche forma di implicazione ufficiale, sia essa attiva o passiva.

I sostenitori di questo punto di vista chiedono che la violenza domestica venga considerata e trattata come una forma di tortura e, nei casi meno gravi, come maltrattamento. Questa posizione merita di essere presa in considerazione da parte dei relatori e dagli organi dell'Intesa che indagano sulle violazioni, magari approfondendone l'esame insieme agli esperti e ai giuristi delle ONG.

MODALITÀ DELLA LOTTA ALLA VIOLENZA DOMESTICA

Oggi, molti Stati riconoscono l'importanza di proteggere la vittima dalle vessazioni e di punire il responsabile. Uno dei principali interrogativi che si pongono ai riformatori della legislazione è se "criminalizzare" le percosse alla moglie. C'è il fatto che la violenza domestica è un delitto che si verifica tra persone legate da un rapporto di intimità. Il problema dell'intimità, cioè se il malmenare la moglie deve essere considerato alla stregua di un reato ordinario oppure se non sia invece necessario dare maggiore preminenza all'intervento basato sull'assistenza e sulla mediazione, costituisce un grande dilemma per i responsabili politici.

Criminalizzazione

I sostenitori dell'approccio penale mettono l'accento sulla forza simbolica della legge e affermano che l'arresto, l'imputazione e la pena di detenzione esprimono una chiara condanna, da parte della società, della condotta dell'aggressore e permettono di metterne in risalto la responsabilità personale. Una ricerca svolta dal Dipartimento di Polizia di Minneapolis ha rilevato che il 19 per cento degli aggressori con i quali si era seguita la via della mediazione e il 24 per cento di quelli che avevano ricevuto l'ordine di lasciare il domicilio coniugale, in seguito hanno ripetuto l'aggressione; mentre solamente il 10 per cento di coloro che erano stati arrestati è stato poi recidivo.5 Comunque, è essenziale che chi prende le decisioni politiche in questo settore tenga conto delle realtà culturali, economiche e politiche del paese. Una politica che non riconosca la natura individuale di questi reati e che non venga accompagnata dal tentativo di fornire assistenza alle vittime e agli aggressori è destinata a fallire.

Legislazione

La legislazione sulla violenza domestica è un fenomeno moderno. Si diffonde la convinzione che debbano essere scritte leggi apposite, contenenti tutele e procedure speciali. Il primo problema che si pone dal punto di vista legislativo è come perseguire gli aggressori delle proprie mogli quando queste, sottoposte a pressione, dichiarano poi di voler ritirare la denuncia nei confronti del marito. In risposta a questo problema, in alcuni paesi la polizia e i magistrati hanno istruzione di procedere con l'imputazione anche nel caso in cui la donna affermi di voler ritirare la denuncia".6 Inoltre, dato che la donna deve fare da teste principale, in alcune giurisdizioni sono state adottate legislazioni che prevedono la possibilità di obbligare la donna a testimoniare, con l'eccezione di alcune situazioni. Altri Paesi, come gli Stati Uniti, si muovono verso il sostegno al diritto alla difesa. Diversi paesi applicano anche tipi di azione giudiziaria a carattere intermedio tra il civile e il penale. I più importanti di questi sono le ordinannze di "protezione" o di "vincolo comportamentale". Si tratta di una procedura nella quale in seguito alla denuncia di un episodio di violenza un magistrato o un giudice ingiunge all'aggressore di rispettare la pace in casa, "vincolandolo" ad un comportamento corretto. Questo sistema, che può rappresentare una risposta adeguata alla situazione di alcune donne, prevede un grado della prova inferiore rispetto a quello della procedura penale normale, e l'ordinanza del tribunale può essere ottenuta anche solo in base alla plausibilità della denuncia. Il mancato rispetto dell'ordinanza di protezione costituisce un reato, e la polizia può intervenire arrestando senza mandato il responsabile.

Possono essere utilizzate anche le azioni giudiziarie del diritto civile, come un'ingiunzione usata a sostegno di una causa primaria, come un divorzio, un annullamento o una separazione legale. In alcune giurisdizioni sono state adottate leggi che permettono di fare a meno della richiesta dell'azione primaria, e consentono alla donna di chiedere un'azione ingiuntiva indipendentemente da ogni altra azione legale.7 Un altro tipo di azione giudiziaria utilizzabile in alcuni stati degli U.S.A. è l'azione in torto: la richiesta di risarcimento della vittima a carico del coniuge.8

Azione di polizia

Nella maggioranza delle giurisdizioni i poteri che ha la polizia di introdursi in una proprietà privata sono limitati. Nel contesto della violenza domestica questo può avere l'effetto di proteggere l'aggressore a spese della sua vittima. Alcune legislazioni consentono alla polizia di entrare su richiesta di una persona apparentemente residente nella proprietà, oppure quando l'agente di polizia ha ragione di ritenere che una persona che si trova nella proprietà viene aggredita o stia per esserlo.9 In molti casi di violenza domestica, l'immediato rilascio dietro cauzione dell'aggressore può rappresentare un serio pericolo per la vittima, e certamente rilasciare l'aggressore senza prima avvertire la vittima può avere gravi conseguenze per questa. Diverse giurisdizioni australiane cercano di mantenere un equilibrio tra gli interessi dell'aggressore e quelli della vittima, associando all'atto del rilascio dell'aggressore specifiche condizioni che mirano a proteggere la vittima.10

Servizi di formazione e di supporto della comunità

La maggioranza degli agenti di polizia, dei magistrati, dei giudici e dei medici aderisce ai valori tradizionali favorevoli alla famiglia come istituzione, e alla posizione dominante del partner di sesso maschile al suo interno. E' perciò necessario dare una formazione a coloro che devono far applicare la legge, ai legali e ai medici che vengono in contatto con le vittime, in modo che essi siano in grado di capire il problema della violenza nei rapporti tra i sessi, si rendano conto del trauma subito dalla vittima e sappiano come rilevare le prove necessarie per il procedimento penale. I medici e gli avvocati sono spesso restii a questo tipo di formazione e poco disposti ad imparare da qualcuno che non fa parte del loro ambito specialistico. Per migliorare l'efficacia sarebbe quindi utile puntare sul coinvolgimento di altri professionisti nei programmi di formazione.

La natura del delitto della violenza domestica richiede l'intervento della comunità per assistere e sostenere le vittime. Gli operatori delle comunità devono ricevere una formazione che li metta in grado di informare la vittima sulla legge e la sua applicazione, disponibilità di assistenza finanziaria e di altro tipo offerta dallo Stato, le procedure per ottenerla, eccetera. Gli operatori della comunità possono svolgere anche un altro importante ruolo denunciando la violenza, sensibilizzando alla problematica e indirizzando le vittime verso le corrette procedure di risarcimento.

Ogni intervento di assistenza per i casi di violenza domestica dovrebbe sempre comprendere anche l'assistenza psicologica, sia per la vittima che per l'aggressore. Programmi di questo tipo possono anche servire come soluzioni alternative rispetto ad una sentenza, soprattutto in quei casi in cui le donne preferiscono che il loro coniuge venga "aiutato", invece di essere punito. Per essere efficaci, queste metodologie devono utilizzare metodi sia formali che informali per l'educazione e la diffusione delle informazioni.

Collaborazione

La stragrande maggioranza dei governi non dispone delle conoscenze necessarie per elaborare e mettere in atto politiche contro la violenza domestica. Per questo motivo, bisogna costruire un rapporto di maggiore collaborazione tra governi e società civile, con l'obiettivo comune di combattere la violenza contro le donne.

La soluzione migliore è costituita da un modo di affrontare il tema che sia integrato e multidisciplinare, fondato sulla collaborazione tra avvocati, psicologi, operatori sociali, medici e altre figure interessate dal problema, per riuscire ad acquisire una comprensione globale di ogni singolo caso e delle esigenze della singola vittima. Ogni metodologia deve essere fondata sulla attenta considerazione del contesto della vita reale delle donne vittime della violenza, rendendosi conto della loro disperazione, della loro dipendenza, della limitatezza di possibilità, e della necessità che ne deriva di impadronirsi della propria vita. Lo scopo è quello di lavorare insieme alla vittima, per rafforzare la sua capacità di decidere del proprio futuro.

1. Comitato sulla Eliminazione della Violenza Contro le Donne, Undicesima Sessione, Raccomandazione Generale 19, Resoconto Ufficiale dell'Assemblea generale, Quarantasettesima sessione, Supplemento n.38 (A/47/38), Cap.1.

2. Assemblea Generale, Risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993, articolo 4

3. Caso Velasquez Rodriguez (Honduras), 4 Inter.Am.Ct.HR, SerC, n.4, 1988, par.174.

4. Ibid., par.167.

5. Minneapolis Domestic Violence Experiment.

6. "Affrontare la Violenza: Un Manuale di Azione per il Commonwealth", Programma Donne e Sviluppo, Gruppo di Sviluppo delle Risorse Umane, Secretariato del Commonwealth, Londra, giugno 1992.

7. Australia, Legge sulla Famiglia, 1975, sez. 114, 70 C; Hong kong, Ordinamento sulla Violenza Domestica, 1986; Legge sulle Cause Matrimoniali, 1989, sez. 10.

8. "Sviluppi nella legge- Risposte giuridiche alla violenza domestica", 106 Harvard Law Review, 1993, pag.1531.

9. Justices Act, 1959 (Tas) sez. 106F; Crimes Act 1900 (NSW), sez. 349A.

10. Bail Act 1978 (NSW), sez. 37; Bail Act 1980 (Qld); Bail Act 1985 (SA), sez 11.

*Tratto da Innocenti Digest n. 6, giugno 2000, "La violenza domestica contro le donne e le bambine", ed. Unicef-Centro di ricerca Innocenti, Firenze. Volume completo disponibile al sito www.unicef-icdc.org