Il Protocollo facoltativo, articolo per articolo1


I. Il Preambolo

Il preambolo rappresenta la parte introduttiva del Protocollo, e ne indica l'oggetto e le finalità. Esso cita pertanto i princìpi di uguaglianza e non discriminazione sanciti nella Carta dell'ONU, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed in altri testi internazionali in materia di diritti umani, fra i quali la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. In questo quadro, il preambolo ribadisce la determinazione degli stati parte che adottano il Protocollo a garantire l'esercizio pieno ed egualitario da parte delle donne di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali, e di intraprendere azioni efficaci per prevenire le violazioni di questi diritti e di queste libertà.

II. La procedura di denuncia (artt.1-7)

La procedura per la presentazione di denunce (dette "comunicazioni") è articolata in tre fasi. Nella prima fase, il Comitato valuta se la comunicazione risulta ricevibile e ammissibile. Se la risposta è positiva, il Comitato passa alla seconda fase, nella quale viene preso in considerazione il merito della comunicazione, e viene poi emesso un "parere" e le eventuali "raccomandazioni". Nella terza fase, infine, vengono attuate delle procedure di verifica nei confronti dello stato interessato.

Articolo 1. Competenza del Comitato
Questo articolo assegna al Comitato il potere di ricevere denunce e di esaminarne il contenuto.

Articoli 2-5. Prima fase della procedura di denuncia: giudizio di ricevibilità e ammissibilità delle denunce

L'articolo 2
prevede la possibilità di singole donne o gruppi di donne di presentare denunce ("comunicazioni") al Comitato. La denuncia può anche non essere presentata direttamente dalla/e interessata/e, ma da qualcuno che agisce a suo nome, purché con il consenso della persona o persone in questione; se non è stato espresso questo consenso, chi presenta la denuncia deve giustificare il perché.

L'articolo 3 stabilisce che una denuncia verrà preso in considerazione (e dunque considerata "ricevibile") solo se riguarda un paese che abbia sottoscritto il Protocollo, e se la comunicazione viene presentata in forma scritta e non anonima.

L'articolo 4 stabilisce quali sono i criteri perché una denuncia venga considerata ammissibile. In primo luogo, il Comitato deve verificare che siano stati tentati tutti i mezzi legali disponibili a livello nazionale per risolvere il problema. In secondo luogo, viene controllato che la denuncia in questione non sia stata già esaminata dal Comitato, o da un altro organismo internazionale che si occupa di indagini sulle violazioni dei diritti umani, o di risoluzione delle controversie, o che un'indagine di questo tipo non sia ancora in corso. Infine, perché una denuncia venga considerata ammissibile essa deve essere compatibile con le norme della Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne; non deve rappresentare un uso improprio del diritto a presentare denunce; deve essere accompagnata da elementi di prova delle accuse presentate; deve essere riferita a fatti che avvenuti dopo la ratifica del Protocollo da parte dello stato in questione.

L'articolo 5, infine, autorizza il Comitato, una volta ricevuta una denuncia e prima di decidere sui suoi contenuti, a richiedere con urgenza allo stato interessato di proteggere la presunta vittima (o le vittime) della violazione denunciata da eventuali danni irreparabili.


Articoli 6-7. Seconda fase della procedura di denuncia: esame dei suoi contenuti e trasmissione del parere e delle raccomandazioni del Comitato

L'articolo 6
stabilisce le procedure per trattare i contenuti della denuncia, dopo che essa è stata dichiarata ammissibile. Il Comitato, in forma riservata, informa della denuncia lo stato interessato, sempre che chi ha presentato la denuncia abbia consentito a rendere nota la propria identità. Allo stato in questione vengono poi dati sei mesi di tempo per fornire una risposta scritta alla denuncia, o una dichiarazione in merito.

L'articolo 7 definisce in che modo avviene la discussione della denuncia da parte del Comitato, e cioè a porte chiuse, e concludendo il lavoro con la produzione di un parere e eventualmente anche di raccomandazioni. Questi testi vengono poi trasmessi alle parti interessate; per quanto riguarda lo stato, esso ha a disposizione sei mesi per esaminare il parere del Comitato e fornire una risposta scritta, che deve anche illustrare che cosa è stato fatto per risolvere il problema. Se del caso, il Comitato può anche richiedere informazioni ulteriori, ad esempio in occasione del successivo rapporto sull'applicazione della Convenzione CEDAW, che ogni stato contraente della Convenzione è tenuto a presentare periodicamente al Comitato, ogni quattro anni.


III. La procedura d'indagine (artt.8-10)

La procedura d'indagine consente al Comitato di avviare di propria iniziativa, anche in assenza di denunce, un'indagine sui casi di violazione particolarmente gravi. La procedura prevista dall'articolo 8 è costruita secondo il modello di indagine delineato all'articolo 20 della Convenzione internazionale contro la tortura, e consente di mettere in luce la natura sistematica di violazioni dei diritti delle donne che abbiano carattere diffuso, il che non emergerebbe se il Comitato si limitasse solo ad un esame delle denunce individuali. Oltre a ciò, essa consente al Comitato di indagare anche nei casi in cui le singole donne o gruppi di donne non siano in grado di presentare denuncia in prima persona (per motivi pratici o per timore di rappresaglie). In particolare:

L'articolo 8 fissa le condizioni e le modalità in cui deve avvenire la procedura di indagine. Quanto alle condizioni, l'indagine deve basarsi su informazioni attendibili, e le violazioni di cui si occupa devono essere gravi o sistematiche, effettuate da uno stato che ha sottoscritto il Protocollo, e relative ai diritti sanciti dalla Convenzione CEDAW. Il modo di condurre le indagini deve essere per via riservata, e può prevedere, se le condizioni lo giustificano e se lo stato interessato dà il suo consenso, una visita sul luogo. I risultati dell'indagine, insieme ai commenti o raccomandazioni del Comitato, devono essere trasmessi allo stato interessato, che può presentare la sua risposta entro sei mesi.

L'articolo 9 prevede una procedura di ulteriore verifica al termine dei sei mesi, trascorsi i quali il Comitato può richiedere allo stato di comunicare che cosa ha fatto per risolvere il problema o i problemi di cui trattava l'indagine, eventualmente nel contesto del rapporto periodico che ogni stato è tenuto a presentare ogni quattro anni, sull'applicazione nel proprio territorio della Convenzione CEDAW.

L'articolo 10, infine, prevede la possibilità per uno stato di dichiarare il cosiddetto "opting out", cioè di sottoscrivere il Protocollo ma rifiutare i due articoli, 8 e 9, che istituiscono la procedura di indagine. In questo caso il Comitato potrebbe occuparsi dello stato in questione solo a seguito di denunce, e non di propria iniziativa. La dichiarazione prevista dall'articolo 10 può tuttavia essere ritirata in qualsiasi momento.


III. Norme di tipo amministrativo e regolamentare (Articoli 11-21)

Articolo 11
Richiede che gli stati proteggano dalle vessazioni o dalle minacce le persone che presentano una denuncia al Comitato.

Articolo 12
Si riferisce all'articolo 21 della Convenzione CEDAW, secondo il quale il Comitato deve presentare rapporti annuali all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e prevede che in questi rapporti venga compresa una sintesi delle attività del Comitato relative all'applicazione del Protocollo.

Articolo 13
Chiede agli stati di impegnarsi a far conoscere sia la Convenzione CEDAW che il Protocollo, e anche i pareri e le raccomandazioni espressi dal Comitato.

Articolo 14
Richiede al Comitato di elaborare un proprio regolamento su come gestire le denunce e le indagini previste dal Protocollo.

Articolo 15
Stabilisce quali sono gli stati che possono firmare, ratificare o aderire al Protocollo, e cioè tutti quelli che hanno firmato, ratificato o aderito alla Convenzione CEDAW.

Articolo 16
Stabilisce la data di entrata in vigore del Protocollo, e cioè tre mesi dopo la ratifica o adesione da parte di un minimo di dieci stati.

Articolo 17
Stabilisce che non è possibile per gli stati che ratificano o aderiscono al Protocollo presentare delle riserve, cioè limitare la portata della propria adesione al testo, o a parte di esso.

Articolo 18
Stabilisce le procedure che gli stati devono seguire per modificare il Protocollo, e cioè: inviare i propri emendamenti al Segretario Generale delle Nazioni Unite, che poi li trasmette a tutti gli stati parte del Protocollo. Se almeno un terzo di questi ultimi lo richiede, gli emendamenti presentati possono essere discussi e votati da un'apposita conferenza. Se approvati, prima di entrare in vigore dovranno comunque essere votati dall'Assemblea Generale dell'ONU, con una maggioranza dei due terzi. Infine, anche gli emendamenti approvati saranno vincolanti solo per gli stati che li hanno accettati.

Articolo 19
Prevede la possibilità che uno stato ritiri la propria partecipazione al Protocollo, ma chiarisce che questa decisione non incide sulle denunce che lo riguardano e che siano state presentate prima della data in cui questa decisione è stata comunicata, con notifica scritta, al Segretario Generale dell'ONU.

Articolo 20
Stabilisce il dovere del Segretario Generale delle Nazioni Unite di informare tutti gli stati a proposito degli sviluppi del Protocollo, e cioè: firme, ratifiche, adesioni, data di entrata in vigore, emendamenti, stati che ritirano la propria adesione.

Articolo 21
Prevede che il testo del Protocollo venga depositato negli archivi delle Nazioni Unite, in tutte le lingue ufficiali dell'Organizzazione (arabo, cinese, francese, inglese, russo e spagnolo), e inviato a tutti gli stati dal Segretario Generale.


1 Tratto da sito ONU: www.un.org/womenwatch [TORNA]