Linee guida per l'uso del Protocollo facoltativo CEDAW1



1. Chi può presentare una denuncia al Comitato CEDAW?
L'articolo 2 del Protocollo facoltativo chiarisce che le denunce (o "comunicazioni") al Comitato possono essere presentate da persone o gruppi di persone, le quali si ritengano vittime di una violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione CEDAW.
A presentare la denuncia può anche essere un altro soggetto, che agisce a nome e per conto della o delle persone interessate. Il Protocollo non pone limitazioni su chi possa essere questo altro soggetto2; si afferma semplicemente che chi presenta la denuncia deve avere il consenso della vittima, o essere in grado di spiegare perché tale consenso non è stato ottenuto.


2. Contro chi può essere presentata la denuncia?
Le denunce possono essere rivolte solo contro stati che abbiano ratificato sia la Convenzione CEDAW che il Protocollo facoltativo 3.
Non sono possibili denunce contro privati cittadini, né contro enti privati o istituzioni non identificabili con lo stato. Lo stato, però, può essere denunciato per il mancato intervento preventivo o correttivo nei confronti di azioni o omissioni anche da parte di soggetti non statali, cioè di privati. La Convenzione CEDAW, infatti, impone agli stati di garantire alle donne non solo i diritti formali, ma il loro effettivo esercizio, adottando tutte le misure a ciò necessarie.4


3. Quando va presentata la denuncia? Quando devono essersi verificati i fatti a cui è riferita?
Il Protocollo non pone limiti di tempo per la presentazione delle denunce, ma chiarisce che esse devono essere riferite a fatti avvenuti dopo l'entrata in vigore del Protocollo per lo stato in questione. Come chiarito all'art.16, questo significa tre mesi dopo la data di ratifica. Nel caso degli stati che hanno ratificato per primi, l'entrata in vigore coincide con quella ufficiale del Protocollo in quanto tale, e cioè tre mesi dopo la ratifica da parte del decimo stato.5
Se la violazione dei diritti umani che si intende denunciare è ancora in corso, ma ha avuto inizio prima dell'entrata in vigore del Protocollo per quel paese, la denuncia è comunque possibile, ma l'esame del Comitato si riferirà solo a quella parte dei fatti che si sono verificati dopo la data di entrata in vigore.


4. Dove deve essersi verificata la violazione denunciata?
Uno stato può essere ritenuto responsabile solo di violazioni che si sono verificate nell'ambito della sua giurisdizione, il che di norma significa all'interno del territorio di quello stato.


5. Quale tipo di violazioni dei diritti umani delle donne possono essere denunciate al Comitato CEDAW?
Secondo gli articoli 2 e 9 del Protocollo, il Comitato CEDAW può esaminare denunce, o avviare indagini, solo relative a violazioni di diritti sanciti dalla Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne.
Sono dunque esclusi i diritti non affermati esplicitamente dalla Convenzione: grazie alle Raccomandazioni Generali del Comitato, però, l'interpretazione delle sfere di intervento coperte dalla Convenzione CEDAW è molto ampia. Per quanto riguarda la violenza contro le donne, la cosiddetta "violenza in base al sesso", nella Raccomandazione Generale n.19, del 1992, si afferma che essa rientra pienamente nel concetto di discriminazione contro le donne definito dall'art.1 della Convenzione.6


6. Come garantire che una denuncia non venga respinta dal Comitato?
Quando il Comitato riceve una denuncia, deve in primo luogo valutare se essa risponde ai requisiti formali, e cioè: se la denuncia è presentata in forma scritta, e se identifica chiaramente sia la vittima o le vittime che eventualmente la persona o le persone che presentano la denuncia, nel caso di denunce presentate "a nome e per conto di".

In secondo luogo, il Comitato deve verificare se sono state esperite tutte le vie legali di riparazione a livello nazionale.
Questo requisito corrisponde ad una regola generale del diritto internazionale, sulla cosiddetta "sussidiarietà" degli strumenti di protezione internazionale dei diritti umani. In altre parole, il principio è che sono gli stati nazionali, e le istituzioni che ad essi fanno riferimento, a doversi far carico della responsabilità principale di prevenire o porre rimedio alle violazioni che avvengono nel loro territorio. Solo dopo essersi rivolta alle autorità nazionali, e aver tentato tutte le vie disponibili senza ottenere risultati, la vittima di una violazione può rivolgersi alle strutture internazionali.

A questa regola generale sono previste due eccezioni, che giustificano l'esame della denuncia anche se tutti i procedimenti nazionali non sono stati completati:

• Quando questi procedimenti nazionali risultano irragionevolmente prolungati
• Quando è improbabile che essi conducano ad una riparazione efficace.

In entrambi i casi, non vengono fornite ulteriori precisazioni: spetterà dunque al Comitato esercitare la propria discrezionalità. Di norma, il criterio di scarsa efficacia potrebbe essere applicato ai casi in cui i meccanismi giudiziari esistenti sono di difficile applicazione, non hanno il potere di costringere le autorità a rispettare i propri obblighi, risultano pericolosi per le parti in causa, o non vengono applicati in modo imparziale.


7. In quali casi una denuncia viene considerata inammissibile?
Una denuncia viene considerata inammissibile, e dunque respinta dal Comitato, quando:

La stessa materia è stata già esaminata dal Comitato stesso, o da un altro organismo internazionale. Il motivo di questa clausola è la volontà di evitare duplicazioni. Chi vuole denunciare una violazione deve quindi valutare con attenzione se essa rientra prioritariamente nell'ambito della Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, o se può essere riferita con più efficacia ad altri trattati, e dunque ad altri comitati, come quello sui diritti umani, sulla tortura, sulle discriminazioni razziali, ecc.
La denuncia è incompatibile con le norme della Convenzione CEDAW. Se i diritti violati non sono trattati dalla Convenzione, il Comitato non potrà occuparsene, ed è dunque più opportuno, come spiegato in precedenza, rivolgersi ad un organismo diverso, e più competente in materia.
La denuncia è manifestamente infondata o non suffragata da elementi di prova sufficienti. E' necessario dunque che le denunce siano ampie, circostanziate, e accompagnate da tutti gli elementi di prova che possano dimostrare le violazioni denunciate.
La denuncia rappresenta un abuso del diritto di petizione. L'applicazione di questa norma verrà valutata caso per caso, ma può essere riferita, ad esempio, ai casi di denunce che contengano informazioni palesemente false.


8. Se si vuole denunciare una violazione dei diritti sanciti dalla Convenzione CEDAW, ma il caso non rientra in quelli trattati dal Protocollo, esistono altre opzioni?7
Oltre alle iniziative nazionali, che chiaramente non rientrano nell'ambito di questo testo, le opzioni possibili a livello delle Nazioni Unite sono:

se uno stato ha ratificato la Convenzione CEDAW ma non il Protocollo, un modo per denunciare le eventuali violazioni da esso commesse è scrivere al Comitato, e chiedere che esso intervenga in occasione della presentazione da parte di quello stato del suo rapporto periodico8. E' eventualmente possibile, nella stessa occasione, inviare al Comitato un "Rapporto ombra", ad esempio compilato da associazioni impegnate per i diritti delle donne, e chiedere che esso venga tenuto presente nel corso del dibattito relativo al rapporto periodico presentato. Il dibattito in questione è pubblico, ed i suoi contenuti e risultati vengono pubblicati dall'ONU e inseriti sul web. Tuttavia i contributi inviati dalla società civile (sia del paese interessato che eventualmente di altri paesi) hanno carattere informale e, a differenza di quanto previsto dal Protocollo facoltativo, non esistono procedure ufficiali che ne garantiscano l'esame.
se il paese in questione non ha ratificato nemmeno la Convenzione, l'unica via percorribile sono le campagne di pressione politica, o per richiedere tale ratifica, o per far condannare tale paese da organismi ONU quali la Commissione sulla condizione delle donne, la Commissione diritti umani, l'Assemblea Generale9.



9. Lingue di lavoro
Tutte le comunicazioni con organismi ONU è opportuno avvengano nelle lingue ufficiali dell'organizzazione, e cioè: arabo, cinese, francese, inglese, russo e spagnolo.



1 Tratto da: Optional Protocol. CEDAW, Inter-American Institute of Human Rights e UNIFEM, San Jose, ottobre 2000, pp. 134-139.

2 La questione è controversa. Vedi nota 4 al Capitolo V.

3 Per una lista degli stati in questione, vedi sito web: www.un.org/womenwatch.

4 Art. 3. Per la sua intepretazione, vedi al capitolo II.

5 Nel caso dell'Italia, le due date coincidono, in quanto come si è detto è stato proprio il nostro paese a fornire la decima ratifica del Protocollo, il 22 dicembre 2000, consentendone così l'entrata in vigore.

6 Paragrafo 6: La Convenzione allart.1 definisce la discriminazione contro le donne. La definizione di discriminazione è comprensiva della violenza in base al sesso, cioé della violenza diretta contro una donna in ragione del suo essere donna, o del tipo di violenza che colpisce in misura massiccia le donne....

7 footnote * Questi ultimi due paragrafi sono redazionali.

8 Vedi capitolo IV

9 Vedi Capitolo II