I diritti sanciti dalla Convenzione di Ginevra



È rifugiato colui che, temendo a ragione d'essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trovi fuori del paese di cui è cittadino e non possa, o non voglia, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo; oppure colui che, non avendo una cittadinanza e trovandosi fuori del paese in cui aveva la residenza abituale, non possa o non voglia tornarvi per il timore di cui sopra (art. 1, Convenzione di Ginevra).
La Convenzione sullo status giuridico dei rifugiati, adottata a Ginevra dall'apposita Conferenza dell'ONU il 28 luglio 1951, stabilisce la definizione di rifugiato, determina i diritti e gli obblighi inerenti a tale status e costituisce attualmente lo strumento più importante per la protezione internazionale dei rifugiati, in quanto vincolante per gli Stati che vi hanno aderito (ben 128). Essa infatti assicura ad esso diritti economici, sociali, culturali e civili, elimina le difficoltà di ordine amministrativo e giuridico a cui il rifugiato, se non protetto, sarebbe esposto in quanto straniero, regolamenta la concessione dei documenti di viaggio e di identità e protegge contro l'espulsione e il respingimento ('refoulement') alla frontiera.
L'intensità della protezione varia a seconda del diritto preso in considerazione:
1. Il rifugiato è trattato come un cittadino dello Stato che lo ospita per ciò che concerne la libertà di religione, l'assistenza giudiziaria e l'accesso ai tribunali, il lavoro e la sicurezza sociale (con alcune restrizioni);
2. Gode del migliore trattamento riservato a cittadini di altri Stati in ragione di speciali accordi stipulati tra paese ospitante e paesi stranieri, per ciò che riguarda il diritto di associazione per fini non politici e di affiliazione ai sindacati;
3. Deve usufruire del trattamento minimo accordabile, cioè quello riservato agli stranieri in generale, in tema di diritto alla proprietà, al lavoro autonomo, ad un alloggio.
Si deve sottolineare che la Convenzione stabilisce una serie di diritti basilari, minimi, per il rifugiato, ma niente vieta che gli si applichi un trattamento più favorevole: la stessa Convenzione afferma che è fatta salva l'applicazione di regimi più favorevoli.
Alcuni aspetti di tale regime meritano di essere approfonditi:
• l'art. 8 stabilisce che il rifugiato non potrà essere sottoposto a misure eccezionali restrittive della libertà solo perché formalmente possiede ancora la nazionalità del paese da cui è scappato, quando sia evidente a tutti che non c'è più nessun legame fra il rifugiato e il suo paese e che provvedimenti restrittivi di questo tipo sono profondamente ingiusti. Ma nella Convenzione viene precisato che in caso di guerra o di circostanze gravi ed eccezionali il richiedente asilo può essere sottoposto a misure indispensabili per garantire la sicurezza nazionale, in attesa che venga accertato il suo status;
• la perdita dei legami col proprio paese è testimoniata anche dalla norma (art. 12) che stabilisce che lo status personale (stato civile, residenza, ecc.) del rifugiato è regolato dalle leggi dello Stato in cui risiede e non da quelle dello Stato di cui ha la cittadinanza formale, con il quale non ha più rapporti di nessun tipo;
• il rifugiato, inoltre, non ha più l'assistenza amministrativa del paese d'origine per la concessione di documenti, certificati e altri adempimenti amministrativi: allora la Convenzione stabilisce, per aiutarlo, che tale assistenza deve essere data o da un organismo internazionale o da uno dello Stato di accoglimento (art. 25). In tale ottica si stabilisce anche che lo Stato deve fornire al rifugiato un documento di identità, se ne è sprovvisto, e un documento di viaggio riconosciuto anche all'estero come prova del suo status di rifugiato;
• per ciò che riguarda i problemi legati all'ingresso nel paese d'asilo la Convenzione dispone che il soggetto che entra irregolarmente in tale paese, se proviene direttamente dal paese da cui è fuggito, non deve essere punito per tale irregolarità: ci si è resi conto infatti che spesso un perseguitato non ha possibilità di seguire le procedure formali di ingresso ed è costretto spesso a una fuga in clandestinità, nella quale si porta dietro solo la paura e la speranza di un aiuto.
Ancora, l'art. 32 vieta allo Stato in cui il rifugiato risiede di espellerlo, se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico, e così limita al massimo le possibilità di espulsione del rifugiato, in considerazione del fatto che un ritorno nel paese d'origine lo porrebbe in pericolo di essere perseguitato.
Infine, la Convenzione afferma l'importantissimo principio del "non-refoulement", cioè il divieto di respingere forzatamente un rifugiato verso le frontiere di uno Stato in cui la sua vita o libertà siano minacciate (art. 33). Esso riguarda sia il rifugiato già riconosciuto tale sia il semplice richiedente asilo e comprende non solo il divieto di respingere il soggetto già presente nel territorio dello Stato interessato, ma anche quello di rifiutare l'ingresso alla frontiera di chi non vi è ancora entrato. È un principio fondamentale perché garantisce al rifugiato una protezione temporanea e comunque la sicurezza di non essere respinto nel paese da cui è scappato; la sua importanza è confermata dal fatto che deve essere rispettato da tutti gli Stati, anche da quelli che non hanno sottoscritto la Convenzione, in quanto principio consuetudinario valido in tutta la comunità internazionale.

Tratto da Amnesty International