Nasce a Roma il Tribunale penale internazionale*

Il 18 luglio 1998, poco dopo le 16:30, in Campidoglio il ministro degli Esteri Lamberto Dini è stato il primo a firmare, per l'Italia, lo Statuto del Tribunale penale internazionale, un grande libro verde di 116 articoli che riassume gli impegni presi dalla Conferenza diplomatica di Roma in cinque settimane di lavori.

La Corte nata a Roma è la prima istituzione permanente dotata di giurisdizione mondiale per processare i crimini più atroci e, per questo, salutata a ragione come un traguardo senza precedenti nella storia della tutela dei diritti umani iniziata nel 1948 con la Dichiarazione universale dei diritti umani della quale, proprio quest'anno, si celebra il cinquantenario.

Il battesimo dell'Atto istitutivo della Corte (il nome con il quale passerà ai posteri è "Trattato di Roma") si è tenuto in quella stessa sala degli Orazi e Curiazi dove oltre quarant'anni fa, il 25 maggio del 1957, l'Europa muoveva i primi passi verso l'unità con la firma dei Trattati istitutivi della Comunità economica europea.

Padrino della cerimonia, raggiante e emozionato, il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, che ha definito il risultato di Roma "un momento storico, di grande speranza" ed "un passo gigantesco sulla via della Giustizia". Accanto a lui il canadese Philippe Kirsch, cui e' stato rivolto un applauso lunghissimo: un segno di riconoscimento per il suo efficace lavoro di mediazione tra le posizioni, troppo spesso così lontane, dei 156 paesi partecipanti alla Conferenza.

La gioia di questi momenti non ha fatto dimenticare l'amarezza per i sette voti contrari di altrettanti Paesi che non hanno votato lo Statuto del Tribunale. Ha bruciato e brucia soprattutto l'ostruzionismo degli Stati Uniti che non hanno ceduto di un millimetro dalla posizione espressa alla vigilia dei lavori.

Lo Statuto è stato infatti approvato - tra un susseguirsi di colpi di scena e il pericolo di uno slittamento "sine die" dovuto agli emendemamenti dell'ultima ora presentati dagli Stati Uniti - nella nottata tra il 17 e il 18 luglio con 120 voti a favore, 7 contrari (Usa, India, Cina, Israele, Turchia, Sri Lanka, Filippine) e 21 astenuti.

"Il negoziato è stato difficile talvolta anche aspro - ha sottolineato Dini - ma ci auguriamo e ci aspettiamo che la firma americana arriverà" nella convinzione che "una più meditata valutazione del modo di essere ed operare della Corte" induca ad un ripensamento entro "una scadenza non lontana". "Spero che la posizione americana non sia definitiva e mi dispiace che non sia stato possibile risolvere le differenze in questa sede", gli ha fatto eco Annan.

Il "Trattato di Roma" - firmato già da 31 Paesi - rimarrà in Campidoglio fino al 17 ottobre '98, per gli Stati che nel corso di questi mesi vorranno firmarlo. Poi andrà al Palazzo di Vetro, dove c'è tempo fino al 31 dicembre del 2000 per le altre adesioni.

 

Competenze, giurisdizione, crimini

L'entrata in vigore è prevista 60 giorni dopo che il sessantesimo Stato avrà depositato la propria ratifica da parte del Parlamento nazionale (preceduta dalla firma del libro verde) presso il segretariato generale dell'Onu.

Partiti da una bozza di Trattato (stilata dai comitati preparatori) con 116 articoli, suddivisi in 13 parti e oltre 1000 parentesi quadre (cioè quei passaggi controversi sui quali non s'è raggiunto un accordo e si tratta fino all'ultimo in sede deliberante) i 5000 delegati di 156 paesi e le 260 Organizzazioni non governative accreditate alla Conferenza di Roma hanno stabilito che il principale obiettivo del Tribunale penale internazionale sarà quello di "portare davanti alla giustizia coloro che hanno commesso i più gravi crimini di portata internazionale".

La Corte sarà "indipendente e forte" così come fortemente voluto fin dall'inizio dall'Onu e da una cinquantina di Paesi - meglio noti come "like-minded group" (paesi dall’orientamento affine) - tra i quali si è distinta per impegno ed entusiasmo l'Italia, che ha avuto tra i promotori la commissaria europea Emma Bonino.

Al fianco dell'Italia, gran parte dell'Europa, gli ex membri del Patto di Varsavia, molti Paesi africani, latinoamericani, asiatici e caraibici. Ma anche il Canada, l'Australia e la Nuova Zelanda. Contro di lei: Stati Uniti e Francia che si sono presentati alla Conferenza come i capofila di uno schieramento pro-Tribunale, ma per un Tribunale controllato dal Consiglio di Sicurezza.

Un'abile azione di pressing diplomatico sui francesi ha portato però ad una rapida inversione di rotta di Parigi (chiara già al terzo giorno dei lavori) che, fino all'ultimo, non solo ha lottato per un Tribunale credibile a livello internazionale, ma ha anche cercato di convincere gli Stati Uniti ad addivenire a un qualche compromesso. Fallito il tentativo, i veri sconfitti sono stati gli Usa. A loro, come agli altri che non hanno firmato il "Trattato di Roma" è diretta la clausola dell’"opting-in", in base alla quale potranno decidere di aderire in secondo tempo, entro la fine del Duemila.

Alleati importanti degli americani, dall'inizio, altri due membri del ‘direttorio’ delle Nazioni Unite: la Cina (che poi ha votato contro nella convinzione che la Corte costituisce una minaccia alla sua sovranità nazionale) e la Russia. Accanto a loro, un gruppo di Paesi intenzionato a dar battaglia per arrivare ad una Corte ancora più debole, o se possibile a rimandare l'impresa ‘sine die’. Tra questi: India (tra i sette che hanno votato no soprattutto per la mancata inclusione delle aggressioni nucleari nell'elenco dei crimini di competenza del Tribunale), Pakistan, Egitto, Cuba, Colombia, Iran, Iraq e Algeria.

La posizione di Israele che - per il suo passato di vittima di genocidi o odio razziale avrebbe dovuto essere tra i primi sostenitori dell'iniziativa e che invece alla fine è tra i sette che hanno detto no alla Corte - va ricondotta al fatto di non aver 'digerito' che tra i crimini di competenza della Corte vi sia anche l'insediamento su territori occupati.

La Corte avrà sede all'Aja e dovrà "essere complementare alle giurisdizioni penali nazionali". Sarà composta di diciotto giudici, nove uomini e nove donne, in carica per nove anni.

Le principali novità rispetto al progetto di Statuto (un preambolo e 9 sezioni) sul quale si è lavorato a Roma riguardano la figura di un procuratore sostanzialmente autonomo (mentre gli Usa hanno premuto per una sorta di 'giurisdizione alla carta' su base consensuale) e l'inclusione del crimine di aggressione (già punito a Norimberga), quando esso verrà ravvisato dal Consiglio di sicurezza dell'Onu.

Il procuratore avrà un grande spazio di autonomia anche se - sulla base di una proposta argentino-tedesca - esso sarà bilanciato da due contrappesi. Una sala di istanze preliminari (la Pre-Trial Chamber, figura simile al Gip della magistratura italiana) e la possibilità che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu decida un blocco dell'azione penale per dodici mesi, rinnovabili, sulla base di quanto stabilito dall'art.7 della Carta dell'Onu.

E’ proprio la definizione del meccanismo attraverso il quale i casi devono essere portati di fronte alla Corte, e in particolare del potere del procuratore di dare inizio ad indagini ex officio, oltre ad agire a seguito di denunce da Stati o dal Consiglio di sicurezza, che ha rappresentato uno dei nodi più difficili da sciogliere.

Il Tribunale dovrà perseguire gli individui - non gli Stati - per "i più gravi crimini che riguardano la comunità internazionale". Quindi i crimini di genocidio; i crimini contro l'umanità; quelli di guerra (bocciato l'emendamento americano dell'ultimo minuto in favore del consenso dello Stato della nazionalità dell'imputato per poter procedere) e di aggressione. Lo stupro e la gravidanza forzata - grazie anche all'azione di pungolo svolta dalle Ong talvolta ingiustamente accusate di cercare un pretesto per far passare nel Trattato intemazionale una posizione a favore dell'aborto - rientrano fra i crimini contro l'umanità.

C'è crimine di genocidio, sancisce il Trattato, "quando vi è intenzione di eliminare, nella sua totalità o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso", con l'uccisione di membri di un gruppo; o con il ferimento sia fisico che mentale; o infliggendo deliberatamente al gruppo condizioni di vita che possono provocare la distruzione psichica nella sua totalità o in parte; o imponendo misure che puntano a prevenire le nascite all'intemo del gruppo; trasferendo con la forza bimbi da un gruppo a un altro.

I crimini contro l'umanità, ravvisati nel Trattato di Roma, sono le azioni portate avanti come parte di un attacco onnicomprensivo e sistematico contro popolazioni civili, avendo coscienza dell'attacco medesimo. Tali azioni sono: omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazioni o trasferimenti forzati della popolazione, detenzione o altre gravi privazioni della libertà psichica, in violazione alle principali leggi internazionali, torture, violenze sessuali, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata o altre forme di violenza sessuale gravi.

Per i crimini di guerra la Corte avra giurisdizione in particolare "quando sono portati a termine come parte di un piano o di una politica mirata o di un progetto su ampia scala". Nello Statuto non vi è invece definizione precisa del concetto di crimini d'aggressione.

Lo Statuto prevede anche la non perseguibilità di cittadini dei Paesi non firmatari, senza il previo consenso dello Stato dove si è commesso il crimine o - dello Stato della nazionalità dell'imputato.

I Paesi firmatari - è questa la clausola dell’"opting-out" - potranno sottrarsi temporaneamente alla giurisdizione sui crimini di guerra per i primi sette anni dall'entrata in vigore del Trattato. Vano il tentativo americano di far passare un emendamento, l'ultimo giorno, che proponeva il rifiuto di questa clausola per un periodo di 10 anni, rinnovabili.

I criminali riconosciuti tali dalla Corte potranno essere condannati con pene che non dovranno superare i 30 anni o il carcere a vita nel caso di "crimini di estrema gravità". Il Tribunale potrà inoltre imporre delle multe e confiscare i beni che provengono direttamente o anche indirettamente dai crimini commessi.

*Tratto da: "Diritti umani: la difficile conquista". Agenzia ANSA, 1998