Comitato diritti umani 29.3.2000

Eguaglianza di diritti fra uomini e donne
(articolo 3)

Raccomandazione n.28, CCPR/C/21/Rev.1/Add.10
Raccomandazioni generali adottate dal Comitato diritti Umani in base all'art.40, paragrafo 4, del Patto Internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR)


1. Il Comitato ha deciso di aggiornare la propria Raccomandazione generale sull'articolo 3 di questo Patto, sostituendo la n.4 adottata nella tredicesima sessione del 1981, alla luce dell'esperienza raccolta nel corso degli ultimi venti anni di attività. Tale revisione mira a tener conto dell'impatto rilevante di questo articolo sulla possibilità per le donne di esercitare i diritti umani tutelati da questo Patto.

2. In base all'articolo 3, tutti gli esseri umani devono poter godere dei diritti previsti dal Patto, su base egualitaria e nella loro totalità. Il pieno effetto di questa norma risulta limitato ogni qualvolta ad una persona venga negato l'esercizio pieno ed egualitario di un qualsiasi diritto. Di conseguenza, gli stati devono garantire l'esercizio di tutti i diritti sanciti dal Patto in modo eguale a uomini e donne.

3. L'obbligo di garantire a tutti gli individui i diritti riconosciuti nel Patto, sancito dagli articoli 2 e 3 di quest'ultimo, impone agli stati parte di adottare tutte le misure necessarie a consentire a ciascuna persona l'esercizio di tali diritti. Sono comprese fra le misure in questione la rimozione degli ostacoli all'esercizio paritario1 di ciascuno dei diritti in questione, l'educazione ai diritti umani, sia della popolazione in generale che dei funzionari della pubblica amministrazione, e l'adeguamento della legislazione interna, in modo tale da dare attuazione agli impegni stabiliti dal Patto. Lo stato parte non deve limitarsi ad adottare misure di tutela dei diritti, ma deve anche adottare azioni positive in tutti i campi, in modo tale da ottenere un empowerment delle donne, efficace e su base egualitaria. Gli stati parte devono fornire informazioni2 sul ruolo effettivo delle donne nella società, in modo che il Comitato possa verificare quali misure, oltre alle norme legislative, siano state o debbano essere adottate per dare attuazione ai suddetti obblighi, quali passi avanti siano stati compiuti, quali difficoltà siano state incontrate e quali passi compiuti per affrontarle.

4. Gli stati parte hanno la responsabilità di garantire l'esercizio paritario dei diritti, senza discriminazione alcuna. Gli articoli 2 e 3 del patto impongono agli stati parte di adottare tutte le misure necessarie, compreso il divieto di discriminazione in base al sesso, per porre fine alle azioni discriminatorie che sono di ostacolo ad un esercizio paritario dei diritti, sia nel settore pubblico che in quello privato.

5. In tutto il mondo la disuguaglianza nell'esercizio dei diritti da parte delle donne è profondamente radicata nella tradizione, nella storia e nella cultura, compresi gli atteggiamenti di tipo religioso. Il ruolo subordinato delle donne in alcuni paesi è illustrato dall'alta incidenza di selezione pre-natale e di aborti di feti di sesso femminile. Gli stati parte devono garantire che gli atteggiamenti tradizionali, storici, religiosi, o culturali, non vengano utilizzati per giustificare violazioni del diritto delle donne all'eguaglianza di fronte alla legge ed all'esercizio paritario di tutti i diritti garantiti dal Patto. Gli stati parte devono fornire informazioni adeguate su quegli aspetti della tradizione, della storia, delle pratiche culturali e degli atteggiamenti religiosi che mettono, o possono mettere, in discussione il rispetto dell'articolo 3; essi devono inoltre indicare quali misure siano state adottate, o si intendano adottare, per superare tali problemi.

6. Per adempiere all'obbligo sancito dall'articolo 3, gli stati parte devono tener conto dei fattori che costituiscono impedimento ad un esercizio paritario da parte di uomini e donne di ciascuno dei diritti specificati nel Patto. Per consentire al Comitato di ottenere un quadro completo della situazione delle donne in ciascuno stato parte, per quanto riguarda l'attuazione dei diritti sanciti dal Patto, la presente Raccomandazione generale identifica alcuni dei fattori che incidono sull'esercizio paritario da parte delle donne dei suddetti diritti, e precisa il tipo di informazioni richieste in materia agli stati parte.

7. Quando si verifica uno stato di emergenza (art.4) deve essere garantito l'esercizio paritario dei diritti umani da parte delle donne. Gli stati parte che in situazioni di pubblica emergenza adottino, ai sensi dell'articolo 4, misure in deroga ai loro obblighi di rispetto del Patto, devono fornire informazioni al Comitato in merito all'impatto di tali misure sulle donne, e devono dimostrare che le misure in questione non sono discriminatorie.

8. Le donne sono particolarmente vulnerabili in caso di conflitti armati, interni o internazionali. Gli stati parte devono informare il Comitato di tutte le misure adottate in tali situazioni per proteggere le donne dallo stupro, dal sequestro di persona, e da altre forme di violenza fondata sulla differenza di genere.

9. Nell'aderire al Patto gli stati parte si impegnano, ai sensi dell'articolo 3, a garantire l'eguale diritto di uomini e donne all'esercizio di tutti i diritti civili e politici da esso sanciti; come stabilito dall'articolo 5, nulla di ciò che è contenuto nel Patto può essere interpretato nel senso di indicare il diritto di qualsiasi stato, gruppo, o persona, ad intraprendere attività o atti mirati allo smantellamento uno dei diritti sanciti dall'articolo 3, o all'introduzione di limitazioni non indicate dal Patto stesso. Non dovrà inoltre essere riconosciuta né dovrà esistere nelle leggi, nei contratti, nelle norme o nelle consuetudini, alcuna restrizione o deroga all'esercizio paritario da parte delle donne di tutti i diritti umani fondamentali, che usi come pretesto il fatto che il Patto non riconosce tali diritti, o li riconosce in misura minore.

10. Nel riferire [al Comitato] sul diritto alla vita, sancito dall'articolo 6, gli stati parte devono fornire dati sul tasso di natalità, e sulla mortalità delle donne per motivi legati alla gravidanza e al parto. Devono inoltre essere forniti dati sul tasso di mortalità infantile disaggregati in base al sesso. Gli stati parte devono fornire informazioni sulle misure adottate per aiutare le donne a prevenire gravidanze indesiderate, e per garantire che esse non siano costrette a ricorrere ad aborti clandestini, a rischio della vita. Gli stati parte devono anche riferire sulle misure adottate per proteggere le donne da pratiche che ne violano il diritto alla vita, quali l'infanticidio delle femmine, il rogo delle vedove e le uccisioni per motivi legati alla dote. Il Comitato desidera inoltre avere informazioni sull'impatto specifico sulle donne della povertà e delle privazioni, nella misura in cui esse possono rappresentare una minaccia per la loro sopravvivenza.

11. Per valutare il rispetto dell'articolo 7, nonché dell'articolo 24 del Patto che impone una speciale tutela dell'infanzia, al Comitato devono essere fornite informazioni sulle leggi e la prassi nazionale in materia di violenza domestica e di altri tipi di violenza contro le donne, compreso lo stupro. Va inoltre riferito al Comitato se lo stato rende possibile un aborto in condizioni sicure per le donne che sono rimaste incinte a seguito di uno stupro. Gli stati parte devono anche fornire informazioni al Comitato sulle misure adottate per impedire l'aborto forzato o la sterilizzazione forzata. Negli stati parte in cui esiste la pratica delle mutilazioni genitali, devono essere fornite informazioni sulla sua diffusione, e sulle misure adottate per eliminarla. Le informazioni fornite dagli stati parte su tutti questi temi devono comprendere indicazioni sulle misure di tutela adottate, comprese quelle che riguardano i rimedi per vie di legge, per le donne i cui diritti ai sensi dell'articolo 7 siano stati violati.

12. Per quanto riguarda gli obblighi degli stati parte sanciti dall'articolo 8, gli stati parte devono riferire al Comitato sulle misure intraprese per eliminare la tratta di donne e bambine, all'interno del paese o attraverso le frontiere, nonché la prostituzione forzata. Gli stati devono anche fornire informazioni sulle misure adottate per proteggere dalla schiavitù le donne, i bambini e le bambine, compresi/e donne, bambine e bambini stranieri, anche quando tale schiavitù è mascherata sotto forma di lavoro domestico o altro tipo di servizio alla persona. Gli stati parte nel cui territorio vengono reclutate o portate via tali donne, bambine e bambini, e gli stati parte dei territori di destinazione, devono fornire informazioni sulle misure, sia nazionali che internazionali, adottate per prevenire la violazione dei diritti delle donne e dell'infanzia.

13. Gli stati parte devono fornire informazioni su qualsiasi norma specifica relativa all'abbigliamento che le donne devono avere in luoghi pubblici. Il Comitato sottolinea che tali specifiche norme possono comportare la violazione di una serie di diritti garantiti dal Patto, quali: l'articolo 26, sulla non discriminazione; l'articolo 7, laddove per imporre il rispetto di tali norme vengano comminate punizioni corporali; l'articolo 9, laddove il mancato rispetto di tali norme venga punito con l'arresto; l'articolo 12, laddove tali norme comportino una restrizione della libertà di movimento; l'articolo 17, che garantisce ad ogni persona il diritto alla privacy, senza interferenze arbitrarie o illegittime; gli articoli 18 e 19, quando alle donne vengano imposte costrizioni in materia di abbigliamento che contraddicono la loro religione o la loro libertà di espressione; e infine, l'articolo 27, quando tali costrizioni in materia di abbigliamento entrano in conflitto con la cultura cui la donna può rivendicare di appartenere.

14. In riferimento all'articolo 9, gli stati parte devono fornire informazioni su qualsiasi legge o prassi che privi le donne della loro libertà su base arbitraria o non paritaria, come nel caso in cui esse vengano confinate in casa. (Vedi Raccomandazione generale n.8, paragrafo 1).

15. Per quanto riguarda gli articoli 7 e 10, gli stati parte devono fornire tutte le informazioni pertinenti rispetto alla garanzia che i diritti delle persone private della propria libertà vengano tutelati in modo eguale sia per gli uomini che per le donne. In particolare, gli stati parte devono riferire al Comitato se nelle carceri donne e uomini vengono separati, e se per le donne il personale di custodia è esclusivamente femminile. Gli stati parte devono anche riferire sul rispetto della norma in base alla quale le minori detenute devono essere separate dalle adulte, e su qualsiasi differenza di trattamento fra persone private della propria libertà di sesso maschile o femminile, quale ad esempio in materia di accesso ai programmi di formazione e di recupero sociale, nonché alle visite da parte del coniuge e dei familiari. Le donne incinte che vengano private della libertà devono ricevere un trattamento umano, nel rispetto della loro intrinseca dignità, in tutte le fasi del parto e durante la cura del neonato; gli stati parte devono riferire [al Comitato] sulle strutture esistenti a garanzia di tale diritto, e sull'assistenza medica e sanitaria alle madri e ai bambini in tali situazioni.

16. Per quanto riguarda l'articolo 12, gli stati parte devono fornire informazioni su qualsiasi norma di legge o prassi che comporti una restrizione del diritto delle donne alla libertà di movimento, ad esempio attraverso l'esercizio di potere del marito sulla moglie, o del padre sulle figlie adulte, o attraverso norme di diritto o di fatto che impediscano alle donne di viaggiare, quali l'obbligo di autorizzazione da parte di un soggetto terzo nel caso di rilascio ad una donna adulta di passaporto o altro tipo di documento necessario per viaggiare. Gli stati parte devono anche riferire sulle misure adottate per abrogare tali leggi o prassi, e per tutelare le donne contro di esse, compreso il riferimento ai rimedi previsti dalla legislazione nazionale. (Vedi Raccomandazione generale n.27, paragrafi 6 e 18).

17. Gli stati parte devono garantire che alle donne straniere venga garantito in modo eguale agli uomini il diritto a presentare ricorso contro un'eventuale espulsione, e ad ottenere l'esame di tale ricorso ai sensi dell'articolo 13. In riferimento a ciò, va loro garantito il diritto di includere fra le motivazioni del ricorso le violazioni del Patto specificamente riferibili alla differenza di genere, quali quelle citate ai precedenti paragrafi [10 e 11].

18. Gli stati parte devono fornire informazioni che consentano al Comitato di valutare se l'accesso al sistema giudiziario ed il diritto ad un equo processo, previsti dall'articolo 14, vengono esercitati dalle donne alle stesse condizioni degli uomini. In particolare, gli stati parte devono informare il Comitato: sull'esistenza o meno di norme di legge che impediscano alle donne un accesso diretto e autonomo ai tribunali (Caso 202/1986, Ato del Avellanal contro Perù, parere del 28 ottobre 1988); sulla possibilità delle donne di rendere testimonianza alle stesse condizioni degli uomini; e sulle eventuali misure adottate per garantire alle donne un eguale accesso al patrocinio legale, in particolare in materie legate al diritto di famiglia. Gli stati parte devono riferire se ad alcune categorie di donne viene negato l'esercizio del diritto alla presunzione di innocenza, sancito dal paragrafo 2 dell'articolo 14; nonché sulle misure adottate per porre fine a tale situazione.

19. Il diritto di ciascuno/a al riconoscimento in ogni luogo della propria personalità giuridica è particolarmente pertinente per le donne, che spesso ne subiscono una limitazione in ragione del proprio sesso o della propria condizione coniugale. Da questo diritto consegue che la capacità giuridica delle donne di possedere beni, sottoscrivere un contratto, o esercitare altri diritti civili, non può essere limitata in ragione della loro condizione coniugale, o di qualsiasi altro motivo di discriminazione; e ne consegue anche che le donne non possono essere trattate come oggetti che la famiglia del marito eredita in caso di decesso di quest'ultimo, insieme ai suoi beni. Gli stati devono fornire informazioni al Comitato sulle leggi o le prassi che impediscono alle donne di essere trattate o di agire a tutti gli effetti come persone dotate di personalità giuridica, nonché sulle misure adottate per abrogare le leggi o le prassi che consentono tale trattamento.

20. Gli stati parte devono fornire informazioni che consentano al Comitato di valutare gli effetti di qualsiasi legge o prassi che entri in contrasto con il diritto delle donne alla privacy, e agli altri diritti tutelati dall'articolo 17, in condizioni di eguaglianza rispetto agli uomini. Un esempio di tali interferenze si verifica quando per decidere i diritti di una donna in base alla legge e le tutele cui essa ha diritto, compresa la protezione dallo stupro, viene presa in esame la sua vita sessuale. Un altro campo in cui può avvenire che gli stati non rispettino il diritto delle donne alla privacy è quello relativo alle loro funzioni riproduttive, ad esempio nei casi in cui viene richiesta l'autorizzazione del marito prima di consentire una sterilizzazione, o quando per la sterilizzazione delle donne vengono posti come condizione determinati requisiti, relativi ad esempio al numero dei figli o all'età della donna; o quando gli stati impongono per legge ai medici e al personale sanitario il dovere di denunciare i casi di donne sottoposte ad aborto volontario. In questi casi possono entrare in gioco anche altri diritti sanciti dal Patto, quali quelli tutelati dagli articoli 6 e 7. Inoltre la privacy delle donne può subire interferenze anche da parte di soggetti privati, come nel caso dei datori di lavoro che prima di assumere una donna chiedono l'effettuazione di un test di gravidanza. Gli stati parte devono riferire al Comitato su tutte le leggi e le azioni da parte di soggetti pubblici o privati che interferiscano con l'esercizio paritario da parte delle donne dei diritti sanciti dall'articolo 17, e sulle misure adottate per eliminare tali interferenze e proteggere le donne da esse.

21. Gli stati parte devono adottare misure per assicurare che la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, e la libertà di adottare la religione di propria scelta - compresa la libertà di cambiare religione o credo e di esprimere la propria religione o credo - siano garantite e tutelate di diritto e di fatto, sia per gli uomini e che per le donne, alle stesse condizioni e senza discriminazione alcuna. Queste libertà, tutelate dall'articolo 18 del Patto, non devono essere sottoposte ad alcuna restrizione al di fuori di quelle indicate dal Patto stesso, né possono subire vincoli quali quelli rappresentati da norme che richiedano l'autorizzazione di soggetti terzi, o dall'interferenza di padri, mariti, fratelli, o altri. L'articolo 18 non può essere invocato per giustificare la discriminazione contro le donne in nome della libertà di pensiero, di coscienza e di religione; gli stati parte devono pertanto fornire informazioni sulla condizione delle donne in materia di libertà di pensiero, di coscienza e di religione, e indicare quali passi sono stati compiuti o si intenda compiere sia per eliminare e prevenire le violazioni di tali libertà per ciò che riguarda le donne, sia per tutelare i diritti di queste ultime da ogni discriminazione.

22. Per quanto riguarda l'articolo 19, gli stati parte devono informare il Comitato su qualsiasi legge o altro fattore che possa impedire alle donne di esercitare in modo paritario i diritti sanciti da tale articolo. Poiché è probabile che la pubblicazione e la diffusione di materiale pornografico e osceno, che descrive le donne e le bambine come oggetti di violenza o di trattamento inumano e degradante, incoraggi questo tipo di trattamento nei confronti delle donne, gli stati parte devono fornire informazioni sulle misure di legge adottate per limitare la pubblicazione o diffusione dei suddetti materiali.

23. Gli stati sono tenuti ad un trattamento eguale di uomini e donne in materia di matrimonio, come sancito dall'articolo 23, e come approfondito ulteriormente dalla Raccomandazione generale n.19 (1990). Uomini e donne hanno il diritto di contrarre matrimonio solo in base al proprio libero e pieno consenso, e gli stati hanno l'obbligo di tutelare l'esercizio di questo diritto alle stesse condizioni per i due sessi. Molti fattori possono impedire alle donne di prendere la decisione di sposarsi in piena libertà. Uno dei fattori riguarda l'età minima al di sotto della quale non è consentito il matrimonio. Tale limite di età deve essere fissato dallo stato sulla base di criteri eguali per i due sessi; criteri che devono garantire alla donna la possibilità di prendere una decisione informata e libera da coercizioni. Un altro fattore presente in alcuni stati può essere l'esistenza di norme statutarie o consuetudinarie in base alle quali invece della donna è un suo tutore, in genere di sesso maschile, a dare il consenso al matrimonio, il che impedisce alle donne di esercitare una libera scelta.

24. Un altro tipo di fattore che può incidere sul diritto delle donne a sposarsi solo nei casi in cui abbiano dato il proprio libero e pieno consenso al matrimonio, è l'esistenza di atteggiamenti sociali che tendono a emarginare le donne vittime di stupro, e a far pressione su di loro perché acconsentano a sposarsi. Il libero e pieno consenso di una donna al matrimonio può essere minato anche da leggi che consentano allo stupratore una estinzione o riduzione delle proprie responsabilità penali nel caso in cui sposi la vittima dello stupro. Gli stati parte devono far presente [al Comitato] se è prevista nel loro paese una estinzione o riduzione della responsabilità penale nel caso in cui lo stupratore sposi la propria vittima, e se, nel caso in cui la vittima sia minorenne, l'aver subìto uno stupro comporti per la vittima una riduzione dell'età minima per il matrimonio, soprattutto nelle società in cui le vittime di stupro subiscono un'emarginazione sociale. Ancora un altro aspetto che può incidere sul diritto al matrimonio è il caso in cui gli stati impongono alle donne restrizioni in materia di nuovo matrimonio, diverse da quanto previsto per gli uomini. Il diritto di scegliere il coniuge può essere limitato anche da leggi o pratiche che vietino il matrimonio di una donna di una determinata religione con un uomo che non professi alcuna religione, o che professi una religione diversa. Gli stati devono fornire informazioni [al Comitato] su queste eventuali leggi e prassi, e sulle misure adottate per abrogare le leggi e eliminare alle radici le pratiche che minano il diritto delle donne a sposarsi solo dopo aver fornito il proprio libero e pieno consenso. Da notare inoltre che la parità di trattamento in materia di diritto al matrimonio implica che la poligamia è incompatibile con tale principio. La poligamia viola la dignità delle donne e costituisce un'inammissibile discriminazione contro le donne. Di conseguenza, laddove essa esiste deve decisamente essere abolita.

25. Per adempiere ai propri obblighi sanciti dal paragrafo 4 dell'articolo 23, gli stati devono garantire che il diritto di famiglia preveda eguali diritti ed eguali doveri per entrambi i coniugi, in materia di custodia e cura dei figli, della loro educazione morale e religiosa, di capacità giuridica di trasmettere ai figli la propria nazionalità, di proprietà e amministrazione dei beni, sia che si tratti di beni comuni che di beni di proprietà esclusiva di uno dei due coniugi. Ove necessario, gli stati devono rivedere la propria legislazione per garantire che le donne sposate abbiano eguali diritti in materia di proprietà ed amministrazione dei suddetti beni. Gli stati devono inoltre garantire che non si verifichi alcuna discriminazione in base al sesso per ciò che riguarda l'acquisizione o perdita della nazionalità a seguito di matrimonio, i diritti in materia di residenza, e il diritto di ciascun coniuge di mantenere l'uso del proprio cognome originario o di partecipare su base egualitaria alla scelta di un nuovo cognome della famiglia. L'eguaglianza all'interno del matrimonio significa che moglie e marito devono condividere in modo egualitario responsabilità ed autorità all'interno della famiglia.

26. E' dovere degli stati anche garantire l'eguaglianza in materia di scioglimento del matrimonio, il che esclude la possibilità del ripudio. I motivi di divorzio e annullamento devono essere gli stessi per gli uomini e per le donne, e così le decisioni per ciò che riguarda la distribuzione delle proprietà, gli alimenti e l'affidamento dei figli. L'esigenza di mantenere i contatti fra i figli e il genitore non affidatario deve essere tenuta in conto secondo criteri di eguaglianza fra i sessi. Inoltre quando la fine del matrimonio è dovuta alla morte di uno dei coniugi, i diritti delle donne in materia di eredità devono essere eguali a quelli degli uomini.

27. Nel dare attuazione al riconoscimento della famiglia sancito dall'articolo 23, è importante accettare il concetto che esistono varie forme di famiglia, comprese le coppie non sposate e i loro figli, e i genitori soli e i loro figli, e garantire il trattamento paritario delle donne in questi contesti (vedi Raccomandazione generale n.19, paragrafo 2, ultima frase). Le famiglie in cui è presente un solo genitore spesso consistono in una donna sola che si occupa di uno o più figli, e gli stati parte devono indicare quali misure di sostegno esistono nel proprio territorio per consentire alle donne che vivono in questa situazione di adempiere alle proprie funzioni genitoriali alle stesse condizioni di un uomo che si trovi in posizione analoga.

28. All'obbligo di proteggere l'infanzia cui sono tenuti gli stati (articolo 24), questi ultimi devono adempiere secondo criteri di eguaglianza fra bambini e bambine. Gli stati devono riferire sulle misure adottate per garantire che le bambine vengano trattate in modo eguale ai maschi in materia di istruzione, alimentazione, e assistenza sanitaria; su questi temi devono essere forniti al Comitato dati disaggregati in basi al sesso. Gli stati devono eliminare alle radici, sia per via legislativa che attraverso ogni altra misura a ciò appropriata, tutte le pratiche culturali o religiose che mettono in pericolo la libertà e il benessere delle bambine.

29. Il diritto di partecipare alla gestione della cosa pubblica non viene pienamente attuato ovunque su base egualitaria. Gli stati devono assicurare che la legge garantisca alle donne i diritti sanciti dall'articolo 25 alle stesse condizioni degli uomini, e devono adottare misure attive adeguate, comprese le azioni positive più appropriate, per promuovere ed assicurare le partecipazione delle donne alla gestione della cosa pubblica e alle cariche pubbliche. Gli stati parte devono adottare misure efficaci, e non discriminatorie in base al sesso, per garantire che tutte le persone che hanno diritto di voto siano in grado di esercitare tale diritto. Il Comitato richiede agli stati parte di fornire informazioni statistiche sulla percentuale di donne che ricoprono cariche pubbliche elettive, compreso, fra le altre cose, nei parlamenti, nella dirigenza statale e nella magistratura.

30. La discriminazione contro le donne è spesso intrecciata con altri motivi di discriminazione, quali la razza, il colore della pelle, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altra natura, l'origine nazionale o sociale, le condizioni economiche, la nascita o altra condizione. Gli stati parte devono affrontare i modi in cui i casi di discriminazione per motivi diversi dal sesso colpiscono le donne in modo specifico, e includere [nei loro rapporti] informazioni sulle misure adottate per contrastare tali conseguenze.

31. Il diritto all'eguaglianza di fronte alla legge e la libertà dalle discriminazioni, sanciti dall'articolo 26, obbligano gli stati ad intervenire contro le discriminazioni praticate da soggetti pubblici e privati in tutti i campi. Costituiscono violazione dell'articolo 26 sia la discriminazione contro le donne in settori quali le leggi in materia di sicurezza sociale (caso 172/84, Broeks contro Paesi Bassi, parere del 9 aprile 1987; caso 182/84 Zwaan de Vries contro Paesi Bassi, parere del 9 aprile 1987; caso 218/1986, Vos contro Paesi Bassi, parere del 29 marzo 1989) che la discriminazione contro le donne in materia di cittadinanza o di diritti delle persone che non hanno la cittadinanza del paese in questione (caso 035/1978, Aumeeruddy-Cziffra e altri contro Mauritius, parere adottato il 9 aprile 1981). Anche le leggi che impongono pene più severe alle donne che non agli uomini in caso di adulterio o di altri reati, costituiscono una violazione del diritto all'eguaglianza di fronte alla legge. Il Comitato ha inoltre osservato spesso, nell'esaminare i rapporti degli stati, che un'alta percentuale di donne è occupata in settori non tutelati dalla legislazione sul lavoro, e che le consuetudini e le tradizioni prevalenti sono discriminatorie nei confronti delle donne, in particolare per ciò che riguarda l'accesso ad un'occupazione retribuita meglio e ad un eguale retribuzione per lavoro di eguale valore. Gli stati devono rivedere la propria legislazione e le proprie prassi, e farsi parte dirigente nell'attuazione di tutte le misure necessarie per eliminare la discriminazione contro le donne in tutti i campi, ad esempio vietando la discriminazione da parte di soggetti privati in settori quali il lavoro, l'istruzione, l'attività politica e la fornitura di beni, servizi e alloggio. Gli stati parte devono riferire su tutte le suddette misure, e fornire informazioni sui rimedi disponibili per le vittime di tali discriminazioni.

32. I diritti che spettano alle persone appartenenti a minoranze, ai sensi dell'articolo 27 del Patto, per quanto riguarda la loro lingua, cultura e religione, non autorizzano alcuno stato, persona, o gruppo, a violare il diritto delle donne all'eguaglianza nell'esercizio di tutti i diritti tutelati dal Patto stesso, compreso il diritto ad un eguale protezione da parte della legge. Gli stati devono riferire [al Comitato] su qualsiasi legge o prassi amministrativa relativa all'appartenenza ad una comunità di minoranza, che possano costituire una violazione degli eguali diritti delle donne ai sensi del Patto (caso 24/1977, Lovelace contro Canada, parere adottato nel luglio 1981), e sulle misure adottate o previste per garantire gli eguali diritti di uomini e donne ad esercitare tutti i diritti civili e politici sanciti dal Patto. Analogamente, gli stati devono riferire sulle misure adottate per adempiere alle proprie responsabilità in relazione alle pratiche culturali o religiose all'interno delle comunità di minoranza che incidono sui diritti delle donne. Nei loro rapporti, gli stati parte devono soffermarsi anche sul contributo delle donne alla vita culturale delle loro comunità.

Ginevra, 29.3.2000




1 Nota della traduttrice: si è utilizzata questa espressione per tradurre l'espressione "equal enjoyment" , che letteralmente significa "eguale godimento" dei diritti. L'uso della parola "paritario" ; implica pertanto un'assoluta eguaglianza sul piano dei diritti, senza per ciò indicare in alcun modo un appiattimento della differenza di genere, che anzi, sia pur non nominata esplicitamente, è il riferimento chiaro e trasversale su cui si fonda tutto questo testo del Comitato diritti umani, e la stessa scelta di redigerlo.

2 Il riferimento, come in altre parti del testo, è alle informazioni che devono essere fornite dagli stati che hanno ratificato il Patto, nei rapporti periodici presentati al Comitato diritti umani per consentire a quest'ultimo di verificare l'attuazione degli impegni assunti dagli stati all'atto della ratifica (vedi: biblioteca "I luoghi, le istituzioni, i soggetti - organi di controllo sull'applicazione dei trattati" ;). N.d.r.