Le palestinesi verso Pechino*

di Cristiana Scoppa



Si sarebbe dovuta chiamare Unione delle donne in Giordania, ma nel 1989, anno in cui venne costituita, questo nome che lasciava trapelare differenze tra le donne che ne facevano parte venne contestato dal governo. Che impose Jordanian womens union, Unione delle donne giordane, cancellando in qualche modo la presenza delle palestinesi. Un compromesso, accettato per poter esistere. E crescere. Ora la Jwu conta oltre cinquemila iscritte, e millecinquecento si sono ritrovate nel primo congresso nazionale alla metà di giugno. ´Un successoª, racconta Elahn Abu Falah, palestinese, nata in Kuwait ma rifugiatasi in Giordania all'inizio della guerra dei Golfo, una delle dirigenti della Jwu. ´Abbiamo avuto l'idea di organizzare una conferenza "parallela" a quella di Pechino. La nostra rappresentante ci informerà quotidianamente sui documenti e i temi trattati, che noi qui discuteremo. Sarà il nostro modo per coinvolgere quante più donne possibile, in contemporaneaª. Tantissime le palestinesi nell'organizzazione, e fondamentale l'attività svolta nei campi profughi, dove la presenza femminile è predominante. Cercando di mediare tra religione e modernità, l'unione promuove, grazie al sostegno dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati, corsi di alfabetizzazione per mamme e bambini, incontri su diritti e salute, attività artigianali e commerciali. Questo ha portato la Jwu sempre più vicino alle posizioni dei Comitato per la resistenza alla normalizzazione, decisamente contrario agli attuali trattati di pace con Israele. Abu Falah spiega: ´Noi non siamo contrarie alla pace. Ma questa pace non riconosce i diritti dei palestinesi. Israele non vuole rinunciare a nulla. Per le donne questo significherà solo altra sofferenzaª. Nelle raccomandazioni al governo giordano uscite dal primo Congresso le donne dell'Uffione sono state chiare: no ai programmi di sedentarizzazione dei palestinesi in Giordania. E poi ampliamento dei diritti delle donne, anche per cose molto pratiche, ´per esempio che alle vedove venga riconosciuto il diritto di decidere per i propri figli, finora sotto la potestà dei nonno o degli zii paterni come previsto dalla Sharia, la legge isfamicaª. Per dare aiuto legale alle donne e informarle sui propri diritti la Jwu ha tra l'altro attivato ´un numero verde sempre presidiatoª. Ma ´niente si fa senza l'indipendenza economicaª, sostiene decisa Abu Falah, che lavora all'Onu nel settore finanziario. ´Per questo abbiamo creato un sistema di piccolo credito alle donne usando un finanziamento dei programma Usa Save the chiidren. E accettiamo solo contributi senza condizioniª, conclude orgogliosa.

*Tratto da noidonne luglio-agosto 1995