La Conferenza in parole povere*

di Marina Forti E Ilaria Maria Sala



Da Pechino a Huairou. Da autobus a villaggio globale. Glossario minimo di parole, fatti, curiosità, dalle inviate di noidonne alla Conferenza. Per guidarci in un breve viaggio dietro le quinte

AUTOBUS. Dovevano essere 9 mila... E chi li ha visti? In realtà ci sono volute dalle due alle tre ore per andare da Pechino a Huairou, in grossi, scomodi e lenti autobus di linea, a orari poco convenienti e in numero insufficiente. Intanto a Pechino gli autobus in circolazione erano stati ridotti temporaneamente. Almeno, nel lungo viaggio si poteva fare amicizia, trovarsi di fianco una donna impegnata sullo stesso fronte... Poi, giù dall’autobus e dentro il fango, che scorreva a fiumi nelle scarpe. "Si sa che gli dei sono maschi", ha detto una delegata, e qualcosa di vero ci sarà, dato che non si era mai vista tanta acqua come nei giorni del forum.

BASSO PROFILO. E’ quello tenuto dagli Stati uniti alla conferenza di Pechino. Certo, c’è stato nei primi giorni il protagonismo della signora Hillary Rodham Clinton, che ha però soprattutto badato a questioni di politica interna: bisognava attaccare duramente la Cina sui diritti umani, per rispondere ai repubblicani di Washington che accusavano l’amministrazione di avallare, con la visita della first lady a Pechino, la politica cinese. Hillary ha anche detto belle cose sulle donne: lavoratrici, mogli, madri, sorelle, e poi che bisogna "rafforzare la famiglia" - perché bisgnava anche rispondere alla mozione del Senato (a maggioranza repubblicana) che invitava la delegazione Usa a "rappresentare i valori americani, cioè l’importanza della famiglia e della maternità". Partita la first lady, la delegazione Usa ha seguito discretamente la sua linea: morbida con il Vaticano, attenta agli integralisti di casa propria.

CARTA. Tonnellate di carta. Patinata o semplice (quasi mai riciclata: quanti ettari di foresta amazzonica distrutti?). Bollettini, newsletter, volantini. Comunicati stampa, testi di discorsi, documenti ufficiali e non, riviste, agenzie Onu e di Ong. La sera tardi, quando gli ultimi cronisti lasciano la sala stampa, due giovani poliziotte cinesi si attardano a curiosare tra scaffali e tavoli pieni di carta stampata in ogni lingua, raccolgono bollettini e giornali in inglese, poi se ne vanno con il loro bottino

DIRITTI SESSUALI. "Questa. è una conferenza per assicurare l'uguaglianza tra uomini e donne, mica per fare la rivoluzione sessuale", ha esclamato l'ambasciatore permanente del Benin alle Nazioni Unite. E' l'espressione "diritti. sessuali" che non va giù al Vaticano e ai suoi alleati, né ai paesi musulmani: sarà mica un modo per parlare di comportamenti depravati, mogli infedeli ai mariti, rapporti sessuali fuori dei matrimonio, magari omosessualità? Vade retro. Nella piattaforma d'azione di Pechino infatti i "diritti sessuali" non ci sono. C'è scritto invece che i diritti fondamentali delle donne includono il diritto a esercitare il controllo sulle questioni relative alla loro sessualità, compresa la salute sessuale e riproduttiva, senza coercizione, discriminazione o violenze ... ". L'importante a volte è non chiamare le cose con il loro nome.

FAMIGLIA. Al singolare, per carità. I paesi nordici e l’Unione europea avevano sostenuto in principio la pluralità delle scelte in ordine alla convivenza familiare: esistono diverse forme di famiglie, da quelle monoparentali alle coppie non sposate. Ma il termine "famiglie" potrebbe legittimare comportamenti devianti, convivenze omosessuali, tuonano i delegati di paesi come Argentina, Guatemala, Benin, la forza d'urto dei Vaticano. Così la famiglia è rimasta al singolare, anche se una postilla precisa: "Diverse forme di famiglia esistono nei diversi sistemi politici, culturali e sociali". La famiglia è una, sacra. E la famiglia è il terreno su cui integralisti d'ogni genere danno battaglia: per esempio negli Stati uniti, dove i family values, valori familiari, sono la bandiera brandita dalla destra più o meno integralista (vedi: Basso profilo).

GIAPPONE. Più di un terzo delle donne presenti a Huairou erano giapponesi: seimila in tutto. E in barba alle risatine di molti compatrioti ("saranno andate a fare turismo gastronomico", "quello che le interessa è la gita") "le giapponesi" hanno stupito e colpito tutte, con la loro costanza e dedizione a cause disparate ma tutte, in modo diverso, urgenti: dalla solidarietà con le "donne di conforto" coreane, quelle costrette alla

schiavitù sessuale dai soldati giapponesi durante la seconda guerra mondiale, ai gruppi di impiegate e avvocate in causa con i datori di lavoro che non rispettano la legge contro la discriminazione sui salari, passando per i numerosi gruppi che si battono per l'eliminazione di tutte le armi nucleari, unite contro Chirac e il suo riprendere i test.

GIORNALISTI. frasi scelte. "Andiamo a Huairou a vedere le femministe?". "lo vivo con una moglie, una suocera e due figlie, ci combatto ogni giorno con le dorme". "Ventimila megere in giro per Pechino!". "L'hai sentita, questa mattina, la lesbica che ha parlato alla Conferenza? Com'era? No, voglio dire, era negra, bianca? Carina?". "Per fortuna è finita. Io di femminismo non ci capisco nulla, preferisco scrivere di politica".

GRANDE SALA DEL POPOLO. Piazza Tienanmen: sulla scalinata della Grande Sala dei Popolo, sede dell'Assemblea (parlamento) cinese, una banda musicale formata da decine di bambini e bambine accoglie gli invitati alla cerimonia d'apertura della quarta Conferenza mondiale sulle donne. Il palazzo in stile sino-sovietico è imponente. Dentro la sala è gremita. Sorpresa: il parlamento cinese è un grande teatro, con platea capace di duemila persone. Sul palco, terminati i discorsi, il podio scompare per lasciare la scena a un programma musicale. Presentano due signorine vestite di strass. Si comincia con l'Inno alla gioia, dalla Nona sinfonia di Ludmig van Beethoven, trasformato in marcia militaresca dal grottesco arrangiamento che mette insieme la banda militare dell'Esercito popolare di liberazione e l'Orchestra filarmonica. Ragazzine in gonnellina blu, stivaletti e giacca bianca, marciano sul palco componendo figure. Seguirà un brano della Traviata (di nuovo la banda), poi un numero dei famosi acrobati cinesi... Dal soffitto, di lato, pende una grande colomba bianca di plastica gonfiabile. Uno striscione in sei lingue augura "Benvenute".

LAVORO DOMESTICO. Lo sappiamo, le nostre città e i nostri lavori non sono organizzati per rendere la vita facile alle donne: conciliare orari e tempi incompatibili, scuola, ufficio, bimbi che escono dall'asilo prima che la mamma torni a casa... I nostri compagni hanno dovuto imparare a condividere parte di queste difficoltà, ma non troppo. D'altra parte nessuna di noi vorrebbe passare la vita a contrattare su chi si occupa della casa. Anche perché il problema si può scaricare, almeno in parte: la domestica-baby sitter. Straniera, per lo più. Un esercito di donne immigrate si occupa dei nostri figli, tiene pulita casa, assiste persone non autosufficienti: quello che si definisce settore dei "servizi alla persona". E’ un contributo enorme, ma sottovalutato, alle econoinie dei paesi industrializzati. Lo hanno ricordato, poco ascoltate per la verità, le organizzazioni delle donne migranti alla Conferenza di Pechino.

META DEL CIELO. (più o meno meno). Prima che cominciasse la conferenza, quando molte denunciavano il controllo militare e poliziesco cinese, insieme alla decisione di spostare a Huairou il Forum, diverse/i rappresentanti dell'Onu dicevano: "Però nel mondo una donna su cinque è cinese, se la conferenza può essere utile alla metà del cielo, la decisione è giustificata". E invece... A parte alcuni progetti specifici della Ford Foundation o dell'Undp, e le poche donne presenti a Huairou, sotto stretto controllo, per tutte le altre è come non fosse successo nulla. LZ, 75 anni, nota intellettuale di Pechino, dice: "Niente, da nessuna parte. Per fortuna capisco il francese, e ho ascoltato la radio, perché sui giornali c'erano solo dichiarazioni ufficiali cinesi e in tv non c'era quasi niente. Lo sapevi che c'era Hillary Clinton?". L'ultimo giorno una lettera firmata "una donna cinese" fatta circolare fra i giornalisti, denunciava: "Dire che le Ong cinesi siano non governative è uno scherzo. Ma una donna cinese come può parlare?".

NAVARRO VALLS, JOAQUIN. Il direttore della sala stampa del Vaticano che non delude mai i cronisti. Psichiatra, piacente, membro dell'Opus dei, ha lasciato la medicina per il giornalismo ed è stato a lungo il corrispondente da Roma del quotidiano conservatore Abc di Barcellona. Da una decina d'anni è "portavoce del Vaticano". Di lui è stato detto che ha saputo vendere l'immagine del papa come una saponetta. Certo è che Joaquin Navarro-ValIs sa come trattare i media: durante eventi come quello di Pechino scende in sala stampa una volta al giorno, sempre alla stessa ora. Ogni suo "breefing informale" è pensato per i titoli: la notizia c'è sempre. Commenti brevi, chiari, con un nemico preciso, anche se mai personalizzato. A Pechino il nemico era l'Unione europea, guidata nell'occasione dalla Spagna, con una ministra degli Affari sociali femminista. Frase del mese: "Non ho mai parlato tanto di sesso, nemmeno quando studiavo ginecologia".

STAMPA. Anche la Conferenza di Pechino, come tutti i grandi incontri delle Nazioni Unite da Rio in poi, è stata seguita dai giomali quotidiani pubblicati da alcune Ong. Ma questa volta hanno avuto vita difficile. Dapprima l'autorizzazione del governo cinese non c’era. Durante il Forum non governativo, a Huairou, solo Vivre autrement, dell’Enda di Dakar, ha osato comparire: otto pagine semiclandestine fotocopiate in un migliaio di esemplari. L’autorizzazione a stampare è stata concessa più tardi, quando è cominciata la Conferenza ufficiale, quella dei governi. Vivre autrement è diventato un vero giomale di otto pagine, hanno cominciato le pubblicazioni anche Beijing Watch, edito dall'agenzia Women's features service di New Dehli, e il filoarnericano The Earth Times. Ma a condizione di non diffondere a Huairou, dove centinaia di giovani cinesi servivano come interpreti e volontari e si guardavano intorno con curiosità, né di stampare alcunché in cinese o arabo. Solo lingue europee, solo nel recinto extraterritoriale della conferenza delle Nazioni Unite.

STATISTICHE. Cosa c'entrano le statistiche con le donne? Anzi, cosa c'entrano le donne con le statistiche, le contabilità nazionali della ricchezza, la produzione, e cosi via? Poco, perché la raccolta di dati spesso non le considera. Che dire di una donna che lavora dieci ore al giorno nell'agricoltura di sussistenza ed è registrata nei censimenti come "casalinga"? Una volta parlavamo di lavoro invisibile. Ora il programma dell'Onu per lo sviluppo (Undp) valuta il lavoro non pagato delle donne in circa 11 milioni di miliardi di dollari all'anno. Bisogna dare a questo lavoro un valore preciso: non stiamo parlando di salario, ma di visibilità, dunque potere contrattuale. La Conferenza di Pechino ne ha discusso a lungo e ha raccomandato agli istituti di statistica di istituire "conti satellite" del lavoro non pagato da affiancare alle statistiche del Pil.

TIBETANE. Nove donne tibetane in esilio hanno partecipato alla conferenza, malgrado il governo cinese fosse riuscito a convincere le Nazioni Unite che le delegazioni tibetane e taiwanesi dovevano essere prima approvate da Pechino. Per riuscire a ottenere il visto si sono registrate sotto altre Ong, ufficialmente non legate al Tibet. Una volta a Huairou, però, si sono trovate al centro dell'attenzione: sia quella di militari e polizia (in rapporto quasi uno a uno con le presenti: 12 mila uomini per 20 mila donne...), che quella della stampa mondiale. Le tibetane sono state continuamente fotografate, seguite e molestate, come succedeva a chiunque si avvicinasse loro. I loro seminari sono stati boicottati dagli organizzatori cinesi, le loro sostenitrici sono state molestate e attaccate anche fisicamente, come è successo all'americana Eva Herzor, presa a calci dalla polizia mentre cercava di distribuire documentazione sul Tibet. Grazie a tutto questo, la presenza di nove donne tibetane ha avuto una insperata copertura della stampa.

VILLAGGIO GLOBALE. Il vostro villaggio globale sta distruggendo i nostri villaggi", dice una delegata dei Caucus delle donne di popolazioni indigene. Presieduto da Rigoberta Menchù, il Caucus ha proposto una Dichiarazione alternativa, giudicando che questioni vitali come la protezione ambientale e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuali delle popolazioni indigene non siano abbastanza considerati nei documenti ufficiali della Conferenza di Pechino: "Non possiamo appoggiare completamente una Dichiarazione che mantiene il silenzio sull'uso della forza militare da parte degli stati per rimuovere le popolazioni indigene dai loro territori".

*Tratto da noionne, ottobre 1995