Pechino, che sorpresa*

di Alessandra Mecozzi



Abbiamo scoperto a Huairou di essere circa centocinquanta italiane, molte reciprocamente sconosciute. Ci siamo incontrate un giorno sì e uno no grazie alla pervicacia organizzativa di Raffaella Lamberti e poche altre. Piene di curiosità e un po' di confusione, mitigata dal passare dei giorni, abbiamo affrontato il popolatissimo Forum, fatto di centinaia di incontri, seminari, assemblee, manifestazioni, solidarietà e conflitti.

Una dimensione autonoma, irriducibile agli esiti della Conferenza, una rappresentazione dell'empowerment come pratica politica, non come "accesso" alla politica istituzionale, sicuramente più visibile nella Conferenza. Ma anche serbatoio da cui le esauste organizzazioni internazionali cercano di attingere idee e vitalità.

Politica delle donne sul mondo più che politica internazionale delle donne, con la precisa consapevolezza che agire localmente e pensare globalmente sono le risposte a quei poteri "invisibili" (economici e finanziari) ma anche all'ansia dei "potere in sé", soggetti chiave dei disastri che percorrono il mondo, dalle guerre alle tante schiavitù, compresa quella che prende il nome di lavoro, sempre meno "nobile" strumento di emancipazione.

Una rete di operaie tessili ricostruisce la catena di montaggio globale, sindacaliste sudamericane vogliono creare una rete internazionale che non debba passare dalla pensatezza dei rispettivi sindacati, le indiane organizzano un workshop di sindacaliste dove un'imponente sudafricana racconta come hanno fatto nascere il sindacato delle lavoratrici domestiche combattendo contro chi dava loro delle "improduttive"; applauditissima anche dalle tante donne dei nord presenti.

Aggiustamenti strutturali nei paesi dei sud con i tagli a tutte le spese sociali voluti da Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, destrutturazione degli stati sociali, disoccupazione, precarizzazione dei lavoro nei paesi dei nord apparivano aspetti della stessa medaglia che da molte è stata chiamata "fine dello sviluppo".

Necessità di una radicale redistribuzione delle risorse, di una espressione sempre più ampia di soggettività politiche diverse, di un uso esteso delle culture dell'ambiente, della pace, del femminismo così come si presentano oggi sulla scena mondiale, anche dai luoghi più lontani.

Su tutto aleggiava forte il senso della mancanza di una comunità "globale", ordinatrice, attenta ai bisogni umani, capace di fare scelte giuste. Perciò mi sembra che da Huairou sia partito un messaggio, a tutte le donne e gli uomini dei mondo, per una politica realistica ma capace di immaginare e costruire le trasformazioni, per una riflessione in profondità sul mondo ma vincolata all'agire nella propria realtà e nella propria cultura, condizioni per una comunicazione vera con le altre: soggetto storico nuovo e indiscutibile di questo processo, le donne. Saremo in Italia capaci di raccoglierlo?

 

*Tratto da: noidonne — ottobre 1995