Minima universalia

di Marina Forti



La Dichiarazione di Pechino riconosce i diritti di donne e bambine. Diritti universali, uguali per tutte, a Est e a Ovest, a Nord e a Sud. Nasce la donna universale? Limite: la sovranità di ciascuno stato che potrà applicarli in sintonia con i propri retroterra culturali e convinzioni filosofiche. Miracolo diplomatico, ponte verso il futuro

Si potrebbe paragonare le grandi conferenze internazionali a moderni pellegrinaggi, dove lo scopo però non è rendere omaggio a una divinità. All'inizio di settembre oltre ventimila persone sono arrivate a Huairou, borgo rurale a cinquanta chilometri da Pechino, animate da una enorme voglia di parlare e ascoltare. Per otto giorni, tanto è durato il Forum delle organizzazioni non governative delle donne, hanno dato vita a migliaia di dibattiti, incontri, conferenze (con una rnedia di cinquecento al giorno) tra i tendoni da circo, nei padiglioni, teatri e aule scolastiche della cittadina. Hanno improvvisato manifestazioni e concerti. Hanno portato microesperienze e analizzato grandi temi, rinsaldato reti di relazioni tra gruppi e collettivi.

E’ sempre legittimo chiedersi a cosa servano le grandi conferenze che le Nazioni unite stanno organizzando in questa fine di secolo, riti collettivi dedicati ai grandi temi della convivenza sul pianeta. Ma non bisogna sottovalutare l'importanza dei pellegrinaggi: servono a far circolare idee, creare linguaggi comuni e significati condivisi, rafforzare reti di relazioni, nel caso dei Forum di Huairou, a rendere visibile un soggetto politico.

Il Forum cinese è stato infatti il punto d'arrivo (provvisorio) di un percorso cominciato vent'anni fa, con la prima conferenza sulle donne, e continuato con un intenso lavoro di ricerca, analisi, lavoro dentro e fuori le istituzioni nazionali e internazionali. Tappe intermedie sono state le successive conferenze sulla donna ma anche le più recenti sull'ambiente, la popolazione, lo sviluppo sociale: temi non "femminili". "Qui è risultato chiaro che le donne non prendono la parola solo per parlare di se stesse, denunciare la propria condizione, ma parlano ormai come soggetto politico su temi globali", osserva la brasiliana Thaìs Corral, che con il gruppo Redeli fa parte della rete internazionale Wedo, Women environment and development organizations, organizzazioni di donne ambiente e sviluppo.

Questo lavorìo politico si è riversato poi nella Quarta conferenza mondiale sulle donne, quella ufficiale, dei governi. Mentre le delegazioni ufficiali negoziavano sulla Piattaforma d'azione per l'empowerment delle donne (l'emancipazione, il dare potere) decine di rappresentanti di organizzazioni non governative facevano una discreta opera di pressione per sostenere le proprie priorità. Un "fare lobby" efficace, "anche perché avevamo cominciato già nelle conferenze regionali di preparazione", spiega Charlotte Bunch, del Center for Women's Global Leadership: "Questo dimostra anche che c'è ormai un movimento internazionale di donne. Cosa era in gioco? Da parte del Vaticano, degli stati musulmani più conservatori, o delle forze fondamentaliste e pro-life (antiabortiste), c'era il tentativo di ributtarci indietro rispetto ad alcuni principi generali e ai diritti delle donne. Ma è stato sconfitto".

"Il piccolo balzo in avanti", aveva titolato, il 15 settembre, il giornale Vivre Autrement (uno dei quotidiani delle Ong che hanno seguito tutti i lavori di Pechino). Si riferiva all’esito dei lavori della conferenza ufficiale: il documento di principi, la "Dichiarazione di Pechino", e la Piattaforma d'azione che elenca obiettivi e strategie. Vi si parla di "sviluppo al servizio dell'individuo" e di strategie per garantire il diritto alla salute, all'istruzione, alla partecipazione economica, all'accesso al credito; di programmi di sviluppo con una "prospettiva di genere", che tengano conto delle donne. Ma è su questioni di principio che si è esercitata l'offensiva conservatrice: la definizione dei diritti delle donne come parte dei diritti umani universali (dove il problema era "universali"), insieme al tema dell'eguaglianza (o "equità"?), e i diritti sessuali. La Dichiazione di Pechino riconosce infine "i diritti fondamentali delle donne e delle bambine in quanto parte inalienabile, integrante e indivisibile dei diritti della persona umana", riprendendo quanto sancito due anni fa dalla Conferenza mondiale sui diritti umani a Vienna. Ci sono volute due conferenze per legittimare un principio che sembrerebbe ovvio, alle soglie del terzo millenio.

Il "controllo del corpo" è l'altro capo del problema. Ma anche il dibattito sui "diritti sessuali" si è concluso con una mediazione onorevole, in cui scompare la parola ma resta il contenuto: tra i diritti fondamentali delle donne è riconosciuto quello a controllare la propria sessualità. Un passagio della Piattaforma d'azione invita a eliminare le leggi punitive contro le donne che abortiscono illegalmente. Miracolo della diplomazia è il passggio che riguarda il diritto delle donne a ereditare in parte uguale: molti stati musulmani sostenevano il termine "equa" poiché secondo l'interpretazione più corrente delle leggi coraniche è equo che alla donna spetti metà che all'uomo. La Piattaforma d'azione parla invece di eliminare le discriminazioni nell'eredità e successione.

Il dibattito sull'universalità di questi diritti è stato risolto nella Piattaforma d'azione, che nella premessa precisa: applicare queste strategie "è responsabilità. sovrana di ogni stato, in conformità con tutti i diritti umani e le libertà fondamentali e nel rispetto dei diversi valori religiosi ed etici, i retroterra culturali e le convinzioni filosofiche degli individui e dei loro paesi". Linguaggio ambiguo, le discriminazioni più sanguinose sono spesso giustificate con la tradizione e il retroterra culturale. Ma "anche se qui il linguaggio sembra poco chiaro, dei principi sono stati affermati e saranno un ponte verso il futuro", ha commentato, alla fine della Conferenza, la premier norvegese Gro Harlem Brundtland.

Mediazioni onorevoli, che insieme tengono fermi i principi e danno la misura delle minacce che pesano su ogni conquista in quella direzione. Il principio dell'universalità dei diritti spaventa, dice l'algerina Wassila Tamzali, che vede saldarsi "un fronte culturale, in cui integrismo islamico e integralisti cristiani sono uniti contro i diritti delle donne. I cattolici hanno dato battaglia contro i diritti sessuali, seguiti dagli isiamici: il controllo dei corpo è una delle costruzioni più profonde del patriarcato. E poi un fronte economico: paesi protagonisti di una rapida crescita, soprattutto asiatici, non vogliono che gli sia imposto di rispettare i diritti dei lavoratori, le tutele sociali, i diritti umani. Allora dicono "abbiamo un'altra concezione dei diritti"".

I pellegrinaggi servono a volte a delineare visioni per il futuro, e anche questo è successo tra Huairou e Pechino. Il movimento internazionale delle donne visibile a Huairou è cresciuto in effetti sulla critica di un paradigma dello sviluppo che ha alimentato crisi successive, il debito dei paesi di Africa e America latina, la distruzione ambientale, il declino dei tenore di vita di intere popolazioni, il crescere di tensioni sociali, etniche, nazionalismi, violenze. "Le donne si trovano all'incrocio di tutte queste crisi", dice l'economista indiana Gita Seri, una delle fondatrici di Dawn, un'altra rete internazionale che ha guadagnato peso e credibilità nell'ultimo decennio (vedi box a pag. 43). La sfida oggi è quella enunciata dalla peruviana Virginia Vargas: costruire nuove forme di convivenza civile "fondate su istituzioni trasparenti, aperte alla cittadinanza universale, alla sociptà civile organizzata, ai gruppi sociali intesi come soggetti sociali e politici". Aggiunge: "I fondamentalismi, tutti, spingono verso una società retta da plutocrazie. Noi vogliamo costruire democrazie partecipative".

*Tratto da noidonne, ottobre 1995