Leggere la crisi con occhi di donna*

di Marina Forti



Nei documenti ufficiali approvati dalla Conferenza di Pechino sulle donne manca qualcosa. Si parla di povertà al femminile e di misure per promuovere la partecipazione delle donne nella società e dell'economia, partendo dai fondamentali: istruzione e salute. Ma manca, sostiene l'economista indiana Devaki Jain, un'analisi coerente dei meccanismi strutturali che perpetuano povertà e discriminazioni. Devaki Jain è una delle fondatrici della rete internazionale Dawn, Development Alternatives with women for a New Era, o "Alternative di sviluppo con le donne": economiste, ricercatrici in scienze sociali, intellettuali di paesi dei Sud dei mondo. Bisogna tornare alla prima conferenza delle Nazioni unite sulle donne, ricorda Devaki Jain, quella di Città dei Messico: "Ero stata invitata a parlare della povertà nel Terzo mondo. C'erano altre demografe, economiste, ci chiamavano per "consultare le donne del terzo mondo". Finché ho pensato che dovevamo fare qualcosa da sole. Si preparava la conferenza di Nairobi, ho riunito a casa mia un piccolo gruppo di donne: dalle Fiji, dal Senegal, l'India, Rio. Volevamo discutere di cosa ci aspettassimo, noi dei Sud, dall'imminente conferenza. Non ci piaceva il quadro concettuale delle Nazioni Unite, l'eguaglianza intesa come parità. E’ stata Fatima Mernissi a dirlo per prima: "Sono stanca", ci diceva, "di vedere tutto in termini di parità: tante donne deputato, dirigenti, manager quanti uomini... La vera crisi per le donne nordafricane è culturale: le mutilazioni genitali, il velo, le donne messe da parte e tenute chiuse in casa". Allora abbiamo cominciato a pensare alle tante crisi locali: quella alimentare in Africa, la crisi dei debito in America Latina, le crisi politiche in Asia. L'idea su cui è nata Dawn è questa: differenziarci e leggere le crisi politico-economiche, ambientali, sociali, dal punto di vista delle donne dei Terzo mondo. E da questo andare al globale, ricostruire il quadro generale".

Nairobi sarà ricordata per lo scontro, o incomprensione, tra donne del Nord e del Sud dei mondo. Ma ha segnato anche una svolta nel femminismo internazionale, per la presenza di tante donne di paesi dei Sud. Dawn tenne allora nove seminari. Devaki Jain aggiunge: "Intendiamoci, l'eguaglianza è un obiettivo importante. Ma il punto per noi era analizzare i fattori esterni che producono povertà e discriminazione tra uomini e donne. I fattori culturali e materiali, la mancanza di scuole, di servizi sanitari, di opportunità economiche. Considera l'Africa: il sistema macroeconomico, incarnato da organismi come la Banca mondiale, ha spinto a una riconversione massiccia dell'agricoltura, dalla produzione agricola per il consumo alimentare interno alle coltivazioni intensive per l'esportazione. Centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza reddito, perché i piccoli contadini sono stati emarginati, e senza cibo. A cosa serve parlare di eguaglianza in questo quadro? Certo, vogliamo l'eguaglianza, ma questo non ci aiuta nell'analisi. Parliamo di "prospettive delle donne nello sviluppo" perché non si tratta di integrare le donne in un processo da cui erano ernarginate, ma di cambiare il concetto stesso di sviluppo".

Al Forum delle donne a Huairou, un mese fa, l'economista Gita Seri, anche lei di Dawn, ha sottolineato che la giobalizzazione accelerata dei mercati fa un uso flessibile dei lavoro delle donne. In Asia è evidente: l'impressionante crescita delle economie è sostenuta da una gran massa di donne, operaie malpagate nelle fabbrichette, lavoratrici migranti, assunte e licenziate a seconda delle necessità del momento, o sfruttate nel settore informale e nefi'inclustria dei sesso. "Il punto", dice Devaki Jain, "è riuscire, come donne, a costituirci come forza politica e sconfiggere la linea che ora la Banca mondiale maschera parlando di safety nets, reti di salvataggio. Dobbiamo sconfiggere politicamente la linea della crescita orientata all'export. Dobbiamo elaborare le nostre strategie per il futuro. Intervenire sulle strutture e i processi decisionali per renderli trasparenti: nello stato, nel settore economico privato, nella politica. Mentre siamo qui a parlare, le decisioni che contano vengono prese da pochi organismi finanziari internazionali o grandi aziende transnazionali. Questo diminuisce la sovranità degli stati: chi governa chi? Per questo parIiamo di trasparenza delle istituzioni nazionali e internazionali. E necessario costruire processi partecipativi a livello globale".

*Tratto da: Noi Donne - ottobre 1995