La condizione femminile in Afganistan: uno sguardo tra passato e futuro



di Daniela Colombo, presidente di AIDOS*


In questo ultimo mese, da quando è iniziata la guerra contro l'Afganistan, molto è stato detto e scritto sulla condizione delle donne sotto il regime dei Talebani, dimenticando che questi in realtà non hanno fatto altro che applicare alla lettera il Pushtunwali, il codice tribale dei Pushtun, attribuendo erroneamente le sue norme all'Islam, e che la condizione femminile non è tanto una conseguenza della guerra e dei diversi regimi succedutisi nel paese negli ultimi trenta anni, quanto una delle cause stesse, e non la minore, della guerra civile.
In Afganistan, seguendo una tradizione tipica dell'Asia del sud, le famiglie festeggiano la nascita di un maschio, ma non quella di una femmina. Le donne sono considerate naqis-e-aql (stupide alla nascita) e il termine "donna" viene usato dagli uomini come un insulto.
Storicamente l'Afganistan è un paese tribale, patriarcale, basato sulla pastorizia nomade e l'agricoltura stanziale, organizzato secondo linee patrilineari, in cui i ruoli di genere e la condizione femminile sono connessi ai rapporti di proprietà. Le donne nell'ambito della famiglia estesa, sono una risorsa economica, come la terra, la casa o il bestiame e appartengono ad un uomo. Le donne vivono in purdah, recluse nella casa, e solo dopo la menopausa acquisiscono qualche potere soprattutto come suocere nei riguardi delle nuore. Gli uomini assicurano i legami con il mondo esterno, mentre il lavoro delle donne si focalizza all'interno della famiglia: la prima trasformazione dei prodotti agricoli, la cura dei figli e degli anziani, la produzione di artigianato, principalmente ricamo e tessitura. Viene negato alle donne il diritto alla proprietà e all'eredità, mentre vengono pagati prezzi esorbitanti alla famiglia della sposa, come compenso per la perdita della manodopera di una figlia, determinando una spirale di debiti e di lotte senza fine tra le famiglie. Per questo si tende a privilegiare i matrimoni all'interno stesso della famiglia, tra cugini.
Tutta la vita ruota attorno al concetto di "onore" della famiglia, che viene protetto dagli uomini. Come altre società della stessa zona, India del Nord e Pakistan, anche la società afgana è culturalmente "contro le donne", ed esse vengono socializzate a sacrificare la loro salute e la loro stessa vita. Le donne in questa cultura non hanno diritto al "sapere", che potrebbe indurre ad atteggiamenti di rivolta contro il padre o più tardi il marito.
Ogni volta che un governo "prograssista" ha cercato di cambiare le norme della società, la reazione delle tribù, è sempre stata violenta. Lo si è visto negli anni 20 del secolo scorso, quando il Re Amanullah, che aveva cercato di modernizzare il paese, e tra le altre cose aveva creato le prime scuole per le bambine, ed aveva autorizzato le prime ragazze ad andare a studiare in Turchia, è stato costretto all'esilio nel 1929.
Durante il regno del Re Zahir Shah, (1932 - 1972), l'Afganistan aveva goduto di un lungo periodo di pace interna, anche perchè non erano avviate riforme importanti, e soltanto una minoranza di donne delle élites - le figlie dei dignitari di corte e di alcuni capi tribù più illuminati - erano state in qualche modo raggiunte dalla modernizzazione ed avevano avuto accesso all'istruzione.
Fu negli anni '70, dopo che una congiura di palazzo avva allontanato il re, che la strato delle donne delle élites urbane cominciò a crescere, e i loro stili di vita a cambiare rispetto a quelli delle donne nelle aree rurali. Nel 1965 era infatti nato per iniziativa di un piccolo gruppo di intellettuali, il Partito democratico del popolo afgano (PDPA) che si rifaceva al programma di Amanullah. Tra le richieste, l'istruzione primaria per tutti i bambini nella lingua madre, eguali opportunità di lavoro, una settimana lavorativa di 42 ore e la proibizione del lavoro minorile. Lo stesso anno sei donne fondarono l'Organizzazione democratica delle donne afgane, (DOAW), i cui obiettivi erano di eliminare l'analfabetismo femminile, i matrimoni forzati e il prezzo della sposa. Come risultato dell'azione di questa organizzazione, le donne ebbero il diritto di voto e 4 rappresentanti del DOAW furono elette in Parlamento. La modernizzazione, per quanto lenta, aveva comunque dato vita a un movimento di donne e uomini desiderosi di un più profondo cambiamento sociale.
Nel 1978 il PDPA prese il potere in quella che fu definita la Rivoluzione di aprile e introdusse un programma di riforme per cambiare la struttura politica e sociale della società afgana, inclusa la riforma agraria e la posizione delle donne. Il Governo del PDPA iniziò tra l'altro una agressiva campagna di alfabetizzazione, condotta dal DOAW, il cui compito era di istruire le donne, di farle uscire dal purdah e dare avvio ai programmi sociali. I programmi di alfabetizzazione furono ampliati con l'idea di insegnare a leggere e a scrivere anche agli adulti, uomini e donne. Nell'agosto del 1979 il governo aveva già creato 600 nuove scuole.
La nuova politica di alfabetizzazione obbligatoria delle bambine, unita alle nuove regole sul matrimonio, suscitarono una protesta generale, che portò all'uccisione di alcune maestre a Kandahar. I primi rifugiati che raggiunsero il Pakistan nel 1978 adducevano come principale motivo per aver lasciato il paese la esecuzione forzata del programma di alfabetizzazione femminile, che veniva percepito come una indebita interferenza nella vita domestica e nella cultura del paese. La proibizione del pagamento del prezzo della sposa aveva tra l'altro provocato la rovina di alcune famiglie che avevano contato su questo capitale per il futuro. Se le donne non rimanevano in purdah, allora l'onore della famiglia era a rischio. I profughi affollarono i campi in Pakistan attenendosi strettamente alle norme tradizionali afgane del Pushtunwali. Le donne che con i loro figli costituivano il 75% dei rifugiati, continuarono a osservare la purdah e le bambine raramente vennero mandate a scuola, e mai oltre i 10, 12 anni. Nel 1988 a Peshavar 104,600 maschi erano iscritti nei vari ordini scolastici contro 7,800 femmine che frequentavano solo la scuola elementare. Le donne non potevano essere visitate senza il permesso del marito. Di fatto la purdah impediva la comunicazione tra le donne afgane, l'Alto commissariato per i rifugiati, le ONG e il comitato svedese per l'Afganistan. Le organizzazioni umanitarie ebbero il torto di accettare la situazione senza discutere, sulla base del relativismo culturale.
Le vicende che seguirono sono storia ben nota. I Mujahiddin, con il sostegno prima del Pakistan e poi degli USA e dell'Arabia Saudita si sollevarono. I sovietici invasero il paese su richiesta del governo afgano. Due presidenti, Taraki e Amin, furono assassinati e il nuovo presidente, Babrak Karmal iniziò la "seconda fase" e un più gradule approccio al cambiamento, dichiarando che l'analfabetismo nelle città sarebbe stato eliminato in sette anni e nelle provincie in dieci. Ma questo non arrestò la guerra civile. Seguirono dieci anni di lotta senza quartiere che distrusse il paese. Un milione di civili morti, mezzo milione di mutilati, la maggior parte del paese seminato di mine, circa 700.000 vedove e orfani, cinque milioni di persone in fuga dalle violenze e dai combattimenti, violenta repressione di ogni forma di dissenso, arresti e processi iniqui nelle città, omicidi di massa nelle campagne, villaggi distrutti col napalm perché i contadini venivano ritenuti complici dei Mujahiddin..
Nelle città controllate dal governo le riforme però continuarono. Le donne ebbero accesso a tutte le facoltà universitarie e vennero mandate a studiare in Russia e nelle altre repubbliche sovietiche. La DOAW venne rifondata con il nome di Consiglio delle donne afgane (AWC), che aveva più di 150.000 associate e si dedicava soprattutto ai programmi socio-sanitari. Diverse cliniche materno-infantili vennero create a Kabul, che ofrivano anche metodi anticoncezionali. Nel 1989, quando i sovietici lasciarono il paese, le donne costituivano la maggioranza delle impiegate e funzionarie statali, degli insegnanti, dei medici ed erano presenti in tutte le professioni, dalle forze armate alle banche, dai trasporti e comunicazioni alle organizzazioni sociali e politiche. C'erano annunciatrici donne alla radio e alla televisione, giornaliste. Si trovavano donne nei servizi di sicurezza, nella polizia, nei servizi segreti, tra i paracadutisti e persino tra i veterinari, occupazione di solito off limits nei paesi islamici. Ed erano tutte membri dei sindacati.
Tutto ciò cambiò dopo la caduta del Governo di Najibullah e la presa di Kabul da parte dei Mujahiddin nel 1992. Le donne vennero espulse dai loro posti di lavoro, una campagna di molestie sessuali venne lanciata contro le studentesse dell'Università e la burqa, il mantello che copre completamente la figura, tornò ad essere obbligatorio. Pur avendo eletto un governo di unità nazionale, le fazioni tornano a litigare fra di loro e il paese cadde nell'anarchia, nell'abbandono e nel terrore. In questo periodo le distruzioni, le violazioni e gli abusi, come denunciava Amnesty International, superarono in violenza quanto era accaduto durante i dieci anni di invasione sovietica. Ad esempio fu Hekmatiar, signore della guerra, a bombardare indiscriminatamente Kabul, riducendola in macerie.
Nel 1994 comparvero i Talebani, gli studenti islamici cresciuti nelle madrasse del Pakistan, che con il sostegno del Pakistan, della CIA e dell'Arabia Saudita, in due anni raggiunsero Kabul, conquistarono il 90% del paese, eliminando ogni segno di modernità nel paese e cancellando di fatto le donne dalla società.
Le scuole femminili furono chiuse e alle bambine venne permesso solo di studiare il Corano.
La situazione però era cambiata nei campi profughi, dove nel frattempo erano arrivate le donne emancipate durante il periodo del governo del PDPA che erano potute fuggire alla morsa dei Talebani. Si crearono le prime reti di donne, impegnate nell'assistenza alle donne profughe. Non ebbero vita facile. Non potevano operare apertamente perché non registrate in Pakistan. Ma grazie alla rivoluzione delle comunicazioni e a Internet poco a poco queste organizzazioni cominciarono a dialogare con il movimento internazionale delle donne e ad avere i primi aiuti privati. La più attiva in questo è stata RAWA (Revolutionary association of women of Afghanistan). Ma molte altre sono le reti di donne operanti in Pakistan e all'estero. I principali settori di intervento di queste organizzazioni sono l'istruzione, la salute e i progetti generatori di reddito.

*Tratto dallintervento presentato al seminario organizzato dalla Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità a Roma, novembre 2001.